Il Tempio di Saturno nel Foro Romano

“primus ab aetherio venit Saturnus Olympo
arma Iovis fugiens et regnis exsul ademptis.
is genus indocile ac dispersum montibus altis
composuit legesque dedit, Latiumque vocari
maluit, his quoniam latuisset tutus in oris.”

Virgilio, Eneide, VIII, 329-323.

Dicembre è il mese dedicato a Saturno, mitico re di un epoca pre-cosmica chiamata “età dell’oro”, al quale era stato dedicato un tempio, dopo la costruzione del santuario di Vesta e del sacrario di Giove. Era quindi una divinità importante per la prima comunità di Roma. Il passare del tempo non ha scalfito la sua importanza e i Romani lo onoravano in una delle feste più amate del Calendario: i Saturnalia.

Raffigurazione di Saturno col capo velato e la falce in mano, affresco nella Casa dei Dioscuri, Pompei (di Carole Raddato from FRANKFURT, Germany – Saturn with head protected by winter cloak, holding a scythe in his right hand, fresco from the House of the Dioscuri at Pompeii, Naples Archaeological Museum, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=45894015)

IL DIO SATURNO

Saturno era una divinità delle origini, del mondo sotterraneo, sia in quanto custode delle anime dei defunti, che come garante dei raccolti che crescono sotto la terra. Era considerato il sovrano di un tempo pre-cosmico, un’età dell’oro nella quale il cibo era abbondante, non esistevano pericoli e non vi erano distinzioni sociali tra gli Uomini, che non possedevano nulla e quindi non commettevano furti. Corrispondente al greco Crono, Saturno era la personificazione dello scorrere inesorabile del tempo.

Secondo il mito, Saturno-Crono era figlio di Urano, la personificazione del cielo, e Gea, la Terra. Urano si unì più volte a Gea ma non voleva figli, perciò li nascose dentro caverne e grotte, impedendogli di vedere la luce. La madre Gea, incapace di sopportare oltre la sofferenza dei suoi figli, prigionieri dentro il suo stesso grembo, decise di convincere Saturno-Crono a ribellarsi al padre, donandogli una falce. Saturno-Crono, usò la falce per evirare Urano: dal sangue sparso del dio nacquero le Erinni, le dee della vendetta che punivano soprattutto gli assassini dei familiari, mentre dal membro caduto in mare sorse Afrodite, dea della bellezza e dell’amore carnale1.

Dopo aver sconfitto Urano, Crono sposò la sorella Rea2, ma il suo destino era lo stesso di quello del padre: sottomettere i figli. Un oracolo infatti, gli predisse che sarebbe stato detronizzato da uno di loro, per questo motivo decise che li avrebbe mangiati non appena Rea li avesse partoriti. I figli di Crono e Rea erano gli dei Olimpi, che continuarono a crescere nello stomaco del padre, finché furono liberati da Zeus. Quest’ultimo, salvato dalla madre e tenuto nascosto, tornò a sconfiggere Crono, compiendo il suo fato e dando inizio a una nuova Era.

Uno dei racconti mitologici sull’arrivo di Saturno nel Lazio dice che, dopo aver evirato il padre Urano, ed essendo perseguitato da Giove, il titano si rifugiò presso Giano, che regnava su un territorio la cui capitale da lui prendeva il nome, Gianicolo, situata sull’omonimo colle. Saturno andò a stabilirsi su un colle vicino chiamato Saturnius, che oggi chiamiamo Campidoglio, dove fondò la città di Saturnia.

Una versione del mito racconta invece che Saturno arrivò nel Lazio su una nave, in onore della quale la prima monetazione romana conteneva da un lato l’immagine di una prua e dall’altro il volto del dio. In entrambi i casi, Giano lo accolse e venne premiato per la sua ospitalità ricevendo una seconda faccia e il potere di vedere il passato, il presente e il futuro.

Nel Lazio, il dio Saturno inventò la coltivazione degli alberi da frutto, il miele, l’innesto delle piante e la cottura dei cibi, e s’impegnò a tramandarla agli Uomini. In quanto inventore dell’agricoltura, gli esseri umani gli diedero l’epiteto di Stercutus (“fertilizzante”), perché egli era stato il primo a concimare i campi. Le fonti definiscono quella di Saturno un’età nella quale gli Uomini non avevano coscienza di sé e vivevano in maniera primitiva.

Come tante figure mitologiche, passato un certo periodo, Saturno sparì. Secondo una versione del mito, dopo essere stato sconfitto ed esiliato dagli Olimpi, a un certo punto Crono riuscì a riconciliarsi coi suoi figli, e andò a vivere in un luogo di pace chiamato “Isole Beate”, corrispondente all’attuale arcipelago delle Canarie che i Greci già conoscevano. In questo posto, dove gli eroi vivevano in pace la loro vita ultraterrena, Crono-Saturno era un sovrano giusto.

Una leggenda racconta che nel Lazio gli venne tributato un culto proprio da Giano, che istituì la festa dei Saturnalia e fece edificare un altare alle pendici del Campidoglio, nell’attuale zona del Foro Romano, proprio di fronte al tempio che venne costruito in più tarda età.

Un alto mito riporta come il culto venne invece istituito da Ercole, che costruì anche l’altare. Avrebbero onorato il culto di Saturno i compagni di Ercole che rimasero nel Lazio, quelli che alcune fonti chiamano Argei3, i mitici antenati dei Romani stabilitisi sul Campidoglio.

Un altro racconto mitologico indica nella popolazione orientale dei Pelasgi4 l’origine del culto di Saturno. L’oracolo di Dodona aveva infatti predetto ai Pelasgi che, arrivati nel Lazio e sconfitti gli Aborigeni, essi avrebbero dovuto consacrare la decima del bottino ad Apollo, sacrificare alcune teste ad Ade e teste umane proprio a Saturno-Crono. I Pelasgi seguirono le disposizioni dell’oracolo: costruirono un tempio per Ade e un altare per Saturno, compiendo i sacrifici prescritti. Sarebbe stato poi Ercole a interrompere la catena di sacrifici umani, convincendo la popolazione a offrire dei fantocci, gli oscilla o sigilla, e Ceri accesi, al posto delle vittime umane.

Il Tempio di Saturno nel Foro Romano

Lato frontale del tempio di Saturno al Foro Romano, Parco Archeologico del Colosseo, Roma (foto di A. Patti).

IL TEMPIO DI SATURNO

Regna la discordia tra le fonti antiche riguardo la datazione della costruzione del tempio di Saturno di età repubblicana; le quali però concordano tutte nell’indicare un sovrano per il rito del votum5 e un’autorità repubblicana per quello della dedicatio6.

Secondo Varrone7, il tempio fu costruito durante il regno di Tarquinio Prisco, quinto re di Roma, ma dedicato in età repubblicana da Tito Larcio, dittatore di Roma nel 501 e nel 498 a.C. Dionigi di Alicarnasso8 e Tito Livio9 invece, indicarono che il voto per la costruzione del tempio venne eseguito da Tarquinio il Superbo, settimo e ultimo re della città, ma la dedica fu adempiuta da Tito Larcio o Postumo Cominio, consoli nel 501 e nel 493 a.C., oppure dai consoli Aulo Sempronio Atratino e Marco Minucio Augurino, nel 497 a.C.

La posizione del tempio ci è nota tramite i numerosi riferimenti letterari nelle opere di tanti scrittori latini10, oltre che nel frammento 18d della Forma Urbis Severiana11. Il tempio fu edificato in una posizione molto particolare del Foro Romano: alle pendici del Campidoglio, tra il vicus Iugarius, che portava al Foro Boario, e il vicus Capitolinus, che conduceva al colle Capitolino, entrambi “continuazione” di quella Via Sacra che attraversava tutto il Foro. A Nord-Est si trovavano i Rostri, la tribuna dove i magistrati recitavano le loro orazioni.

Di fronte al tempio sorgeva l’ara Saturni, l’altare dedicato alla divinità, costruito molto prima del tempio. Secondo la tradizione era stato innalzato da figure mitologiche come Giano, o i Pelasgi, o Ercole, oppure da Tito Tazio (re dei Sabini e co-regnante di Romolo) o Tullio Ostilio (terzo re di Roma) come voto per le sue vittorie sui Latini e i Sabini.

Dentro il tempio era conservata la statua di culto di Saturno. Macrobio12 scrisse che la scultura raffigurava il dio col capo velato e seduto in trono, con una falce tenuta nella mano sinistra. La statua era cava e veniva riempita d’olio, le gambe invece venivano avvolte con bende di lana. Il 17 Dicembre, all’inizio del periodo dei Saturnalia, la festa dedicata a Saturno, le suddette bende venivano sciolte.

Il tempio di Saturno fu scelto come sede dell’erario di Roma, vi si conservava quindi il tesoro di Stato (il denaro pubblico13), l’archivio statale, le insegne militari durante i periodi di pace e una bilancia per la pesatura del metallo non ancora monetato, sotto la custodia dei questori urbani14. Le leggi romane appena promulgate e i provvedimenti statali più importanti venivano affissi a una lastra rettangolare di marmo imperniata al podio di questo tempio15.

Tuttavia, le funzioni di erario e di archivio vennero progressivamente perdute. Sappiamo infatti che l’archivio di Stato venne spostato nel vicino Tabularium; mentre l’amministrazione dell’erario passò a diversi magistrati nel corso del tempo (dopo i questori agli edili, poi ai prefetti e ai pretori), inoltre la divisione tra l’aerarium Saturni, gestito dal Senato, e il fiscus, dell’imperatore, suddivise in due parti i fondi pubblici.

Mappa di Roma, con indicazione della posizione del tempio di Saturno (da Google Maps, rielaborazione di A. Patti).

Pur rimanendo nella stessa collocazione, il tempio di Saturno subì numerosi restauri, dal I secolo a.C. fino al IV secolo d.C. Il primo si data al 42 a.C., per opera di Lucio Munazio Planco, che lo finanziò con un bottino di guerra conquistato grazie alla sconfitta del popolo alpino dei Reti16 o ai proventi di una riuscita campagna in Siria. Come riportato da Svetonio17, questi lavori rientrarono nel vasto progetto di ristrutturazione templare voluta da Ottaviano Augusto.

Su un alto basamento, utile a superare il salto di quota tra il più alto clivus Capitolinus (circa 19 m s.l.m.) e il clivus Iugarius (quasi 15 m s.l.m.), sorgeva il tempio di Saturno d’età augustea. Di tipo etrusco-italico, esso poggiava su un alto podio con due scalinate frontali contigue: la prima era più stretta e partiva dalla strada, la seconda era più larga e conduceva dritta al pronao del tempio. Il podio era costruito in opera cementizia e rivestito di lastre di travertino, e sul lato orientale vi era l’apertura di un vano affacciato sul vicus Iugarius che poteva essere la sede dell’erario.

Il tempio era esastilo: la fronte era decorata con sei colonne sormontate da capitelli corinzi. Le sculture raffiguranti tritoni che soffiano dentro delle conchiglie invece, decoravano il timpano ed erano state posizionate come acroteri sul tetto. L’elemento marino, che poco si addice al tempio di una divinità legata culturalmente all’agricoltura e al mondo ctonio, è giustificata quale simbolo della vittoria di Ottaviano Augusto su Marco Antonio e Cleopatra, avvenuta con la battaglia di Azio nel 31 a.C.

Sui lati lunghi la decorazione del tempio consisteva in tre colonne ioniche e un pilastro con capitello corinzio, mentre delle lesene corinzie correvano lungo tutte le pareti esterne della cella.

Il Tempio di Saturno nel Foro Romano

Tracce di riutilizzo dei blocchi marmorei della trabeazione del tempio di Saturno al Foro Romano, Parco Archeologico del Colosseo, Roma (foto di A. Patti).

L’incendio scoppiato nel 283 d.C. nella zona del Foro danneggiò il tempio18. La sua ricostruzione avvenne tra il 360 e il 394 d.C.19, imposta dalla restaurazione dei culti pagani operata da Giuliano l’Apostata. Questo rifacimento tardoantico ha sostituito le colonne corinzie della fronte con un colonnato in granito grigio e rosa, coi capitelli a quattro facce d’ordine ionico.

I resti del tempio oggi visibili sono proprio il basamento, il podio di età augustea e le basi della seconda, della terza e della quarta colonna della facciata di età tardoantica. La trabeazione in loco è stata costruita con blocchi di un edificio della fine del II – inizi del III secolo d.C. rilavorati per esporre la nuova iscrizione “SENATUS POPULUSQUE ROMANUS INCENDIO CONSUMPTUM RESTITUIT”. Nella parte retrostante, si nota bene come alcuni dei setti in opera laterizia sono stati integrati con blocchetti marmorei in corrispondenza delle colonne. È sopravvissuta anche la soglia del sopracitato vano nell’avancorpo del podio, usato forse come “stanza del tesoro”. Sulla facciata orientale del podio, che si rivolge all’area dei Rostra, sono ancora visibili le tracce dei fori del pannello marmoreo sul quale venivano affisse le nuove leggi.

Il Foro Romano, veduta sul tempio di Saturno, il Tabularium e l’Arco di Settimio Severo, Parco Archeologico del Colosseo, Roma (foto di A. Patti).

IL CULTO DI SATURNO

Saturno veniva rappresentato solitamente come un uomo anziano, canuto, con la barba, con in mano una falce. Questa era l’arma usata per sconfiggere il padre, lo strumento col quale “miete” il tempo, ma anche uno degli utensili più usati in agricoltura. Dio protettore dei gladiatori, era considerato una divinità sanguinaria, particolare che da una spiegazione alle tuniche rosso sangue che portavano i suoi sacerdoti. Oltre a dedicargli un intero mese, Dicembre, i Romani gli avevano intestato un giorno: il dies Saturni, ovvero il Sabato.

Una delle festività più amate e sentite del Calendario Romano erano i Saturnalia. Un giorno inizialmente, e poi un periodo festivo di 5-7 giorni durante il quale l’ordine costituito, cosmico e sociale, veniva sovvertito. Era vietato lavorare, combattere, amministrare la giustizia e portare il lutto. I condannati venivano graziati e gli schiavi liberati.

Pubblicamente, i rituali dei Saturnalia comprendevano un sacrificio al tempio di Saturno, un pubblico banchetto sacrificale, un lectisternio e una processione, dove la statua del dio veniva condotta in giro, fino al suo tempio. Tutti questi riti venivano svolti con il capo scoperto e coronato, perché Saturno non era una divinità celeste, ma ctonia. Inoltre, probabilmente la sua origine greca è stata determinante per la scelta di questa modalità rituale, definita appunto “in graeco ritu”.

Nei quartieri, la plebe festeggiava con banchetti, scambiandosi doni simbolici chiamati strenne, e facendosi un augurio rituale “Io Saturnalia, bona Saturnalia”. Dal 17 al 23 Dicembre, nell’antica Roma si teneva così una sorta di sfilata continua che aveva lo scopo di indurre le divinità infere, come Saturno, che in quei giorni camminavano nel mondo dei vivi, a tornare nel sottosuolo, favorendo il germogliare della semina e garantendo i raccolti.

Il periodo dei Saturnalia era chiamato anche delle Feriae Servorum, perché gli schiavi venivano considerati uomini liberi. Ad esempio, potevano giocare d’azzardo ed essere serviti a tavola dai loro padroni, che si tramutavano in servi.

Inoltre, veniva sorteggiato un Princeps, che portava una maschera e vestiva con colori brillanti, soprattutto di rosso (il colore dell’autorità divina e imperiale). Questa, oltre a rappresentare una caricatura della carica ufficiale, era la parodia di una divinità ctonia come Saturno o Plutone.

Privatamente, i Saturnalia si svolgevano a tavola, in banchetti tra amici che potevano sfociare in orge vere e proprie. A queste feste private ci si scambiava i cosiddetti xenia e apophoreta, i primi erano dei regali da dare agli ospiti, i secondi dei doni estratti tramite sorteggio.

Secondo quanto scritto da Dionigi di Alicarnasso20, la statua di Saturno veniva portata in processione anche durante un’altra occasione: la grande processione, che partiva dal Circo Massimo e giungeva al Campidoglio, organizzata a Settembre per i Ludi Magni o Romani.

Alla dea Ops, nella quale i Romani vedevano la greca Rea, sorella e sposa di Saturno-Crono, era dedicata la festività degli Opalia, durante il periodo dei Saturnalia. Un’ultima festa, ma non meno importante, di questo periodo, collegata a Saturno, era quella dei Sigillaria, dedicata ai doni che i Romani usavano scambiarsi durante i Saturnalia. Questi erano i Sigilla, bambole in argilla o in pasta, realizzati in memoria e/o in sostituzione dei sacrifici umani compiuti dai Pelasgi, e i Ceri, candele accese a scopo apotropaico e d’invito al sole e alla vita. Tuttavia, come testimonia Marziale in molti dei suoi epigrammi21, i Romani usavano regalarsi le cose più disparate, da beni di scarso valore a oggetti di lusso.

La festività dei Saturnalia era così amata, dalle persone di tutti i ceti sociali, che ha avuto la fortuna di espandersi in tutte le province dell’Impero Romano e rimanere in voga fino all’arrivo del Cristianesimo. La festività pagana fu infatti ufficialmente abolita con l’Editto di Tessalonica del 380 d.C. che imponeva il Cristianesimo del credo niceno22 come unica religione di Stato.

Il tempio di Saturno è rimasto per secoli a ricordare la grandezza dei luoghi di culto della Roma imperiale, diventando meta di saccheggi e spoliazioni, ma anche di visitatori da ogni parte del mondo. La sua grandiosità s’intravede nei resti che ancora oggi possiamo ammirare.

Antonietta Patti
Archeologa

NOTE

  1. Secondo la leggenda, dopo l’evirazione, la falce di Crono cadde nei pressi dell’attuale Trapani, in Sicilia, che i Romani chiamavano appunto Drepanum o Drepana, toponimo derivato dall’antico ellenico δρεπανη (“falce”).
  2. I Romani identificarono il titano Rea nella dea Ops.
  3. Gli Argei erano considerati, dagli storici latini, gli antenati dei Romani. Da loro deriva una pratica cultuale assai curiosa, che imponeva il lancio nel fiume Tevere di fantocci dalla forma umana. Questa usanza potrebbe essere il ricordo di sacrifici umani compiuti dagli abitanti del Lazio in età pre-romana, oppure la memoria di una pratica funeraria. Secondo una leggenda, Ercole giunse nel Lazio e poco dopo ripartì, ma alcuni dei suoi compagni, provenienti da Argo, rimasero ospiti della comunità guidata dal re Evandro. Questi, imposero ai loro discendenti di gettare i loro corpi nel Tevere, affinché, scorrendo il fiume e attraversando il mare, potessero ritornare in Grecia. La commemorazione di questo rito funerario imponeva quindi il lancio di fantocci ogni anno.
  4. Secondo una tradizione, i Pelasgi furono la prima popolazione che abitò la Grecia. Da Argo, città della loro mitica origine, partirono verso l’Occidente per raggiungere anche il Lazio, all’epoca abitato dagli Aborigeni, una popolazione autoctona.
  5. La promessa fatta alla divinità della costruzione del tempio, per richiederne i favori o come pegno per una grazia ricevuta.
  6. La dedica ufficiale del santuario al dio. Il giorno in cui avveniva era considerato il dies natalis della divinità, e diventava una data importante nel calendario romano, una ricorrenza festeggiata con cerimonie annuali.
  7. Varrone in Macrobio, Saturnalia, I, 8.
  8. Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VI, 1.
  9. Tito Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione, II, 21.
  10. Tra i tanti basta citare: Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VI, 1, 4; Tito Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione, 41, 21, 12; Macrobio, I Saturnali, VIII, 1; Varrone, La ligua latina, V, 7.
  11. La Forma Urbis Severiana è una pianta di Roma marmorea datata al III secolo d.C.
  12. I Saturnali, VIII, 5.
  13. Custodito dentro il tempio di un dio il cui regno non aveva conosciuto furti.
  14. CIL I, 593, 46.
  15. CIL 587, cfr. 589.
  16. CIL VI, 1316; X, 6087.
  17. Svetonio, Le vite dei Cesari, Augusto, 29.
  18. CIL VI, 937.
  19. Anni nei quali Macrobio scrisse i suoi Saturnali.
  20. Dionigi di Alicarnasso, Antichità Romane, VII, 72, 13.
  21. Nato come breve iscrizione dedicatoria di carattere funerario, divenne una forma poetica molto diffusa a Roma. L’epigramma era un componimento poetico di carattere ironico e/o satirico, di breve lunghezza, avente lo scopo di condurre il lettore alla risata e/o alla riflessione.
  22. La forma religiosa che rispetta i canoni decisi nel Concilio di Nicea del 325 d.C. e nel Primo Concilio di Costantinopoli del 381 d.C.

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