Le guerre macedoniche (214-148 a.C.)

Le guerre macedoniche

Nel bosco di Poseidone, presso la città di Corinto, si svolgevano ogni due anni i «giochi istmici», competizioni sportive ed artistiche che appassionavano tutta la Grecia antica.

Nell’anno 196 a.C., il giorno dell’inaugurazione dei giochi, un’enorme folla era nello stadio, quando si presentò sull’arena un araldo seguito da un trombettiere. La tromba intimò il silenzio. Tra l’attenzione di tutti, con voce chiara e forte, l’araldo disse: «Il Senato romano e il comandante Tito Quinzio Flaminino, vinti Filippo e i Macedoni, ordinano che i Greci siano liberi, senza dover pagare tributi, e in possesso delle proprie leggi!». Un uragano di applausi accolse queste parole: la gioia dei Greci dovette essere immensa a quell’annuncio. Per essi infatti, la notizia significava il ritorno alla libertà, dopo circa un secolo e mezzo di dominazione straniera. Battuto dai Romani, il re macedone Filippo V aveva cessato di essere il loro interessato «protettore». E Roma pareva offrire la sua protezione senza contropartita.

Le guerre macedoniche

Il conflitto tra Roma e la Macedonia era cominciato anni prima. I Romani non avevano dimenticato che Filippo V, durante la seconda guerra punica, era stato alleato di Annibale, e tenevano d’occhio quel vicino poco fidato. Perciò, non appena apparve un esercito di Filippo presso Pergamo e Rodi (città alleate di Roma), il Senato decise di parare la minaccia inviando alcune legioni sulle coste adriatiche, nei pressi dell’odierna Corfù, per sorvegliare le mosse dell’avversario. Le truppe romane si stabilirono con i loro accampamenti ai piedi delle montagne: di fronte a loro, sulle alture, stavano le postazioni macedoni. Per un certo tempo non accadde nulla: i due eserciti stettero parecchi mesi a sorvegliarsi a vicenda, senza combattere.

Nella primavera del 198 a.C., desiderando arrivare ad una soluzione, il Senato affidò il comando dell’esercito romano al giovane e risoluto console Tito Quinzio Flaminino. Egli arruolò altri 8000 fanti e 800 cavalieri e partì da Roma deciso a iniziare al più presto le ostilità. Ma i Macedoni non si muovevano e d’altra parte andare all’attacco delle loro forti posizioni era pericoloso. Fu una fortunata combinazione ad aiutare Flaminino: alcuni pastori del luogo (forse maltrattati dai soldati macedoni) si offersero di fargli da guida per aggirare le posizioni nemiche e prenderle alle spalle. Una parte delle truppe fu destinata a questa manovra, e dopo tre giorni l’accerchiamento delle posizioni macedoni rese possibile un attacco di sorpresa. Dopo il primo scontro vittorioso, le truppe romane occuparono senza eccessiva resistenza nemica parte della Macedonia e della Grecia. Alcune città greche li salutarono come «liberatori» e si allearono a loro; altre, che con la dominazione macedone avevano perso la libertà ma avevano conservato la loro prosperità, restarono dalla parte di Filippo. Il re frattanto aveva preparato un nuovo esercito, costituito da una falange di 16000 uomini, fiancheggiati da 7500 fanti e 2000 cavalieri. Contro queste forze il console Flaminino poteva schierare circa 20000 fanti e 1200 cavalieri romani, più alcune migliaia di alleati greci. A Cinocéfale, in Tessaglia, avvenne la battaglia risolutiva (luglio 197). Si trovarono di fronte la formidabile falange macedone, formata da soldati disposti in file serrate, armati di lunghe lance e protetti da pesanti scudi, e la legione romana meno compatta ma più agile.

Flaminino sfruttò abilmente le doti di manovrabilità della legione, attaccando la falange ai fianchi ed alle spalle : questa manovra sorprese i Macedoni, che persero ogni sicurezza e si sbandarono sul campo, annullando così la forza della falange, che stava appunto nella sua compattezza. La battaglia divenne così una serie di duelli individuali, nei quali gli impacciati soldati di Filippo furono massacrati. Ottomila di essi caddero sul campo e cinquemila furono fatti prigionieri. In conseguenza di questa vittoria il console Flaminino poté imporre la resa al re di Macedonia: e una delle condizioni fu di abbandonare ogni pretesa sulle libere città della Grecia.

Pochi anni dopo la vittoria di Cinocèfale, però, il nome di Roma non era più tanto popolare in Grecia. Anche se aveva restituito ufficialmente ai Greci la loro libertà, in pratica Roma esercitava un controllo abbastanza stretto sulla loro vita e sulle loro attività. Re dei Macedoni era divenuto, frattanto, il giovane Pèrseo, figlio di Filippo V.
Animato dal desiderio di riconquistare l’antica grandezza, Pèrseo si preparò alla guerra contro Roma. Anzitutto si preoccupò di raccogliere un esercito di 40 mila fanti e di quattromila cavalieri; ma non trascurò di aizzare il malcontento che in molte città greche si era formato contro Roma. Pèrseo sapeva bene che l’alleanza dei Greci sarebbe stata preziosa per lui. Quando la sua preparazione fu a buon punto, iniziò le ostilità. Romani e Macedoni si scontrarono più volte con alterna fortuna, senza però affrontarsi in una battaglia campale.

La battaglia di Pidna - IL TERMOPOLIO

Nel 168 a.C. a capo dell’esercito romano fu posto il console Emilio Paolo. Egli si preparò con ogni cura per questo incarico: ottenne truppe di rinforzo, fece affluire in Grecia armi e viveri, poi si dedicò alla riorganizzazione dell’esercito, badando soprattutto a tenere alto il morale delle truppe. I due eserciti si trovarono l’uno di fronte all’altro nei pressi di Pidna, in Macedonia. Un fiume separava i due accampamenti. La battaglia si può dire che fu decisa dai soldati più che dai generali. Durante un servizio di pattuglia, infatti, due squadre di Romani e di Macedoni si scontrarono: la mischia si accese furibonda, e fece accorrere numerosi soldati da una parte e dall’altra, finché i due comandanti decisero di muovere tutto l’esercito. Quando Emilio Paolo vide marciare la falange macedone, adottò la stessa tattica di Flaminino. Circondati da ogni parte, i macedoni tentarono più volte di girarsi con le lunghe lance, ma i Romani, più agili, riuscirono a infiltrarsi nella fitta schiera nemica facendo strage con le spade. Al termine del combattimento più di 20 mila Macedoni rimasero uccisi sul campo. La vittoria fu schiacciante! Con la battaglia di Pidna tutta la Macedonia cadde sotto il potere di Roma: nel 146 a.C. la Macedonia divenne una provincia romana, che includeva anche Epiro e Tessaglia.

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