Il Foro Romano, noto anche come Forum Magnum dai Romani, rappresentava il principale punto di incontro ufficiale per i cittadini romani. Qui si riunivano per partecipare, o semplicemente assistere, agli affari amministrativi, politici, economici e religiosi che coinvolgevano la loro comunità. Il Foro era il cuore pulsante e il centro nevralgico dell’intera civiltà romana.
Dopo oltre un millennio di attività praticamente ininterrotta, il Foro Romano è oggi un’importante area archeologica situata tra Piazza Venezia e il Colosseo, attraversata dalla Via dei Fori Imperiali. Questa vasta area si estende anche sul Palatino, sul Campidoglio e si collega all’area del Colosseo e dell’Arco di Costantino. Tuttavia, quando si parla di Foro Romano, ci si riferisce in realtà solo alla parte centrale della vallata compresa tra il Campidoglio, il Palatino e il Quirinale.
Durante l’età tardoantica e nei secoli successivi, il Foro Romano subì un graduale declino. Fu soggetto a frequenti spoliazioni, con il materiale edilizio riutilizzato in nuove costruzioni, e cambi di destinazione d’uso, fino a trovarsi, nel XVI secolo, quasi completamente sepolto e adibito a pascolo per bovini. Solo dopo l’Unità d’Italia e durante il periodo fascista l’area del Foro Romano è stata riportata alla luce, diventando uno dei siti archeologici più importanti e visitati del mondo.
Come nacque il Foro Romano?
La valle in cui si sviluppò il Foro era originariamente una zona paludosa e inospitale, utilizzata come necropoli dalle popolazioni dei villaggi circostanti tra il X e il VII secolo a.C. La bonifica dell’area avvenne intorno al 600 a.C., per volere del re Tarquinio Prisco, grazie alla costruzione della Cloaca Maxima, un grande sistema fognario. Questo intervento permise di drenare la valle, che fu poi pavimentata in tufo.
La piazza, di forma rettangolare, nacque come mercato e luogo per l’attività politica e giudiziaria, situata in una posizione centrale della città, dove convergevano molte delle strade principali, tra cui la Via Sacra, che si estendeva dalle pendici del Campidoglio fino all’Arco di Tito. L’efficacia della Cloaca Maxima fu tale che l’unico ricordo dell’antica palude rimase il lacus Curtius, un laghetto ormai scomparso, commemorato solo da un piccolo monumento.
Nel corso della sua storia, il Foro Romano si arricchì di edifici e monumenti di straordinaria bellezza, molti dei quali sono ancora visibili oggi. In questo articolo, ci proponiamo di elencare queste opere, offrendo ai lettori una guida per riconoscerle e apprezzarle durante una visita al Foro Romano.
I monumenti del Foro
Nella seconda metà del VI secolo a.C., durante il periodo monarchico, furono eretti i primi monumenti arcaici del Comizio, luogo destinato alle assemblee dei cittadini (comizi curiati) e centro della vita politica di Roma. Oggi ne restano visibili solo pochi frammenti, a causa delle trasformazioni avvenute in epoca cesariana e augustea, che ne determinarono la quasi totale scomparsa. Nei pressi del Comizio, situato nell’angolo nord-orientale del Foro, si trovava il Lapis Niger, un’area pavimentata con pietra scura, legata secondo la leggenda alla morte di Romolo. Qui è stata rinvenuta la più antica iscrizione latina conosciuta.
Sul lato ovest del Comizio, verso le pendici del Campidoglio, sorgeva il Volcanale, un antico santuario dedicato al dio Vulcano. Secondo la tradizione romana, il Volcanale fu consacrato da Romolo, che vi collocò una quadriga di bronzo dedicata al dio, trofeo di guerra dopo la vittoria sui Fidenati, e una propria statua con un’iscrizione che elencava i suoi successi, scritta in caratteri greci. Oggi, il Volcanale si presenta come una superficie scavata da varie canaline, con di fronte i resti di un canale di drenaggio fatto di lastre di tufo. Si è ipotizzato che si trattasse dell’ara stessa di Vulcano. La roccia mostra segni di danni e riparazioni, e presenta alcune cavità, sia rotonde sia squadrate, che in passato alcuni studiosi hanno interpretato come tombe.
Anche la Regia, situata all’estremità sud-est del Foro, risale al VI secolo a.C. Oggi è possibile vedere solo una parte di quella che era l’abitazione originaria del re, dove probabilmente il Rex sacrorum e il Pontefice massimo svolgevano le loro funzioni religiose. L’edificio presentava una forma irregolare, con interni suddivisi in tre stanze, una camera centrale d’ingresso e un cortile. Nelle vicinanze della Regia si trovavano alcuni pozzi, ancora visibili, e secondo la tradizione, vi crescevano due piante d’alloro. Molti dei frammenti marmorei sparsi nell’area circostante risalgono alla ricostruzione della Regia avvenuta nel 36 a.C.
Nell’area del Comizio si trovava anche la Curia Hostilia, il più antico luogo di riunione del Senato romano, la cui fondazione è attribuita, secondo la leggenda, al terzo re di Roma, Tullio Ostilio. Questo edificio venne distrutto da un incendio nel 52 a.C., durante i funerali di Publio Clodio Pulcro, e successivamente ricostruito dai figli di Silla. Con la costruzione del Foro di Cesare, la Curia Hostilia fu definitivamente demolita (i suoi resti sono ancora sepolti sotto la chiesa dei Santi Luca e Martina), e al suo posto fu eretta la Curia Iulia, una struttura più ampia, che è giunta fino a noi grazie alle successive ristrutturazioni.
La Curia Iulia fu completata e inaugurata da Augusto il 28 agosto del 29 a.C. Restaurata sotto Domiziano nel 94 d.C., fu nuovamente ricostruita da Diocleziano dopo l’incendio del 283 d.C., durante il regno dell’imperatore Carino. All’interno della Curia si trovano due grandi rilievi, probabilmente appartenenti a balaustre di una tribuna, scoperti al centro del Foro e noti come plutei di Traiano. In epoca antica, al centro della parete di fondo, tra due porte, si ergeva la statua della Vittoria, alla quale i senatori giuravano fedeltà alla Repubblica. Questa statua, portata a Roma da Ottaviano da Taranto, aveva un profondo significato simbolico per le istituzioni romane.
Accanto alla Regia, all’estremità orientale del Foro, sorge il tempio di Vesta. Di piccole dimensioni e di forma circolare, i resti visibili oggi appartengono in gran parte a una ricostruzione moderna che incorpora elementi originali in marmo, integrati con travertino. Nella sua ultima fase, il tempio era costituito da un podio circolare in opera cementizia, rivestito da lastre di marmo, con un diametro di circa 15 metri, che sorreggeva la cella rotonda. Dal podio sporgevano i piedistalli per venti colonne corinzie, che formavano la peristasi. L’edificio era probabilmente coperto da un tetto conico, dotato di un’apertura centrale per far uscire i fumi del fuoco sacro acceso all’interno. Dopo l’incendio del 191 d.C., il tempio fu nuovamente ricostruito sotto il regno di Commodo, per volere di Giulia Domna, moglie del futuro imperatore Settimio Severo, assumendo la forma attuale. Il tempio rimase in piedi fino al 1549, ma fu poi distrutto e riscoperto solo nell’Ottocento.
Il tempio di Vesta è probabilmente uno dei più antichi di Roma, forse risalente a un’epoca in cui la città era ancora limitata al Palatino e formata da un’aggregazione di villaggi, quindi precedente alla costruzione del Foro. Secondo la tradizione romana, la sua edificazione fu voluta da Numa Pompilio.
Durante l’età repubblicana, le costruzioni all’interno del Foro Romano continuarono a espandersi. Tra queste, il Tempio di Saturno, eretto nei primi anni della Repubblica (e sottoposto a numerosi restauri fino al tardo IV secolo), si trovava ai piedi del Campidoglio, a sud-ovest dei Rostri imperiali, le tribune da cui i magistrati pronunciavano i loro discorsi. Il tempio fungeva da sede del tesoro di Stato e ospitava una statua di Saturno, che veniva riempita d’olio e avvolta in bende di lana. Durante i Saturnali, le celebrazioni che si tenevano dal 17 al 23 dicembre, le bende venivano rimosse, si organizzava un banchetto pubblico e il gioco d’azzardo era permesso. La festa si concludeva tradizionalmente con il grido «Io Saturnalia».
I resti oggi visibili del tempio includono le colonne in granito della facciata e le prime due dei lati, oltre ai capitelli ionici a quattro facce. Vicino al tempio si trovava il Miliarium Aureum, una colonna di marmo rivestita di bronzo dorato, eretta da Augusto nel 20 a.C., quando fu nominato curator viarum. Sebbene spesso si creda che fosse il punto di riferimento per la misurazione delle distanze lungo le vie romane, questa funzione non è confermata con certezza.
A sud-est del Foro Romano si ergeva anche il Tempio dei Castori, o Tempio dei Dioscuri, dedicato a Castore e Polluce e costruito nel V secolo a.C. Dell’edificio, ricostruito da Tiberio, oggi rimangono tre colonne del lato lungo orientale e il nucleo del podio in opera cementizia. Questo nucleo era originariamente riempito tra le strutture portanti costruite in opera quadrata, i cui blocchi furono successivamente asportati per il riutilizzo. A partire dal 160 a.C., il tempio fu utilizzato come sede di riunione del Senato, e nello stesso periodo, un importante tribunale fu istituito di fronte ad esso. Durante il I secolo a.C., il tempio assunse una funzione più pubblica e politica, piuttosto che religiosa. Gli ambienti aperti nel podio venivano utilizzati per conservare i pesi e le misure ufficiali, e alcuni spazi fungevano da “banche” o depositi. Nelle vicinanze del tempio si trovava la Fonte di Giuturna, una sorgente monumentale decorata durante l’epoca repubblicana e scoperta nel 1900 da Giacomo Boni. La datazione più accettata per il restauro della fonte è quella associata al restauro del vicino Tempio dei Castori, eseguito da Lucio Cecilio Metello Dalmatico nel 117 a.C. Sono visibili anche i restauri successivi, probabilmente risalenti all’inizio dell’epoca imperiale, in un tufo diverso, riconducibili al restauro tiberiano del tempio.
Nel IV secolo a.C., fu eretto un altro tempio, quello della Concordia. Situato all’estremità occidentale del Foro, accanto al Tempio di Vespasiano e Tito (dedicato all’imperatore Vespasiano), il Tempio della Concordia è uno dei primi esempi di culto dedicato a una personificazione, piuttosto che a una divinità, un modello che avrebbe trovato numerosi altri esempi in seguito. Durante l’epoca repubblicana, il tempio fu anche utilizzato come archivio di Stato e sede di riunioni del Senato romano; è qui che, ad esempio, il Senato condannò a morte Seiano.
I lavori per l’edificazione del Tempio della Concordia furono avviati nel 367 a.C. da Lucio Furio Camillo per commemorare la riconciliazione tra plebei e patrizi, e successivamente ricostruito da Lucio Opimio per promuovere l’armonia dopo l’assassinio dei Gracchi. Secondo gli scritti di Svetonio, anche Tiberio restaurò il tempio tra il 7 e il 10 a.C., distinguendosi per la sontuosità dei marmi e i ricchi ornamenti architettonici. Il tempio divenne così ricco di sculture greche, dipinti e altre opere d’arte che finì per trasformarsi in una sorta di museo dell’arte e della scultura.
Oggi, dei resti del Tempio della Concordia rimangono solo il basamento in tufo, il podio, la soglia della cella formata da due blocchi di marmo con un caduceo inciso, e i gradini che conducevano al pronao. Una parte dell’antica trabeazione è invece conservata nel Tabularium.
Parliamo ora del Tabularium, un monumento situato sul Campidoglio, la cui caratteristica facciata ad archi domina il Foro Romano. Generalmente si ritiene che questo edificio fosse concepito come un vero e proprio archivio di Stato, destinato alla conservazione di atti pubblici, decreti del Senato e trattati di pace. Questi documenti erano incisi su tabulae di bronzo, da cui deriva il nome Tabularium. La costruzione attuale risale al 78 a.C., come attestano due iscrizioni che indicano Quinto Lutazio Catulo come responsabile della ricostruzione dopo l’incendio dell’83 a.C. Oggi, il Tabularium fa parte del complesso dei Musei Capitolini ed è accessibile attraverso la Galleria Lapidaria, che collega Palazzo Nuovo a Palazzo dei Conservatori.
Nel II secolo a.C., dopo l’incendio che devastò diverse parti del Foro nel 210 a.C., furono costruite quattro basiliche sotto il regime di Silla: la Basilica Emilia, la Porcia (la più antica), la Sempronia e la Opimia. In seguito, la Porcia e la Sempronia furono sostituite dalla Basilica Giulia, edificata su ordine di Cesare e completata sotto Augusto. Sebbene sia giunta fino a noi solo in forma di rovine, la Basilica Emilia è l’unica basilica dell’età repubblicana sopravvissuta, anche se ha subito numerosi restauri e rifacimenti nel corso dei secoli.
La Basilica Giulia fu costruita su un’area in leggera pendenza, alle ultime propaggini del Campidoglio, come si può dedurre dal diverso numero di gradini sui due lati brevi. I lavori per la sua edificazione furono avviati nel 54 a.C. per volere di Cesare e completati nel 46 a.C. da Augusto, suo nipote. La basilica subì un incendio nel 12 a.C., ma fu ricostruita per volere di Augusto, che la dedicò ai suoi figli adottivi, Gaio e Lucio. Danneggiata nuovamente dal grande incendio sotto l’imperatore Carino nel 283 d.C., fu restaurata da Diocleziano nel 285 d.C.
Oggi, di questo monumento rimangono solo poche vestigia: il podio, che si eleva su alcuni gradini, conserva parti della pavimentazione e alcune semicolonne. I resti dei pilastri in mattoni visibili sono frutto di un restauro del XIX secolo. È interessante notare che sui gradini della basilica rivolti verso il Foro, così come sul pavimento delle gallerie, si possono ancora osservare incisioni che riproducono tavole da gioco simili a quelle degli scacchi, del filetto e del tris, oltre al gioco delle fossette o tropa (tabulae lusoriae). Altri graffiti raffigurano statue che si trovavano nei dintorni.
Nel periodo imperiale, soprattutto sotto Augusto, la piazza del Foro Romano acquisì una maggiore regolarità con l’edificazione delle basiliche Emilia e Giulia sui lati lunghi, i Rostri sul lato orientato verso il Campidoglio (le tribune, il cui nome deriva dalle prue delle navi nemiche strappate dai Romani dopo la battaglia di Azio) e il Tempio del Divo Giulio, dedicato nel 29 a.C. da Augusto a Cesare dopo la sua morte e divinizzazione.
Il lato breve sud-occidentale del Foro fu sistemato con il Tempio del Divo Giulio, incorniciato dall’Arco Partico di Augusto e dal portico dell’Arco di Gaio e Lucio Cesari, che occultavano alla vista i più antichi monumenti della Regia e del Tempio di Vesta. La parte frontale, decorata con i rostri delle navi nemiche sconfitte ad Azio, ospitava una nicchia circolare al cui centro si trovava l’altare dove si svolsero i funerali di Cesare, luogo che ancora oggi viene adornato con fiori in occasione delle Idi di marzo.
Durante l’età dei Flavi, venne eretto il Tempio del Divo Vespasiano, di cui abbiamo accennato in precedenza. Questo tempio fu iniziato sotto il regno di Tito e completato da Domiziano, con la prima menzione nelle fonti antiche risalente all’87 d.C. La dedica originale era rivolta esclusivamente a Vespasiano, nonostante il completamento avvenisse dopo la morte del figlio e successore Tito, anch’egli divinizzato come Divus Titus. Il tempio fu successivamente restaurato da Settimio Severo e Caracalla.
Il Tempio di Vespasiano occupa lo spazio tra il Tempio della Concordia e il Portico degli Dei Consenti, addossandosi al Tabularium, che si trova sulle pendici del Campidoglio. Anteriormente, è delimitato dal percorso del Clivo Capitolino (Clivus Capitolinus), la strada utilizzata per i cortei trionfali diretti al colle, che lo separa dal Tempio di Saturno. Oggi, del tempio rimangono le tre celebri colonne angolari, alte 15,20 metri, con capitelli corinzi che sostengono ancora una parte della trabeazione. Quest’ultima, risalente ancora all’epoca flavia, è composta da una cornice con mensole e da un fregio-architrave, sulla cui fronte si trova l’iscrizione severiana, realizzata rilavorando i blocchi della fase precedente.
Al di fuori dell’area del Foro, venne costruito l’Arco di Tito sulla Via Sacra, verso la Velia, probabilmente su iniziativa di Domiziano. Capolavoro dell’arte romana, questo arco di trionfo rappresenta senza dubbio il monumento simbolo dell’epoca flavia, introducendo significative innovazioni sia dal punto di vista architettonico-strutturale sia artistico-scultoreo. Completato nel 90 d.C., dopo la morte di Tito, l’arco fu eretto in memoria della guerra giudaica condotta dall’imperatore in Galilea.
Nel II secolo d.C. venne edificato il Tempio di Antonino e Faustina, successivamente inglobato nella chiesa di San Lorenzo in Miranda. Costruito dopo la morte dell’imperatrice Faustina nel 141 d.C., il tempio fu dedicato a lei dal Senato, come ricorda l’iscrizione sulla facciata (DIVAE FAVSTINAE EX S C). Alla morte dell’imperatore Antonino Pio nel 161 d.C., il tempio fu dedicato anche a lui, con l’aggiunta di una riga sopra l’iscrizione originale (DIVO ANTONINO ET).
Agli inizi del III secolo, fu eretto l’Arco di Settimio Severo lungo il percorso della Via Sacra. Questo arco trionfale a tre fornici, situato all’angolo nord-ovest del Foro, fu costruito tra il 202 e il 203 d.C. per celebrare le vittorie di Settimio Severo sui Parti, ottenute con due campagne militari concluse nel 195 e nel 197-198 d.C. Dedicato all’imperatore e ai suoi due figli, Caracalla e Geta, l’arco si collocava nel Foro come pendant ideale all’Arco di Augusto, anch’esso dedicato a una vittoria partica, e insieme all’Arco di Tiberio e al portico di Gaio e Lucio Cesare, costituiva uno dei quattro accessi monumentali alla piazza forense. L’accesso era impedito ai carri grazie a gradini posti sotto i fornici.
Nei pressi dell’arco si trovava l’umbilicus urbis Romae, considerato il centro ideale della città di Roma, rappresentato da un cono di mattoni, in parte ancora conservato, rivestito di marmi bianchi e colorati. Sulla cima, probabilmente, si ergeva una colonna o una statua.
Durante il regno di Diocleziano, ai numerosi monumenti che già affollavano l’area della piazza furono aggiunte cinque colonne su alti basamenti in muratura, destinate a celebrare la Tetrarchia.
Nel IV secolo d.C. fu edificata la Basilica di Massenzio, successivamente completata da Costantino I. Questa basilica, la più grande e l’ultima delle basiliche civili nel cuore monumentale di Roma, era situata originariamente sul colle della Velia, che collegava il Palatino all’Esquilino. Pur non essendo parte integrante del Foro Romano, la basilica si trova nelle sue immediate vicinanze.
L’ultimo monumento eretto nei Fori risale al 608 d.C.: si tratta della Colonna di Foca, collocata per ordine del Senato in onore dell’imperatore romano d’Oriente Foca. Realizzata in marmo bianco (nello specifico, in marmo proconnesio), la colonna si trova ancora oggi nella sua posizione originale, isolata tra le rovine, ma costituisce un punto di riferimento nel Foro, spesso raffigurato in vedute e incisioni.
Nel Medioevo, i monumenti del Foro Romano caddero in rovina, con molti di essi utilizzati come materiale per nuove costruzioni. Il Foro si interrò lentamente e venne trasformato in terreno per il pascolo e la semina, diventando noto come “Campo Vaccino”.
All’inizio del XVI secolo, Papa Giulio II decise di utilizzare l’intera area del Foro Romano come cava di materiali da costruzione, spesso trasformandoli in calce, per il suo ambizioso progetto di rinnovamento edilizio e artistico della città. Secondo testimoni oculari come Pirro Ligorio, la distruzione dei monumenti avvenne in modo rapidissimo: in alcuni casi, bastava un solo mese per demolire edifici quasi intatti. Le proteste di artisti come Raffaello e l’indignazione di Michelangelo non riuscirono a fermare lo scempio che stava colpendo il Foro. Fu solo grazie alle imponenti opere urbanistiche dell’Italia post-unitaria e degli anni successivi che il Foro Romano fu gradualmente riportato alla luce, studiato e trasformato in un’area museale. Dal 2012, la giunta comunale di Roma ha installato un sistema di illuminazione che permette ai turisti di ammirare il Foro e i suoi monumenti anche di sera.