L’imperatore Domiziano, un innovatore divenuto tiranno

L’imperatore Domiziano, un innovatore divenuto tiranno

Nella narrazione storica tradizionale, Domiziano emerge come una figura dominata da collera, spregiudicatezza e megalomania, poco rispettosa della vita altrui e profondamente ossessionata dal potere. Questo terzo esponente della dinastia flavia si trovò a confrontarsi con l’eredità dei grandi successi, specialmente in campo militare, ottenuti dal padre Vespasiano e dal fratello maggiore Tito, suoi predecessori.

Domiziano, pur avendo indubbi limiti caratteriali, venne condannato all’oblio, come accadde per Nerone, dal Senato che, anziché ricordarlo in modo obiettivo, ne conservò un’immagine distorta e fortemente negativa. È comprensibile, quindi, che di lui sia giunta fino a noi solo la fama di uomo violento e indifferente agli affari pubblici. Un esempio significativo è dato dal poeta Giovenale che, nella sua quarta satira, così dipinge Domiziano: “Quando l’ultimo dei Flavi massacrava un mondo già a pezzi e Roma obbediva a un Nerone calvo”. Unico tratto a distinguere Domiziano da Nerone, simbolo dell’imperatore incapace e dannoso per i patres, era appunto la calvizie. Tuttavia, come sempre, è saggio mantenere un certo scetticismo nei confronti delle fonti.

Denario di Domiziano, Di Classical Numismatic Group, Inc. http://www.cngcoins.com, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4222514

LA GIOVINEZZA DIFFICILE DI DOMIZIANO

Domiziano nacque nel 51 d.C. nel quartiere del Malum Punicum, noto come “melo cartaginese,” una zona del Quirinale dove la famiglia Flavia possedeva dei terreni. Qui, secondo Svetonio, si stabilirono i suoi primi legami con Roma, e in futuro Domiziano stesso avrebbe fatto erigere un tempio dedicato alla sua gens. La sua vita fu profondamente influenzata dagli eventi storici dell’epoca, tra cui l’ascesa al potere del padre Vespasiano durante il turbolento biennio 68-69 d.C., in seguito alla morte di Nerone. La prima vicenda documentata su Domiziano risale a quando, diciottenne, riuscì per poco a salvarsi dal disastro provocato da Vitellio sul Campidoglio, quando il giovane riuscì a fuggire rocambolescamente dal colle in fiamme, nascondendosi dapprima nella stanza di un custode e poi travestendosi da sacerdote di Iside per evitare la cattura.

Nel clima di lotte per il trono, con Vespasiano e Tito impegnati in campagne militari e Domiziano costretto a Roma in una sorta di ruolo secondario, iniziò a profilarsi per lui un destino di “erede minore”. Mentre il Senato acclamava Vespasiano e assegnava a Tito cariche di prestigio, come il consolato, a Domiziano spettò solo il ruolo di pretore, meno rilevante e carico di prestigio. La sua frustrazione cresceva per il continuo confronto con le imprese gloriose del fratello maggiore, che si era distinto nella campagna di Gerusalemme, mentre a lui veniva lasciata solo una gestione di rappresentanza a Roma, spesso sotto la guida di Muciano, il vero decisore dietro le quinte.

Questa emarginazione politica lo portò a cercare nuove alleanze: nel 70 d.C. sposò Domizia Longina, che aveva ottenuto dopo il suo divorzio dal precedente marito, seguendo un percorso che ricordava il matrimonio di Augusto con Livia. L’unione con Domizia lo avvicinava alla classe senatoria, una base di potere che lo avrebbe aiutato a compensare la mancanza di cariche militari riservate al fratello. Durante il regno di Tito, Domiziano si dedicò soprattutto alla vita di corte e alla poesia, un campo in cui si dice dimostrasse talento. Quintiliano, suo ammiratore, elogiò le sue poesie, dipingendolo come uno scrittore ispirato dagli dei, pur riconoscendo come le sue abilità letterarie fossero oscurate dalle ambizioni e dalle lotte per il potere.

Alla fine, il destino di Domiziano cambiò con la morte di Tito nell’81 d.C., evento che gli permise di ottenere finalmente il titolo di imperatore. L’ansia di dimostrare il proprio valore, coltivata a lungo durante gli anni di subordinazione, si tradusse in una determinazione implacabile e un desiderio di controllo assoluto, tratti che lo condussero alla fine alla sua rovina.

L’IMPERO DI DOMIZIANO: UN UOMO LEGATO AL PASSATO, MALVISTO DAL SENATO

Domiziano, fin dall’inizio del suo regno, manifestò una profonda sfiducia verso chi lo circondava, forse alimentata dalle difficoltà della sua giovinezza e dalla percezione di una generale ostilità. Questa insicurezza si rifletté in molte delle sue decisioni, portandolo a tenere le distanze e a mantenere un rapporto sempre teso con il Senato. Sebbene inizialmente i senatori lo avessero supportato durante la reggenza per Vespasiano e Tito, Domiziano non ricevette mai un vero appoggio. Anche il suo matrimonio con Domizia Longina, sospettata di infedeltà con Tito, non riuscì a migliorare i rapporti, che peggiorarono presto.

Una delle prime scelte simboliche di Domiziano fu quella di farsi chiamare dominus et deus (signore e dio), una definizione già adottata da imperatori come Nerone e Caligola, che esprimeva la sua visione assoluta del potere, ma che risultò sgradita ai senatori. Questa concezione divina di sé contribuì a isolarlo, e i cronisti dell’epoca, come Plinio il Giovane e Svetonio, lo descrissero come un sovrano distante e sospettoso, che amava ritirarsi in solitudine. Plinio scrisse che Domiziano era sempre alla ricerca di isolamento, mentre Svetonio descrisse le sue lunghe cene in solitaria e le sue passeggiate notturne. Quest’atteggiamento riservato, ai limiti della paranoia, trasmetteva ai senatori l’idea di un sovrano inaffidabile.

Domiziano adottò uno stile di vita austero e impose un rigore morale non solo su di sé ma anche sugli altri. La sua severità si manifestò attraverso leggi come la Lex Scantinia de Venere nefanda, che condannava duramente gli atti omosessuali, sebbene le fonti suggeriscano che lo stesso Domiziano avesse rapporti con uomini. Allo stesso modo, dimostrò intransigenza verso le Vestali che violavano il voto di castità, condannando a morte coloro che intrattenevano relazioni proibite e infliggendo pene severe alle altre. Questo rigore morale esasperò ulteriormente il Senato, che lo considerava imprevedibile e, pertanto, pericoloso.

La situazione peggiorò nel 93 d.C., quando Domiziano ripudiò Domizia Longina, irritando l’aristocrazia senatoria legata alla famiglia di lei. Il suo controverso rapporto con Giulia, figlia di Tito e sua nipote, sollevò ulteriori preoccupazioni tra i senatori, che iniziarono a percepirlo come un uomo di dubbia moralità, paragonabile a figure come Caligola e Nerone. Per di più, Domiziano non si dimostrò particolarmente incline o capace nelle imprese militari. Le sue campagne contro i Daci e i Catti si conclusero con risultati ambigui, che gli valsero l’appellativo di Germanicus, ma non gli conferirono la gloria che avevano invece ottenuto Vespasiano e Tito nella guerra di Giudea. Mancando di successi sul campo e di carisma verso i soldati, Domiziano perse il sostegno anche degli ambienti militari.

Questa mancanza di autorità portò a una prima congiura contro di lui, guidata dal comandante Saturnino, un evento che dimostrò la debolezza del controllo di Domiziano sull’esercito. Fisicamente, l’imperatore non aveva l’aspetto tradizionale del condottiero: era alto e ben proporzionato, ma miopi e calvo, un tratto che ricordava Giulio Cesare e che lui stesso detestava. Svetonio lo descrive come un giovane di aspetto piacevole, ma con l’età queste qualità svanirono, rafforzando l’immagine di un leader distante, non amato dai soldati e incapace di suscitare la stessa ammirazione che aveva circondato i suoi predecessori.

Ricostruzione dello Stadio di Domiziano. Di Rabax63 – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=62534976

DOMIZIANO TRA RELIGIONE E OPERE PUBBLICHE: UN RAPPORTO AMBIGUO DI AMORE E OSTILITÀ

Domiziano, con il suo desiderio di essere chiamato dominus et deus, incarnava un’idea di potere imperiale fortemente autoritaria e ispirata al modello ellenistico, come già fatto da Caligola e Nerone. La sua particolare venerazione per Minerva, che spesso identificava anche con Iside, sollevò parecchie critiche tra i membri del Senato e dell’aristocrazia, i quali lo vedevano come poco rispettoso delle tradizioni romane. La rinnovata celebrazione delle Quinquatria Minervae nei suoi possedimenti sui Colli Albani, una festività di cinque giorni tra riti, cacce e celebrazioni, rifletteva il suo desiderio di ristabilire un legame con le divinità che, secondo alcuni, era forse troppo ostentato.

Anche il suo atteggiamento ostile verso la comunità ebraica non piacque al Senato, che avrebbe preferito un approccio più moderato. Domiziano impose il fiscus Iudaicus, una tassa specifica per gli ebrei, ma andò oltre, accusando di ateismo chiunque non riconoscesse la sua divinità. Questa accusa colpì anche figure vicine alla famiglia imperiale, come Flavio Clemente e Flavia Domitilla Minore, che vennero rispettivamente ucciso ed esiliata. Tali misure, oltre a ragioni religiose, rispondevano probabilmente alle paure di Domiziano, il quale temeva che i suoi parenti potessero minacciare la sua autorità.

La sua forte devozione religiosa, con un’influenza orientale evidente, lo portò a spendere ingenti risorse nel restauro di templi e altri edifici religiosi, come il Tempio di Giove Capitolino, distrutto durante l’assalto di Vitellio. Secondo Svetonio, il solo tetto dorato costò oltre 12.000 talenti, una cifra che avrebbe superato il patrimonio di qualsiasi cittadino romano. Questo restauro aveva l’obiettivo di restituire al popolo e al Senato un edificio simbolo di Roma, ma non bastò a risollevare l’opinione dei senatori nei suoi confronti.

Essendo privo del supporto dell’esercito e del Senato, Domiziano cercò di conquistare l’affetto del popolo romano. Tra le sue opere pubbliche, l’Arco di Tito, dedicato al fratello, servì anche a dimostrare la sua devozione alla memoria di un eroe popolare. Tuttavia, il progetto più ambizioso fu la costruzione del grande Stadio di Domiziano, oggi Piazza Navona, con annesso un Odeon. Questo imponente complesso architettonico, ispirato ai modelli greci, ospitava gare atletiche invece delle tradizionali corse di carri, e poteva contenere fino a 30.000 spettatori. Nonostante l’impegno per introdurre queste discipline, l’entusiasmo del pubblico romano rimase tiepido: l’interesse per le gare atletiche, seppur amate da Domiziano, non riuscì a competere con la passione per i combattimenti gladiatori e le corse. Anche l’Odeon, utilizzato per competizioni artistiche tra poeti e musicisti, non fu ben accolto, poiché il pubblico romano tradizionale non apprezzava le arti ellenistiche.

In definitiva, Domiziano faticò a ottenere il rispetto e l’affetto dei principali gruppi sociali di Roma. I soldati lo consideravano troppo indulgente e senza autorità, il popolo non era conquistato dai suoi spettacoli, e il Senato continuava a vederlo come una minaccia. La mancanza di sostegno da parte di tutti questi gruppi culminò infine in una congiura che pose termine al suo lungo regno.

Roma, resti del palazzo di Domiziano sul Palatino

LA FINE DI DOMIZIANO, TRA TIRANNIA E SOSPETTI DI CONGIURA

Domiziano è spesso descritto come un uomo senza scrupoli, ossessionato dal potere e convinto di essere costantemente minacciato da complotti. In parte, questa fama di paranoia non è del tutto infondata, sebbene, come sempre, le fonti antiche vadano interpretate con cautela e contestualizzate. Uno degli aspetti che contribuì a peggiorare ulteriormente la sua immagine agli occhi del Senato fu la costruzione di un sontuoso palazzo imperiale, una struttura che incarnava l’idea di un sovrano assolutista più che quella di un imperatore romano rispettoso delle tradizioni repubblicane.

Secondo il poeta Marziale, noto per i suoi elogi alla dinastia Flavia e la cui retorica spesso tendeva a esagerare i meriti dei suoi mecenati, il palazzo imperiale di Domiziano era un’opera di straordinaria magnificenza, come nulla mai visto prima. Questa ostentazione di ricchezza, più che testimoniare il potere e la gloria di Roma, evidenziava agli occhi dei patres un modello di governo più vicino all’idea di monarchia orientale, in cui il sovrano detiene un potere incontestabile e distante dal popolo.

“Ridi Cesare, delle reali meraviglie delle piramidi;
la barbara Menfi già tace sull’opere d’Oriente:
cos’è la gloria Mareotica di fronte alla reggia Palatina?
Mai niente di più bello vide il mondo.
Crederesti i sette colli innalzarsi l’un sull’altro,
il Pelio di Tessaglia sull’Ossa è meno alto;
il tuo palazzo entra fra i pianeti rilucenti,
il tuono rimbomba nelle nubi sottostanti
e il Sole l’illumina ancor prima
che Circe veda il volto di suo padre.
La tua dimora, Augusto, che sfiora le stelle,
vale il cielo ma non vale il suo signore”

LA CADUTA DI DOMIZIANO, TRA PARANOIA E POTERE ASSOLUTO

L’imponente palazzo imperiale di Domiziano, simbolo della sua ambizione, sembrava quasi toccare le stelle, quelle stesse stelle che forse riflettevano il suo desiderio di grandezza. Ma la sua sete di potere e il suo sospetto verso chiunque potesse minacciarlo resero la vita difficile a molti membri della sua corte e dell’aristocrazia. La sua paranoia, alimentata probabilmente dalla scarsa considerazione ricevuta in gioventù e dalle sue decisioni controverse, lo portò a vedere nemici ovunque e a temere complotti costanti. Non sorprende, quindi, che nell’85 d.C. si sia nominato censore a vita, un titolo che gli concedeva il controllo assoluto sul patrimonio e sulla condotta morale dei cittadini.

Questa carica, mai prima conferita in modo permanente, permetteva a Domiziano di sorvegliare e punire i suoi potenziali oppositori. Ne fu vittima anche il senatore Rufo, che, per aver manifestato posizioni contrarie, fu espulso dal Senato in seguito a un’ispezione fiscale condotta dall’imperatore stesso. Domiziano stabilì così un regime di sospetto, in cui la sua rete di spie e delatori veniva costantemente potenziata, seguendo l’esempio di Tito. Chiunque interagisse con lui o facesse parte della sua corte viveva nella paura, consapevole che un solo passo falso poteva rivelarsi fatale. Tacito descrive bene l’atmosfera che regnava nei corridoi del suo palazzo sul Palatino: “Incontrare il suo sguardo era la peggiore sfortuna che potesse capitare… Il suo volto, tinto di un rossore che celava la sua vergogna, faceva sbiancare i visi di molti uomini.” Un solo incontro con Domiziano, se sfortunato, poteva segnare la fine di una persona.

Arriviamo così al 96 d.C. Un Domiziano ormai quarantenne, prossimo alla fine, cade vittima di una congiura orchestrata dai suoi stessi cortigiani, prefetti e persino alcuni parenti. L’imperatore fu sorpreso nella sua camera da letto quando Stefano, un procuratore con il braccio fasciato, gli si avvicinò fingendo di portargli un avviso di una presunta congiura contro di lui. In realtà, la congiura era già in atto: mentre Domiziano si concentrava sulla lettura del messaggio, Stefano estrasse un pugnale nascosto nella fasciatura e lo colpì. Sebbene Domiziano abbia opposto resistenza con coraggio, gli altri congiurati si unirono all’assalto, infliggendogli sei coltellate che posero fine alla sua vita.

Il Senato, che da tempo mal tollerava il suo potere assoluto e il suo distacco dalle tradizioni romane, accolse la notizia della sua morte con entusiasmo. Anche il popolo, deluso da Domiziano e consapevole della sua inferiorità rispetto ai predecessori, non mostrò segni di lutto, mentre l’esercito, che non vedeva in lui un leader militare, non oppose resistenza. Plinio il Giovane descrive la gioia dei senatori che, distruggendo le sue statue, esclamavano: “Com’era soddisfacente fare a pezzi quei volti arroganti, alzare le nostre spade contro di loro, colpirli con le asce, come se il sangue e il dolore si riversassero ad ogni colpo.” Alla fine, Domiziano fu un uomo più temuto che amato, la cui memoria fu cancellata e le cui statue furono abbattute, ultimo gesto di un Senato ormai esausto della sua tirannia.

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