Apollodoro di Damasco: un architetto con la visione sul futuro

Apollodoro di Damasco, celebre architetto romano che operò soprattutto agli inizi del II secolo d.C., fu sicuramente una delle personalità storiche più influenti di tutta l’antichità, non fosse altro che per lui parlano le magnifiche opere architettoniche ed urbanistiche (la maggior parte delle quali sopravvissute sino ai giorni nostri): il Foro di Traiano, il Pantheon, il Ponte sul Danubio, il Tempio di Venere e Roma, il Porto e le Terme di Traiano. Una sfilza di opere pubbliche e militari, civili e religiose che rendono giustizia ad una figura storica che, per le sue stesse origini, fu in grado di coniugare appieno due mondi e realtà apparentemente inconciliabili come l’Occidente e l’Oriente.
ORIGINI E PRIMI INCARICHI
Nonostante Apollodoro di Damasco fosse un architetto, quindi qualcuno di cui al massimo, in particolare nell’antichità, si può conoscere solo il nome e poco altro, di lui si possono avanzare ipotesi più o meno fondate circa le sue origini. Il nome stesso, ad esempio, indica che Apollodoro nacque a Damasco attorno al 60 d.C. La città era sotto il controllo di Roma dal 38 d.C. Non facciamoci però fuorviare dal nome, Apollodoro, dal chiaro gusto ellenizzante. Probabilmente questo fu solo un escamotage utilizzato dall’uomo per avere una posizione sociale migliore, un modo per emergere dalla massa e per farsi valere. Dopotutto Damasco era nabatea (antica popolazione di origine araba), e vi era in particolare un nome molto diffuso nell’area, Abodat. Forse per assonanza alla fine il nostro architetto cominciò a farsi chiamare proprio Apollodoro, sebbene vi siano anche altri indizi che indichino come il nostro non avesse complete origini greche. Apollodoro, difatti, scrisse un famoso trattato sulla guerra e sulle macchine belliche, denominato Poliorcetica o Arte della Guerra. Leggendo questo scritto, sicuramente interessante fonte sul mondo militare, sulle tecniche e strategie in particolare della Roma del II secolo d.C., si comprende bene come l’autore non fosse greco di nascita. In molti punti il linguaggio non è così fluido, lessicamente e sintatticamente, come ci si aspetterebbe. Forse questo suo voler emergere, questo sua strenua volontà di darsi un tono gli valsero la possibilità di entrare nelle grazie di Marco Ulpio Traiano, padre del famoso e celebre imperatore, il quale negli anni ’70 del I secolo d.C. era governatore proprio della Siria. Dunque dobbiamo immaginare il giovane Apollodoro che, forse per fortuna o per semplice abilità, fare parte della rete clientelare di Traiano padre, se è vero che poi tornerà con lui nell’Urbe nel 90 d.C. Per tale ragione, alla fine, il rapporto tra Traiano figlio, il celebre optimus princeps nonché imperatore di Roma, fu così stretto.
Questo sodalizio si rafforzò assai quando, durante la campagna dacica su cui Traiano improntò il suo successo e consenso, Apollodoro si rese protagonista di un progetto quasi visionario all’epoca che, però, decise irrimediabilmente a favore dei Romani quella logorante guerra. L’architetto realizzò il famoso Ponte sul Danubio, di cui oggi purtroppo rimangono pochissimi resti. Il lungo fiume, sebbene fosse un’impareggiabile difesa per Roma, fu anche un ostacolo per le legioni romane le quali, nel 102 d.C., avevano bisogno di riorganizzarsi dopo una prima tregua stipulata con i Daci. In quest’occasione Traiano diede ordine ad Apollodoro di realizzare un ponte che potesse unire le località di Drobeta e Pontes. Per avere un’idea della grande opera architettonica realizzata, si immagini che tale ponte fu il più lungo del mondo per secoli e secoli, ottenendo anche il recordo di larghezza delle campate. Le parole di Cassio Dione, dopotutto, sono molto incisive: “Ci sono altre opere per le quali [Traiano] si distinse, ma questa le sorpassò tutte. Il ponte poggia su 20 pilastri in pietra quadrangolare di 150 piedi di altezza escluse le fondamenta e di 60 di larghezza. Questi sono distanti 170 piedi l’uno dall’altro e sono collegati da archi”. In totale il Ponte sul Danubio, di cui ne vediamo traccia sulla Colonna Traiana, era lungo 1135 metri per 15 metri di larghezza. Alle estremità del ponte vi erano due castra, dunque torrette difensive con le quali sarebbe stato impossibile attraversare il fiume senza essere visto. Apollodoro aveva pensato proprio a tutto, esaudendo i desideri di Traiano il quale, grazie proprio a questo ponte, ebbe la possibilità di dare il colpo di grazia ai Daci di Decebalo. I piloni erano realizzati in mattoni, erano alti 45 metri circa e distanziati di 38 metri l’uno dall’altro, ma c’è ancora qualcosa che non torna e a cui gli studiosi non riescono a trovare una soluzione: come fecero i Romani a realizzare tali piloni se essi, per molti metri, sono all’interno del fiume? Come fecero gli operai a lavorare sott’acqua? La soluzione potrebbe essere, almeno a dar retta a Procopio, la deviazione temporanea del corso del Danubio. Sta di fatto che con quest’opera ingegneristica, completata in neanche due anni, Apollodoro di Damasco si guadagnò un credito incredibile all’interno della corte di Traiano, il quale certamente non esitò minimamente a commissionargli altri progetti, urbanistici e non, che resero sia l’imperatore, che il suo architetto di fiducia, semplicemente eterni.
I PROGETTI CON TRAIANO
Il nome dell’imperatore fu per sempre associato a vittoria, potere e soprattutto trionfo. E fu proprio per celebrare i suoi trionfi che Traiano, in particolar modo a Roma, diede fondo all’ingegno del suo architetto nabateo, il quale certamente non lo deluse. Innanzitutto Apollodoro di Damasco non si premunì solo di realizzare progetti nel cuore dell’Urbe, poiché l’Arco di Traiano a Benevento, così come quello di Ancona, testimoniano la volontà imperiale di sottolineare le vittorie militari, oltre che confermare le abilità ingegneristiche di Apollodoro. Dopotutto i due monumenti sono ancora nella loro posizione originale, con la loro struttura slanciata e i loro rilievi. Ma fu in particolare a Roma che Apollodoro di Damasco diede il meglio di sé, soprattutto con il progetto dello straordinario Foro di Traiano, il più grande ed esteso di tutta la Roma antica. Solo la descrizione di questa magnifica opera urbanistica richiederebbe un intero articolo, di conseguenza basti sapere che l’intero progetto si basa sul concetto di multifunzionalità. Nel 107 d.C. partirono i lavori, che Apollodoro di Damasco probabilmente seguì personalmente. L’architetto non ideò una “semplice” piazza lastricata in marmo e porticata, con un tempio o una basilica su uno dei lati corti. Andò molto oltre per dare a Traiano quel trionfo che meritava, sicuramente simboleggiato dall’enorme statua equestre in bronzo che campeggiava al centro della piazza centrale del Foro. Quest’ultimo infatti constava dell’enorme Basilica Ulpia, di un tempio dedicato a Traiano ed alla sua famiglia, della celebre Colonna Traiana con gli edifici gemelli nei pressi e, soprattutto, dell’incredibile progetto dei Mercati di Traiano. In quest’ultimo caso Apollodoro non si fece alcuno scrupolo nello sbancare completamente il declivio sud-est del Quirinale, pur di avere lo spazio necessario per l’enorme Foro. Un’idea sicuramente ardita che, però, permise all’architetto di completare un progetto urbanistico di vaste proporzioni. Anche la struttura della Basilica Ulpia, che poggiava su tre gradini in marmo giallo antico, con le sue grandiosi colonne in granito (alcune ancora presenti in situ), le statue raffiguranti gli sconfitti Daci che correvano lungo i lati lunghi ed il soffitto probabilmente completato con tegole dorate resero giustizia all’intera grandiosità del progetto. Forse Apollodoro di Damasco prese come modello un elemento tipicamente romano per realizzare l’intero Foro: il castrum. La successione così rigoroso di monumenti e aree del Foro di Traiano, aventi diverse forme e funzioni, rappresenterebbe in ambito civile ciò che i castra configuravano in ambito militare. Dunque la sequenza piazza, basilica, colonna istoriata, biblioteche laterali e tempio potrebbero suggerire l’intenzione di seguire la tradizionale sequenza di edifici riscontrabili in un accampamento militare romano, e cioè praetorium, principia, santuario e archivi.
Ma le innovazioni di Apollodoro di Damasco, così come la sua grande versatilità, non si esauriscono con il magnifico Foro di Traiano. L’imperatore, infatti, grazie al suo geniale architetto inaugurò nel 109 d.C. le straordinarie Terme pubbliche, le più grandi ed estese sino ad allora con i loro 4 ettari. Fu il primo complesso termale ad avere un orientamento sud-ovest, così da avere un’ottimizzazione dell’irradiamento solare, ottenendo quanta più luce e calore possibili. Una disposizione che divenne un modello per tutti gli altri edifici simili costruiti in seguito. Anche in questo Apollodoro ci mise del suo per risistemare l’area corrispondente al Colle Oppio dove, sino a pochissimi anni prima, giganteggiava la Domus Aurea di Nerone. Alle Terme di Traiano furono aggiunte le cosiddette Sette Sale, il complesso di cisterne che dovevano, inevitabilmente, captare quanta più acqua possibile per immetterla nel sistema termale ed alimentare le piscine del complesso. Si capisce come Apollodoro usò lavorare e pensare in grande, tant’è che anche questa struttura ha dimensioni ragguardevoli, se si pensano ai due piani di cui era composta ed alle nove grandi camere, suddivise da mura in calcestruzzo e collegate mediante aperture diagonali, in modo da far defluire l’acqua con maggiore velocità e precisione. Anche in questo caso, sebbene rimangano oggi qualche sostruzione ed elemento architettonico, Apollodoro di Damasco ebbe il suo bel da fare per rendere Traiano un imperatore capace di guidare Roma alla vittoria e di dare ai cittadini romani, grazie ai proventi delle proprie campagne militari, tutti i comfort possibili. L’idillio tra l’imperatore e l’architetto, che ebbe anche il tempo di risistemare l’antico porto di Claudio, all’altezza di Ostia più o meno, progettando un nuovo bacino esagonale che potesse soddisfare la sempre crescente fame di commerci dell’Urbe, si infranse nel 117 d.C. alla morte di Traiano. Il suo successore, Adriano, fu felice di utilizzare le abilità dell’eclettico architetto per la sua politica, sebbene poi il loro rapporto non finì per niente bene.
I PROGETTI CON ADRIANO, SINO ALLA FINE
Il nome di Apollodoro di Damasco è solitamente legato ai due più importanti monumenti dell’Urbe realizzati durante il regno di Adriano: il Pantheon ed il Tempio di Venere e Roma. Del primo, nonostante alcune tesi sostengano che la ricostruzione dell’edificio, originariamente costruito da Agrippa nel I secolo a.C. con forme diverse, fosse cominciata già con Traiano, abbiamo ancora diretta testimonianza con la bellezza e perfezione architettonica di cui il Pantheon è fornito. E pensare che, così come lo vediamo oggi, il monumento è completamente fuori dal suo contesto, in quanto inizialmente l’edificio era preceduto da dei porticati che rendevano difficile vedere il Pantheon in lontananza. Per poter godere della magnifica vista di questo impressionante tempio, dal VII secolo d.C. basilica cristiana, si doveva passare in mezzo ad una selva di colonne le quali poi avrebbero rivelato, con un colpo d’occhio magnifico degno del miglior Barocco, la mole dell’edificio. Il Pantheon, poi, è una struttura davvero rivoluzionaria poiché, in un certo senso, coniuga appieno lo stile prettamente orientale con quello occidentale. In questo Apollodoro fu certamente un maestro, considerando anche le sue origini. Difatti il frontone del tempio, che poggia su forti colonne in granito, ricorda la classica struttura templare romana, mutuata dai Greci. Ma la sala principale, quello spazio circolare che rimanda alla ciclicità ed all’eternità, con la sua immensa e grandiosa cupola, è di fattura orientale e ricordano influssi arcaici di fattura indoeuropea. Un mix di stili che rende giustizia alla capacità umana.
Di Apollodoro di Damasco, poi, si ricorda certamente il grandioso Tempio di Venere e Roma, la più grande struttura templare di tutta la Roma antica di cui rimangono tracce sulla Velia, la piccola altura visibile dal Colosseo e posta tra l’Anfiteatro Flavio ed il Foro Romano. Internamente l’edificio doveva essere policromo, con il pavimento decorato con lastre marmoree e motivi geometrici e colonne in porfido rosso, e presentava due grandi absidi addossate l’una all’altra, avendo cioè la parte retrostante in comune. Ciascuna presentava un’enome statua di culto, quella dedicata a Venere che guardava verso il Colosseo e l’altra, raffigurante la Dea Roma, che guardava verso il Foro. Sebbene il tempio, secondo la tradizione e le fonti, fosse stato progettato direttamente da Adriano, è certo che quest’ultimo usasse chiedere continuamente lumi e consiglio ad Apollodoro. Fu l’architetto, ad esempio, a suggerire all’imperatore di mettere in opera il suo ardito progetto su un terrapieno o comunque un’area rialzata, e così effettivamente fu. Purtroppo, però, sebbene non sappiamo nulla sul carattere di Apollodoro di Damasco, se fosse dunque stato un uomo umile e socievole piuttosto che burbero e scontroso, sono molte le fonti che ci avvertono sulla fine ingloriosa del celebre architetto, vittima più che altro delle sue convinzioni e delle sue idee. Ogni tanto, infatti, pare che Apollodoro criticasse il progetto adrianeo, soprattutto per uno studio non ottimale delle proporzioni e dei rapporti tra gli spazi. Pare, infatti, che Adriano avesse progettato delle statue di culto troppo grandi, talmente tanto che non si sarebbero sposate armoniosamente con lo spazio circostante. Dando retta alle fonti scritte Apollodoro, quando vide nuovamente le misure e le dimensioni con cui le sculture dovevano essere realizzate, esclamò “Ora, se le Dee desiderassero alzarsi e andare fuori, non saranno in grado di farlo” (Cassio Dione). Una critica come un’altra, fatta tra l’altro ad un uomo, Adriano, che di certo non passò alla storia per essere irascibile ed iracondo. Ma, probabilmente, la frase detta da Apollodoro avrebbe fatto riaffiorare in Adriano un’altra aspra critica, che l’architetto gli mosse quando l’imperatore era ancora Traiano. Leggiamo da Cassio Dione che “Adriano dapprima mandò in esilio e poi condannò a morte l’architetto Apollodoro, che a Roma aveva realizzato i vari complessi monumentali di Traiano […] una volta, mentre Traiano discuteva con lui [Apollodoro] di qualcuno dei suoi edifici, egli rimbeccò Adriano, che li aveva interrotti con alcune osservazioni, dicendogli “Và a dipingere le zucche, giacché non capisci nulla di queste cose”. Divenuto imperatore si ricordò dell’antica ingiuria”. Effettivamente non sappiamo molto sulla sorte di Apollodoro di Damasco, ma sembra difficile credere alla versione che storicamente viene attribuita per narrare la sorte dell’architetto. Ciò che sappiamo, a prescindere dalle fonti scritte e dalle curiosità, è che il nome di Apollodoro di Damasco rimarrà in eterno scolpito nella pietra, nel marmo ed in qualunque altro materiale che il suo genio contribuì a rendere immortale con quei grandiosi progetti che resero l’Urbe una città impareggiabile.