Cornelio Nepote, un autore avvolto dal mistero

Di Cornelio Nepote, storico del I secolo a.C., sappiamo molto poco, soprattutto per quanto riguarda la sua vita personale. Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia, ci offre alcuni dettagli, descrivendolo come “Padi accola” (abitante lungo le rive del Po) e riferendo che “qui Divi Augusti principatu obiit” (morì durante il principato di Augusto). Oltre queste brevi informazioni, la figura di Nepote rimane avvolta da più ombre che certezze. Pur contando su amicizie di rilievo, specialmente nell’ambiente letterario, e avendo scritto un’opera perduta che si pensa possa essere stato il primo compendio romano sulla storia universale, Nepote resta una figura in gran parte misteriosa.

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VITA E AMICIZIE

Secondo Plinio il Vecchio, Cornelio Nepote nacque lungo le rive del Po, forse nel comune attuale di Ostiglia, e probabilmente vide la luce intorno al 100 a.C. Tuttavia, della sua formazione o delle circostanze che gli permisero di lasciare un’eredità culturale sappiamo molto poco. La sua fama e memoria letteraria ci sono giunte in parte grazie a personaggi con cui intrattenne relazioni epistolari e amicizie di rilievo, come Cicerone e Catullo, figure di spicco nell’Urbe del I secolo a.C. Alcuni riferimenti a Nepote e alle sue opere si trovano infatti nelle citazioni di altri autori.

Si suppone che, intorno al 65 a.C., Nepote si sia trasferito a Roma, dove trovò un ambiente fertile per le sue ambizioni intellettuali. Data la stima di cui godeva negli ambienti culturali e letterari della città, è ipotizzabile che avesse ricevuto un’educazione di alto livello, supportata anche da un buon status economico. Di certo, Nepote non proveniva da una famiglia di basso rango, e questo contesto potrebbe aver facilitato il suo ingresso nei circoli più elevati, senza che egli stesso dovesse intraprendere azioni politiche. Sembra infatti che si sia dedicato soprattutto agli studi e alla scrittura, mantenendosi lontano dalla turbolenta vita politica dell’epoca, segnata da forti tensioni sociali e conflitti civili.

Il contributo di Nepote alla storiografia romana si rivelò significativo e innovativo. Il suo lavoro, impegnativo e senza precedenti, fu la base della sua fama e probabilmente lasciò poco spazio per altre attività. Vediamo quindi quali opere gli garantirono la memoria nei secoli.

OPERE

Analizzando le opere note di Cornelio Nepote, anche quelle andate perdute o giunteci solo in frammenti, emerge chiaramente il suo intento di arricchire la storiografia romana con nuovi strumenti letterari, volti a comprendere non solo la storia di Roma e le sue radici, ma anche quella di altre civiltà, in particolare quella greca. Il lavoro di Nepote è di grande valore, poiché tentò di delineare una storia universale che culminava idealmente in Roma come massimo compimento. Vediamo dunque quali sono le opere di cui ci ha lasciato traccia.

OPERE

Chronica

Della sua opera intitolata Chronica, purtroppo, non è rimasto nulla di conservato, e alcuni hanno persino ipotizzato che non sia mai esistita. Tuttavia, testimonianze di figure come Catullo, Aulo Gellio e Ausonio confermano l’esistenza di questo grande corpus letterario. Quest’opera ambiziosa sembra rappresentare il primo tentativo di Nepote di scrivere una storia universale che partisse dai miti antichi fino a giungere ai Greci e poi ai Romani. Secondo le fonti antiche, le Chronica erano divise in tre libri e comprendevano le vite di re, poeti, eroi, oratori e generali, ovvero coloro che avevano lasciato un segno nel mondo. Nepote potrebbe aver preso ispirazione dall’omonimo lavoro del greco Apollodoro, mentre molti altri, come Aulo Gellio, utilizzarono il suo racconto storico come base. Gellio, infatti, scrisse: “Per non commettere errori sulle epoche e le vite delle figure illustri (…), ho letto le opere intitolate Cronache, dove si indicano i periodi in cui vissero i Greci e i Romani di maggior talento e attività politica”. Catullo fu ancora più esplicito, riconoscendo la fatica compiuta da Nepote nell’affrontare l’intera storia umana in tre libri, definiti “pieni di cultura e di lavoro instancabile”. La perdita di quest’opera monumentale, ampiamente apprezzata dai suoi contemporanei, ci lascia un profondo senso di rammarico.

De viris illustribus

Questa è una raccolta originariamente composta da 16 libri, in cui Nepote esplorava la vita e le gesta di figure illustri, soprattutto greche e romane. Ancora una volta, il suo lavoro si distingue per l’intento di evidenziare le connessioni tra Grecia e Roma. La struttura dell’opera era chiara e suddivisa in sezioni dedicate a re, generali, oratori, poeti, storici e grammatici, ciascuna comprendente biografie sia di personaggi romani che stranieri. Nepote sottolinea che la storia è fatta non solo di grandi condottieri come Alessandro Magno, ma anche di figure letterarie e intellettuali, il cui impatto sociale e politico è tutt’altro che secondario. Di questa grande opera ci restano frammenti, in particolare le biografie di 22 generali stranieri, oltre alle vite di Catone il Vecchio e Pomponio Attico.

Nonostante la fama di Nepote, la critica ha evidenziato alcune lacune nella precisione delle sue informazioni, con errori di date e luoghi che sembrano derivare da fonti imprecise. Nepote stesso, però, nelle parti rimaste e soprattutto nella prefazione, rivendica l’importanza della Grecia e della sua cultura. Scrive: “L’onore e la vergogna non sono le stesse per tutti, ma ogni cosa va giudicata secondo le tradizioni degli antenati. Non stupitevi quindi se, descrivendo le virtù dei Greci, ho adottato i loro parametri morali.” Con questa affermazione, Nepote difende la cultura greca e riconosce che, per comprendere le virtù di un popolo, è necessario mettersi nei suoi panni e abbandonare i pregiudizi culturali. L’aneddoto diventa, così, uno strumento chiave per raccontare la vita dei grandi uomini, permettendo a Nepote di offrire ritratti incisivi e sintetici.

Exempla

Quest’opera, divisa in cinque libri, era una raccolta di aneddoti e curiosità, presentati con un taglio morale. Qui Nepote prosegue la sua riflessione sulle differenze sociali e culturali, sottolineando che, anche se Greci e Romani avevano valori diversi, questo non li rendeva inferiori o barbari. Ogni aneddoto, ogni exemplum, aveva lo scopo di comunicare una morale, mostrando come Nepote non fosse semplicemente uno storiografo, ma anche un acuto osservatore del comportamento umano. Anche quest’opera è quasi del tutto perduta, lasciandoci però intuire quanto Nepote aspirasse a essere non solo un cronista, ma un narratore del mondo e delle sue sfaccettature.

The beginning of Cornelius Nepos’ „De excellentibus ducibus exterarum gentium“ in the manuscript Modena, Biblioteca Estense Universitaria

STILE E CONSIDERAZIONI

Lo stile di Cornelio Nepote è stato spesso descritto come semplice e lineare, mirato a una comunicazione diretta. Si nota in lui il tentativo di introdurre qualche arcaismo, ma talvolta questi elementi risultano forzati, segno che Nepote non fosse un virtuoso della lingua e della grammatica come, per esempio, Cicerone. Tuttavia, ciò che colpisce di più in Nepote è la sua apertura mentale e il suo intento di comprendere le culture altrui, in una sorta di primitivo relativismo culturale. Nel De viris illustribus, sembra volerci dire che non si devono giudicare persone o azioni solo dal proprio punto di vista culturale. Per lui, non importa la distanza culturale o temporale; ciò che conta è evitare un giudizio influenzato solo dalle proprie consuetudini. Se, per esempio, nell’antica Grecia era normale sposarsi tra fratelli, questo non va interpretato come moralmente sbagliato: un concetto che anticipa atteggiamenti più moderni.

La scelta di Nepote di concentrarsi su biografie e aneddoti rende il suo stile asciutto e diretto. Egli non si perde in analisi delle cause o delle conseguenze di guerre o decisioni politiche; piuttosto, sceglie di mostrare la vita dei grandi per raccontare i costumi e gli usi dell’epoca. Questo approccio emerge anche da una citazione in Naturalis Historia di Plinio il Vecchio: “Quando ero giovane vigeva la porpora violacea… e non molto dopo la rossa di Taranto.” Qui, Plinio usa Nepote come fonte, mostrando come il suo contributo servisse a descrivere aspetti quotidiani, un approccio che lo rese testimone attendibile soprattutto per quanto riguarda la vita ordinaria piuttosto che le vicende illustri.

Un’altra testimonianza del rispetto di cui godeva Nepote ci arriva da Catullo, che probabilmente aveva un rapporto di amicizia con lui, tanto che gli dedicò un libellus dai toni quasi celebrativi: “A chi dono il mio grazioso libretto… A te, Cornelio.” Sebbene alcuni studiosi ipotizzino un tono ironico, il testo sembra sincero, a dimostrazione del valore che Catullo attribuiva al lavoro di Nepote. L’ammirazione di Catullo è evidente nel verbo explicare, un termine che racchiude l’idea dello sforzo di Nepote nel “spiegare” la storia universale nei suoi tre volumi di Chronica, un’impresa notevole indipendentemente dalla precisione assoluta dei fatti.

L’importanza di Nepote risiede forse più nelle sue intenzioni che nel contenuto delle sue opere frammentarie: una visione della storia onesta, distaccata e priva di giudizi affrettati. Nepote sembra essere stato mosso dall’intento di osservare e riportare i fatti senza influenze o pregiudizi personali, un approccio che lo rende, in un certo senso, più vicino al moderno storiografo che al retore della sua epoca.

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