Ponte Mollo, pagine di storia

Ponte Mollo

Il 10 settembre 2012 finiva la romantica storia, iniziata cinque anni prima, che legava, attraverso la simbolica chiusura di un lucchetto, i sogni d’amore di migliaia di adolescenti. Nel 2007 infatti la promessa d’amore dei due protagonisti del romanzo di Federico Moccia, “Ho voglia di te”, veniva suggellata con la chiusura di un lucchetto ad un lampione di Ponte Milvio e la chiave gettata nelle limacciose acque del Tevere per auspicarne l’inscindibilità.

In quei cinque anni il potere suggestivo di quelle poche righe nate dalla fantasia di uno scrittore, particolarmente in sintonia con il sentire dei giovani e delle loro abitudini, aveva riportato in vita l’appeal per un monumento caduto nel dimenticatoio rendendolo, quasi miracolosamente, meta di un vero pellegrinaggio adolescenziale e non solo. Le migliaia di lucchetti accumulati sul ponte ed in particolare su di un lampione ne causarono la caduta (del lampione) e cominciarono a far pensare all’amministrazione comunale che si dovesse porvi rimedio.

L’occasione ghiotta si presentava proprio quell’anno per la importante ricorrenza che si sarebbe dovuta celebrare, proprio su Ponte Milvio, il 28 Ottobre in occasione dei 1700 anni trascorsi dalla vittoria di Costantino su Massenzio. Il ponte sarebbe stato nuovamente al centro dell’attenzione del mondo e per ragioni storicamente valide  andava liberato da questi “parassiti” metallici per recuperare un aspetto più consono all’evento. Questo fu il motivo dell’intervento realizzato non senza le consuete polemiche.

Ponte Mollo, così chiamato dalla tradizione romanescarecuperava la sua immagine di testimone di uno dei più importanti avvenimenti della storia dell’umanità, la Battaglia di Ponte Milvio, avvenuta alla sua ombra, ritornando ad essere indagato dalle cronache per tutto ciò che aveva significato, per la storia di Roma, negli oltre duemila anni di vita non priva di ferite e ristrutturazioni.

Ponte “Molvius“, “Molvio” Milvio è uno dei ponti più antichi e, storicamente, più importanti di Roma, sul quale convergevano da nord le vie “Cassia“, “Flaminia“, “Clodia” e la “Veientana“. Ritenuto il secondo ponte più antico di Roma, dopo Ponte Sublicio a sud, era inizialmente in legno e viene menzionato per la prima volta da Tito Livio nel 207 a.C. in relazione alla battaglia del Metauro. Nel 109 a.C. venne ricostruito, in muratura, dal censore Marco Emilio Scauro. Nel 27 a.C. sul ponte fu realizzato un arco sormontato da una statua in onore di Augusto, andato perduto.

Il ponte è composto da sei arcate, le interne  più alte, mentre quelle laterali, più piccole, si collegano alle sponde e sostituirono nel IV secolo dei ponti levatoi in legno. I cinque piloni presentano frangiflutti a base triangolare sormontati da aperture ad arco utili, in caso di piena, per migliorare il deflusso delle acque. Il ponte ha il nucleo in tufo di Grotta Oscura ed è rivestito in pietra sperone e in travertino. Le chiavi di volta hanno una struttura meno regolare e rifinita e potrebbe essere frutto di un restauro, attribuito a Massenzio.

Durante il Medioevo il ponte rimase la principale via di accesso a Roma da nord e per tale motivo fortificato venendo, nel corso dei secoli, più volte danneggiato e restaurato. Gli archi alle estremità del ponte furono sostituiti con passerelle di legno che furono ritrasformate in muratura durante i restauri condotti dal Valadier nel 1805, sotto il pontificato di Pio VII. L’arcata settentrionale delle due centrali, fu fatta saltare dai garibaldini nel 1849 (evento ricordato da una lapide del 1931 murata dentro l’arco del torrione ) e restaurata successivamente da Pio IX.

Sul lato nord esisteva una torre di legno, denominata “Tripizone” per la sua forma triangolare, che sotto papa Callisto III (1455) fu sostituita da un torrione quadrato in parte ancora esistente. Sotto papa Pio VII, venne realizzato l’arco di passaggio dove è posta una targa marmorea con gli stemmi di Callisto III e dei nipoti Rodrigo e Pierluigi Borgia. Alla stessa epoca risalgono le due statue, poste sul lato sud, di S. Giovanni Nepomuceno (santo polacco morto annegato nella Moldava invocato contro le alluvioni e gli annegamenti) e dell’Immacolata.

Sul lato nord del ponte dal 1825 al 1956 sono state due statue di Francesco Mochi raffiguranti il Battista  nell’atto di battezzare Gesù, oggi sostituite da copie. Le sculture originali si trovano nel Museo di Roma di palazzo Braschi.

Per i romani questo ponte fu e resta “ponte Mollo“, denominazione di un difficile inquadramento etimologico che va dai racconti che anticamente il ponte molleggiasse sotto il carico di chi lo percorreva, allo stato pietoso nel quale il ponte si è spesso trovato nonostante i vari restauri avuti durante la sua lunga storia. Ma l’evento che, storicamente, ha reso il nostro ponte famoso nel mondo è quello di cui fu testimone e al quale diede poi il nome, che cambiò  il corso della storia. La mattina del 28 ottobre 312 pochi chilometri a nord del ponte, a Saxa Rubra, si scontravano le truppe di Costantino e Massenzio. Uno scontro narrato da fiumi di parole ed immagini durante i secoli del quale non abbiamo fonti storiche ufficiali e coeve ma solo agiografiche e spesso molto posteriori agli eventi.

Quello che è certo è il risultato della battaglia ed il luogo dove essa finì: Ponte Milvio. Qui l’esercito di Massenzio in rotta tentò di attraversare il ponte di barche allestito per l’occasione ma nel disordine della ritirata molti finirono nel Tevere e tra questi Massenzio stesso. Il suo corpo recuperato senza vita venne decapitato e la sua testa infilata su una lancia fu portata fino al Foro a monito e attestazione di chi fosse il nuovo padrone dell’occidente dell’Impero.

Questo scontro che qualcuno ha voluto vedere, un poco superficialmente, come il redde rationem tra Cristianesimo e Paganesimo fu al contrario motivato da interessi politici e di potere ma costituì un ottimo pretesto per convincere Costantino che gli Dei, o meglio il nuovo Dio, fosse con lui. In questo senso la bibliografia è esondante e di difficile interpretazione ma, sicuramente, lo scontro tra le predizioni augurali, che convinsero Massenzio ad uscire di Roma ed affrontare a viso aperto un nemico composto da veterani del nord Europa avvezzi alla guerra invece che aspettare al sicuro tra le mura di Roma, fu drammaticamente sconfitta da quella di Costantino che, in quel di Malborghetto, ricevette nella celebre “Visione” l’ordine di adottare il simbolo della passione di Cristo e In Hoc Vinces !

Era solo l’inizio di quel percorso che questa sliding door avrebbe permesso di intraprendere all’occidente portandolo ad essere così come oggi lo conosciamo e, anche se questa sintesi risulta necessariamente approssimativa, legata a mille altri successivi  bivi, va osservato che di tutto lo sconfinato territorio sul quale imperava l’Aquila di Roma solo in quella parte che ha saputo conservare, nei secoli, la radice cristiana imposta da Costantino e dalla sua vittoria, oggi si può godere di una libertà che permette all’uomo di manifestare il proprio pensiero ed il proprio credo in una costante evoluzione culturale, sociale, politica.

La ricorrenza che a tutti gli effetti  condizionò la nostra storia è poco conosciuta e poco enfatizzata pertanto risulta doveroso ricordarne l’importanza anche, magari, chiedendo aiuto al nostro vecchio, caro Ponte Mollo testimone di quegli accadimenti che diedero, proprio con la sconfitta di Massenzio respinto nel Tevere, la possibilità di “legare per sempre” Roma e il Cristianesimo che al netto di qualunque considerazione ideologica, politica, religiosa risulta essere uno dei momenti più importanti nella formazione del mondo che oggi viviamo.

Bruno Carboniero


In hoc vinces è un saggio storico scritto da Bruno Carboniero e Fabrizio Falconi. Pubblicato da Edizioni Mediterranee, il libro intende offrire, sulla base di nuove acquisizioni scientifico-astronomiche, una nuova e più razionale chiave di lettura della leggendaria visione di Costantino Imperatore, risalente al 312 d.C., anno della battaglia, poi vinta, contro Massenzio a Ponte Milvio.

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