Domenica di fuoco alla Prenestina: benzina davanti al bar, spunta l’ombra della vendetta in famiglia

La domenica mattina a Roma è solitamente scandita dal rito del caffè e dai ritmi lenti di una città che cerca di riprendersi dalla frenesia settimanale. Tuttavia, lo scorso 21 dicembre, il silenzio di via Prenestina è stato bruscamente interrotto da un evento che nulla ha a che vedere con la quiete festiva. Poco prima delle otto, mentre i primi residenti iniziavano a scendere in strada, un attentato incendiario ha colpito un bar della zona, trasformando un’attività commerciale in un palcoscenico di violenza e paura. Una tanica di benzina, abbandonata come una firma silenziosa davanti alla porta annerita, ha immediatamente chiarito la natura dolosa del gesto, aprendo uno squarcio su una vicenda che sembra affondare le radici non nella criminalità organizzata, ma nei veleni di un nucleo familiare lacerato.

La cronaca di un risveglio tra le fiamme

I fatti si sono consumati con una rapidità inquietante. Un uomo, approfittando della semioscurità e della scarsa affluenza di quell’ora, ha versato del liquido infiammabile contro l’ingresso del locale e ha appiccato il fuoco prima di dileguarsi nel nulla. L’allarme è scattato immediatamente, permettendo ai vigili del fuoco di intervenire con tempestività. Grazie alla loro professionalità, l’incendio è stato domato prima che potesse propagarsi all’interno o coinvolgere i piani superiori del palazzo. Nonostante la porta d’ingresso porti i segni evidenti del rogo, i danni strutturali sono stati limitati e il locale è stato dichiarato agibile. Resta però il danno immateriale, quello legato alla percezione di sicurezza di chi in quel bar ci lavora e di chi lo frequenta ogni giorno.

Le indagini e l’ipotesi della lite tra fratelli

Gli investigatori della polizia di Stato, supportati dai rilievi della scientifica, si sono messi subito al lavoro per dare un volto e un nome all’attentatore. Oltre alla tanica rinvenuta sul posto, l’attenzione degli inquirenti si è focalizzata sulle telecamere di sorveglianza della zona, che potrebbero aver ripreso le fasi della fuga. Ma è scavando nella vita privata dei protagonisti che è emersa la pista più concreta e, per certi versi, più amara: quella di una faida familiare. Una delle ipotesi principali, infatti, vede come possibile autore del gesto proprio il fratello del titolare del bar. Dissidi profondi, rancori mai sopiti o questioni economiche in sospeso avrebbero spinto un consanguineo a compiere un atto così estremo, trasformando un legame di sangue in un motivo di aggressione. Un bar non è solo un esercizio commerciale; è un presidio sociale, un punto di incontro per il quartiere. Quando un conflitto familiare decide di manifestarsi attraverso un attentato incendiario contro un’attività economica, si compie un atto di “spettacolarizzazione” del dolore e della rabbia

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