Arco di Malborghetto

Arco di Malborghetto

Completamente – o quasi – sconosciuto ai romani di oggi, il Casale di Malborghetto lo è stato per molti secoli anche ai loro antenati. Eppure, quel che oggi appare come una semplice e tozza fortezza medievale quando si percorre il diciannovesimo chilometro della via Flaminia a nord di Roma è nient’altro che un magnifico e imponente manufatto di epoca romana, che avventurose vicende recenti hanno permesso di datare con sufficiente precisione ai primi anni del IV secolo d.C.

Il casale, oggi museo, e sede di un distaccamento della Sovrintendenza dei Beni Culturali, sorge sulla confluenza di due antiche strade romane, che affiorano proprio in quel punto: la via Flaminia, appunto, o via Trionfale, che secondo le più attendibili ricostruzioni passava direttamente all’interno della pianta dell’attuale costruzione, e la via Veientana, che collegava la Flaminia alla città di Veio, di fondazione etrusca, a una ventina di chilometri da Roma.

È difficile oggi riconoscere alla prima occhiata, nella struttura della fortezza medievale, l’anima dell’antico monumento romano, di proporzioni imponenti, esattamente m 14,86 x m 11,87 x m 7, come l’assai più celebre e conosciuto Arco di Giano, al Velabro, citato nei Cataloghi Regionarii del IV secolo come Arcus Divi Costantini, probabilmente edificato contemporaneamente a quello di Malborghetto.

Arco di Malborghetto

Arco di Malborghetto

Ma che ci stava a fare un arco monumentale romano, di siffatte proporzioni, in un luogo così sperduto, praticamente in mezzo alla campagna, senza che nulla vi fosse intorno di così memorabile per giustificarne la presenza? Le prime notizie storiche che parlano dell’arco, o meglio del casale che nel frattempo era diventato, risalgono al 1200, quindi novecento anni dopo la sua edificazione.

Nel Medioevo l’arco, con la chiusura dei fornici, fu trasformato in una chiesa a croce greca, di cui sono visibili ancora oggi resti nella parete nord. Di questa prima costruzione, comunque, non esiste traccia in alcun documento storico fino a metà del 1256, quando viene citato in un atto di compravendita della famiglia Orsini.

Il toponimo di Malborghetto risale invece a tempi più recenti, quando, il casale subì una quasi completa devastazione attribuita agli stessi Orsini nel 1485 a causa del fatto che il fortilizio era stato occupato dai Colonna, sostenitori del papa e acerrimi nemici degli Orsini. Questi ultimi, alleatisi con gli uomini del Castrum Sacrofani (l’attuale Sacrofano), riuscirono a prendere possesso e a incendiare l’intero borgo. L’edificio in condizioni di abbandono fino alla metà del Cinquecento, venne ceduto in affitto a un aromatarius, cioè un erborista milanese che viveva a Roma, in via della Scrofa. Questo personaggio si chiamava Costantino Pietrasanta!  Il farmacista condusse un robusto restauro dell’edificio sotto il pontificato di Pio V, lasciando memoria di questo intervento con una scritta in lettere dipinte su maioliche visibili oggi sul frontone meridionale sotto il tetto. La scritta recita: “COSTANTINUS PETRASANTA (A) Smi PII V(.) MAX s RESTAURAV it.” Al di sopra della scritta una mattonella rettangolare recava la data del restauro definitivo: 1567, insieme a un piccolo stemma della Basilica Vaticana. L’aspetto del casale che oggi ammiriamo è sostanzialmente quello che gli diede il Pietrasanta.

La vera svolta per la conoscenza delle origini del monumento arrivò ai primi del Novecento quando un giovane archeologo tedesco – Fritz Toebelmann – affascinato dal luogo (e dalla campagna circostante), decise di stabilirvisi per cinque lunghi anni e di studiarlo a fondo, giungendo alla conclusione che esso fosse stato eretto sul luogo dell’accampamento di Costantino, prima della battaglia di Ponte Milvio (28 ottobre 312 d.C.) contro Massenzio.

Toebelmann riuscì a fornire una datazione precisa grazie a un paziente lavoro di “esplorazione” del monumento, che gli permise di rinvenire su uno dei mattoni usati per la costruzione della volta dell’arco un bollo laterizio di età dioclezianea. Circostanza che permise di stabilire un esatto terminus post quem per la costruzione del monumento romano: e cioè fine III inizi IV secolo d.C. Toebelmann descrisse la sua scoperta in un volume, ma non ebbe il tempo di approfondire oltre, perché un paio d’anni dopo andò incontro a prematura morte nelle trincee della Prima Guerra Mondiale.

Il geniale giovane archeologo tedesco descrisse nei suoi studi con esattezza l’aspetto che doveva avere l’arco all’epoca della sua costruzione. Per l’elaborazione del suo modello Toebelmann si era basato sugli studi di Giuliano da Sangallo, uno dei più grandi architetti e scultori del Rinascimento italiano, il primo a riscoprire, ai primi del Cinquecento, il monumento romano rinserrato tra le strutture medievali del Casale e a realizzarne una suggestiva e fantasiosa immagine che ancora oggi si può ammirare negli archivi storici (foto)

Ma l’intuizione certamente più importante di Toebelmann fu quella di avanzare per primo l’ipotesi che l’arco fosse stato realizzato, per volere di Costantino, in quel luogo specifico, nonper commemorare la battaglia, ma per rappresentare la memoria del luogo dove era stato posto l’accampamento dell’esercito di Costantino. Se infatti l’imperatore avesse voluto celebrare il luogo della battaglia finale contro Massenzio, non v’è dubbio che egli avrebbe scelto un altro luogo e cioè a Ponte Milvio – dove la battaglia aveva avuto termine – oppure nella zona di Saxa Rubra – dove la battaglia aveva avuto inizio.

Di Costantinus – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=27097197

Che senso avrebbe avuto, invece, per commemorare la battaglia, far edificare un arco monumentale in aperta campagna, proprio in quel punto, distante diversi chilometri sia da Ponte Milvio che da Saxa Rubra?

Di qui, è ovvio, sorge la domanda conseguente: perché decidere di far erigere un arco monumentale sul luogo di un accampamento? Una decisione davvero inusuale, anzi del tutto inedita, nella storia architettonica di Roma. Appare piuttosto evidente che in quell’accampamento era accaduto qualcosa, per Costantino, degno di essere perennemente tramandato proprio mediante la costruzione di un grandioso arco.

Gli studi più recenti dell’Arco di Malborghetto, dovuti in gran parte all’appassionato lavoro del professor Gaetano Messineo – vero specialista del territorio Flaminio – hanno sostanzialmente confermato le intuizioni di Toebelmann, cominciando dall’aspetto che l’Arco doveva avere al tempo della sua costruzione.  Ma la cosa importante è il fatto di come ogni più recente studio abbia confermato l’ipotesi di Toebelmann secondo cui questo era senza dubbio il luogo esatto dove Costantino stabilì il suo castra (cioè accampamenti) da marcia o da campagna militare, cioè i cosiddetti castra aestivi.

Questi interrogativi hanno autorizzato molti studiosi a trovare, nella presunta Visione alla vigilia della battaglia del 28 ottobre 312, una adeguata motivazione alla erezione di una costruzione di siffatte proporzioni gettando una nuova luce su un evento misterioso quasi quanto l’esistenza di questo arco disteso sulle dolci ed erbose colline a nord di Roma.

tratto da
In Hoc Vinces di Bruno Carboniero e Fabrizio Falconi


In hoc vinces è un saggio storico scritto da Bruno Carboniero e Fabrizio Falconi. Pubblicato da Edizioni Mediterranee, il libro intende offrire, sulla base di nuove acquisizioni scientifico-astronomiche, una nuova e più razionale chiave di lettura della leggendaria visione di Costantino Imperatore, risalente al 312 d.C., anno della battaglia, poi vinta, contro Massenzio a Ponte Milvio.

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