La vicenda della morte di Roberto Sabbatini non è soltanto un tragico fatto di cronaca nera avvenuto tra le strade di Roma, ma rappresenta lo scontro violento tra due mondi opposti: quello di chi vive il proprio dovere quotidiano con dedizione e quello di chi, di fronte alle proprie responsabilità, sceglie la via del silenzio e della fuga. Roberto aveva 67 anni e la mattina del 9 dicembre scorso, come ogni giorno, si trovava alla guida del suo furgone Dacia Dokker per consegnare cornetti e prodotti da forno. Era una figura che incarnava quella Roma laboriosa che si sveglia prima dell’alba per far funzionare la città. Il suo percorso si è interrotto bruscamente all’incrocio tra via Ettore Rolli e via Carlo Porta, quando una Mercedes classe A lo ha travolto con una violenza tale da non lasciargli scampo, coinvolgendo nell’urto anche diverse auto in sosta e persino l’arredo urbano.
Una vita dedicata al lavoro interrotta nel buio
La dinamica dell’incidente avvenuto nel cuore del quartiere Portuense racconta di un impatto devastante. Mentre Roberto Sabbatini si spegneva sul colpo a causa delle ferite riportate, il conducente della Mercedes, un giovane di 26 anni con precedenti, decideva di abbandonare il luogo del disastro. All’interno dell’auto tedesca è rimasto ferito solo il proprietario del mezzo, un uomo di 33 anni, il quale ha subito riferito agli agenti della Polizia Locale che al volante non c’era lui, ma un’altra persona scappata subito dopo lo schianto. Questa dichiarazione ha dato il via a una caccia all’uomo che si è protratta per giorni, coinvolgendo diverse unità delle forze dell’ordine e mettendo in luce la freddezza di chi, pur avendo causato una tragedia, ha preferito cercare la salvezza personale piuttosto che prestare soccorso a un uomo che stava semplicemente svolgendo il suo mestiere.

La rete invisibile delle indagini tecnologiche
Il ritrovamento del sospettato non è stato frutto del caso, ma di un’operazione investigativa complessa e meticolosa. Gli agenti del X Gruppo Mare della Polizia Locale di Roma Capitale, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica, hanno ricostruito il mosaico dei movimenti del fuggitivo incrociando dati provenienti da fonti diverse. Sono state fondamentali le analisi delle telecamere di sorveglianza della zona, che hanno immortalato i momenti precedenti e successivi all’impatto, ma soprattutto l’esame dei tabulati telefonici. Grazie alla tecnologia delle celle telefoniche, gli inquirenti hanno potuto seguire la traccia digitale lasciata dal ventiseienne, che nel frattempo aveva fatto perdere le sue tracce a Roma rendendosi irreperibile in tutti i domicili conosciuti. La svolta è arrivata individuando un contatto stretto del giovane, che ha portato gli investigatori dritto a Reggio Calabria, dove il pirata della strada pensava di aver trovato un rifugio sicuro lontano dalla capitale.






