Animula Vagula Blandula

Animula Vagula Blandula

di Bruno Carboniero

La prima impressione che si prova di fronte al Fauno Barberini è un misto di stupore, ammirazione, imbarazzo, curiosità.
Questa raffinata scultura in marmo asiatico di epoca ellenistica e dalle dimensioni imponenti (oltre due metri) è attualmente esposta nella Gliptoteca di Monaco di Baviera ed ha una storia intrigante e sorprendente quasi come le suggestioni che, l’ignoto autore, volle provocare nel raccontare questa figura mitica in un momento di impudico riposo.

Questa opera d’arte singolare e poco conosciuta fu rinvenuta, fortemente danneggiata, nei fossati di Castel Sant’Angelo intorno al 1624 e divenne immediatamente oggetto ambito dalla aristocrazia romana entrando subito a far parte della collezione Barberini, dopo essere stata accuratamente restaurata addirittura dal Bernini.
Una siffatta magnificenza solleticò gli appetiti anche del principe ereditario Ludovico I di Baviera che mosse tutto il suo potere diplomatico per acquisirla e a nulla valsero i dinieghi di importanti figure della intellighenzia romana, tra cui Antonio Canova. L’opera approdava nel 1820 nella sua attuale collocazione oltralpe. Non meno affascinante e sorprendente è scoprire come la statua finì nel luogo del ritrovamento.

Animula Vagula Blandula

Di Bärwinkel,Klaus – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=49525530

Il Fauno ornava, insieme a molte altre statue, il profilo dell’ultima dimora terrena di uno dei più fulgidi demiurghi che l’Impero Romano abbia avuto, che risponde al nome di: Publio Elio Adriano.
Adriano volle edificare il suo sepolcro in quest’area, l’Ager Vaticanus, perché accogliesse i suoi resti e quelli dei suoi famigliari (gli Antonini) imitando, nelle forme, l’analoga struttura che Augusto volle per se in Campo Marzio.

L’imponente architettura del sepolcro edificata tra il 129 ed il 139 d.C. era composta da una base quadrata sulla quale troneggiavano due cilindri sovrapposti di dimensioni decrescenti culminanti al vertice con una statua di una quadriga bronzea. Al suo interno una rampa elicoidale conduceva al cuore dell’edificio, la sala funeraria, cosiddetta Sala delle Urne, che tra marmi preziosi, guarniture in bronzo e luci soffuse ospitava in una nicchia le ceneri di Adriano sulle quali era posta una lapide con il suo celebre, struggente epitaffio:

Animula Vagula Blandula. . .
Piccola anima smarrita e soave,
Compagna e ospite del corpo,
ora t’appresti a scendere in luoghi
incolori, ardui e spogli,
ove non avrai più gli svaghi consueti.
Un istante ancora
Guardiamo insieme le rive familiari,
le cose che certamente non rivedremo mai più. . .
Cerchiamo di entrare nella morte ad occhi aperti. . .

Forse ricoperto da giardini pensili, il Mausoleo, era ornata da statue richiamanti figure e temi della cultura pagana del tempo.
Questa imponente struttura posta in origine fuori dal perimetro dell’urbe viene inserita nella cinta muraria aureliana nel 403 dall’imperatore Onorio che la rende un avamposto fortificato cambiandone radicalmente la funzione ed il destino. Con la caduta dell’Impero Romano la città di Roma diviene terra di conquista per le scorrerie barbare, che vedevano in lei una fonte inesauribile di ricchezze e l’ex sepolcro di Adriano diventa un punto di resistenza e rifugio per la città.

Gothic War - First Phase, 535-540.svg

Di Cplakidas – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16234414

Nel 537 durante la cosiddetta guerra gotico-bizantina le truppe greche, guidate da Narsete ed inviate dall’Imperatore Giustiniano per contrastare gli Ostrogoti, si asserragliavano nella imponente fortezza circondati dalle truppe di Totila che organizzava, intorno all’ex mausoleo, un quartiere fortificato, che in tedesco prese il nome di Burg, e dal quale si svilupperà in futuro il successivo quartiere di Borgo Sant’Angelo.

E’ proprio in questa drammatica situazione che la nostra misteriosa statua viene posta nella condizione di arrivare fino a noi. Sembra infatti che le truppe bizantine arroccate sull’antico Mausoleo, forse a corto di altre munizioni, cominciassero a frantumare le statue gettandole sugli assalitori  infliggendogli perdite importanti. Sepolto sotto ingenti macerie il fauno cade in un oblio lungo più di mille anni.

Intorno e sopra di lui la storia del monumento di cui faceva ornamento vivrà un’epopea che in qualche modo sarà spesso lo specchio della storia di Roma.
In una rapida time line possiamo sintetizzarne alcune delle tappe più importanti.
Il 28 agosto 590, come racconta Jacopo da Varagine, durante la peste che sta flagellando Roma, Gregorio Magno, in processione per chiedere la fine della epidemia, vede sulla sommità dell’Adrianeo la figura fiammeggiante dell’Arcangelo Michele che rinfodera la spada segnando la conclusione della pestilenza e per questa ragione viene chiamato Castel Sant’Angelo.
Tra il 608 e il 615 Bonifacio IV sulla sommità del castello fa costruire una cappella votiva dedicata all’Arcangelo che per la sua posizione elevata viene appellata Sancti Angeli inter nubes o usque ad coelos.

Passetto di Borgo from Castel Sant'Angelo 02.jpg

Di Chris 73 – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6308663

La proprietà della struttura passa di mano in mano dell’aristocrazia romana, dai Teofilatto ai Crescenzi ai Pierleoni agli Orsini cambiando spesso utilizzo: fortezza, prigione, tribunale, abitazione.
Nel 1277 Giovanni Gaetano Orsini ovvero papa Niccolò III vi trasferisce la sede apostolica ritenendola più sicura rispetto a quella di San Giovanni in Laterano ed inizia la costruzione del Passetto di Borgo per collegare la Basilica di San Pietro e il Palazzo Vaticano al Castello.
Nel 1378 la struttura viene quasi completamente distrutta da una rivolta popolare contro le angherie delle truppe francesi che la presidiavano durante l’ultimo pontificato della cattività avignonese di Urbano V.
Nel 1395 con Bonifacio IX inizia la rinascita della struttura, ormai semidiroccata, con il potenziamento della funzione difensiva.
Tra il 1492 ed il 1503 sotto papa Alessandro VI Borgia il castello viene trasformato, con l’intervento di Giuliano da Sangallo e il Pinturicchio, in una sontuosa dimora fortificata dove vengono organizzati sfarzosi banchetti e spettacoli teatrali. Di questa sontuosa ostentazione oggi non rimane traccia.

Tra il 1503 ed il 1513 per opera di Giulio II Della Rovere viene ultimato il Passetto e viene realizzata la omonima loggia che affaccia sul Tevere e su ponte Sant’Angelo.
Nel 1527 durante il tragico Sacco di Roma operato dai Lanzichenecchi di Carlo di Borbone, il Castello resiste un mese agli assedianti per poi accettare una resa strategica che permette a Clemente VII, dopo una confortevole prigionia durata sei mesi, di essere liberato dai soldati di Giovanni Gonzaga accorso in suo aiuto.

Tra il 1543 ed il 1559 il Castello riprende vita e sfarzo architettonico per opera di Paolo III e Paolo IV che realizzano rispettivamente una raffinata residenza abitativa e di rappresentanza oltre ad una nuova cinta muraria pentagonale esterna alla originale.

Veduta di Castel St Angelo. S. Pietro MET DP155021.jpg

Dal XVI secolo in poi la struttura diventa prevalentemente una prigione dove consumano i loro giorni i condannati dall’autorità pontificia tra i quali personaggi famosi quali Benvenuto Cellini, Giordano Bruno, Umberto Balsamo Conte di Cagliostro oltre a numerosi carbonari e patrioti che contribuiranno, spesso con il loro sacrificio, alla costruzione della nostra Italia consegnando questo monumento a uno dei più suggestivi e caratteristici simboli dello skyline romano.
Molta di questa storia del Castello è corsa sopra il nostro Fauno che, nel suo riposo discinto e nel suo misterioso, controverso, intrigante significato, sembra incarnarne le sue molteplici anime.

© Riproduzione riservata

Foto anteprima: Di Egisto Sani – Originally uploaded on flickr by Egisto Sani, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=22408643

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