Il Carcer Tullianum

Carcer Tullianum

Sotto la Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, nel Foro Romano, sorge il Carcer Tullianum, dal VIII secolo Carcere Mamertino, la più antica prigione romana. Sul nome del carcere ancora oggi vi è incertezza, per alcuni, soprattutto per l’agiografia cristiana, il nome deriverebbe dalla parola latina tullus (polla d’acqua), perché si narra di una polla d’acqua fatta scaturire da due degli apostoli, Pietro e Paolo, ma secondo alcuni storici invece il nome deriverebbe da uno dei Tulli, Tullio Ostilio o Servio Tullio. Anche sulla derivazione del nome Mamertino vi sono incertezze: per alcuni deriverebbe da Anco Marzio, per altri da un antico appellativo di Marte, Mamers.

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Il carcere, che si trova alle pendici del Campidoglio, vicino alle Scale Gemonie, andando verso il Comitium, era formato da due livelli scavati nelle grotte. La più antica tra queste, detta Tullianum, è dell’VIII-VII a. C., scavata nelle Mura Serviane, in quella cinta muraria che serviva da protezione al Campidoglio. Durante la Repubblica venne scavata la seconda, col nome di Carcer, che vi si sovrapponeva. Vi era una profonda differenza tra i due piani: nel Carcer venivano detenuti normali malfattori in attesa di giudizio; nel Tullianum venivano comminate le pene in segretezza. Per la giurisdizione romana, la moderna idea di carcerazione era sconosciuta: esistevano le pene capitali oppure multe e confische. Costruito con grandi pietre di peperino e di travertino, vi si accedeva originariamente da una piccola porta, ora murata, dalla quale si poteva accedere anche alle lautumiae, celle carcerarie ricavate dalle antiche cave di tufo. La facciata in blocchi di travertino è di epoca imperiale, come si può dedurre dai nomi di due consoli, Nerva e Rufino, che vi sono incisi.

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La facciata più antica invece, celata da quella più moderna, era in tufo. Da qui si poteva accedere in una stanza con volte a botte, costituita da blocchi di tufo, tramite i quali è stato possibile risalire alla datazione della costruzione, che sarebbe il II secolo a. C., epoca in cui le cave di questi materiali erano in uso. Troviamo poi un foro nel pavimento, oggi chiuso da una grata, dal quale si poteva accedere alla parte inferiore, il Tullianum, di forma circolare, costruito con blocchi di peperino. E’ qui che i prigionieri di Stato venivano condotti e poi giustiziati per strangolamento, come avvenne a Giugurta, re di Numidia, e Vercingetorige, capo dei Galli. Attorno al VII secolo iniziò la cristianizzazione dell’antico complesso carcerario.

Campitelli - Mamertinum Tullianum 1040078.JPG

Di Lalupa – Self-published work by Lalupa, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2384106

Secondo l’agiografia cristiana, come dicevamo, nella cella più bassa gli apostoli Pietro e Paolo, lì imprigionati, fecero scaturire una polla di acqua per battezzare i custodi del carcere, Processo e Martiniano che vennero poi martirizzati, e i compagni di cella. Grazie a questa tradizione il carcere divenne una chiesa, San Pietro in Carcere, consacrata sotto il pontificato di papa Silvestro I e probabilmente è grazie a questa sua importanza nella tradizione cristiana se il complesso è arrivato sino a noi.

Oggi è un museo. Molti furono gli autori romani che parlarono e descrissero il carcere Tulliano. La più famosa tra queste descrizioni fu quella di Gaio Sallustio Crispo, che ne parlò nel De Catilinae Coniuratione. Ma anche molti altri autori lo menzionarono: Plinio il Vecchio nella Curia Hostilia; Calpurnio Flacco nelle Declamationes; Plutarco in Vita Marii, Valerio Massimo nel Factorum et Dictorum Memorabilium; Tito Livio nel famoso Ab Urbe Condita.

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