Il Pantheon, meraviglia di tutte le costruzioni umane

Pantheon

C’è qualcosa di arcano e profondo che strega ogni visitatore quando si accinge a varcare l’enorme portone di bronzo del Pantheon – uno dei tre autentici di età antica, ancora esistenti a Roma – inoltrandosi così nel meraviglioso e misterioso tempio progettato ai tempi di Marco Agrippa, genero e consigliere di Augusto, durante il suo terzo consolato nel 27 a.C.

È come noto uno dei monumenti antichi meglio conservatisi nel tempo in tutto il mondo, anche se la struttura che oggi vediamo è il frutto di due successivi restauri: il primo ai tempi di Domiziano (80 d.C.) e Traiano (110 d.C.); il secondo, a fundamentis, sotto Adriano tra il 130 e il 138 d.C. che pure non ne snaturarono l’impianto originario.

Pur infatti con le molte spoliazioni esterne succedutesi nel corso dei secoli, il Pantheon non ha perso niente della sua maestosità: quella che per almeno quindici secoli rimase la cupola a volta unica più grande del mondo, con il suo diametro di 43,44 metri, è ancora oggi un vero spettacolo per gli occhi e vale pienamente la definizione che ne diede il grande Michelangelo: disegno non umano, ma angelico.

In effetti, mano a mano che procedono gli studi scientifici sul monumento gli studiosi apprezzano l’incredibile tecnica con cui fu realizzato, a partire dall’esattezza millimetrica del diametro e dell’altezza, il che ne fa una perfetta sfera delimitata da un tamburo cilindrico, in opera laterizia, costituito da un muro spesso ben 6,20 metri!

L’emisfero superiore è decorato da cinque ordini di 28 (questo è un numero che ritorna in tutta la costruzione) cassettoni concentrici, fino all’oculus in alto che ha un diametro di quasi 9 metri!  Ma ogni cosa, in questa struttura prodigiosa desta meraviglia: dai 22 fori sul pavimento che fanno parte di un complicato sistema di fognature in grado di raccogliere e convogliare l’acqua piovana che entra dal foro del soffitto, allo stesso pavimento, straordinariamente decorato a giganteschi quadrati e cerchi a loro volta compresi uno nell’altro, al pronao largo 33,10 metri e profondo 13,50 con 16 enormi colonne monolitiche, 8 sulla fronte e le altre disposte in profondità su 4 fila a formare 3 navate, al grande frontone triangolare sul quale è ancora possibile leggere nella iscrizione latina la dedica al suo costruttore, con lettere alte ciascuna un metro e mezzo.

Ma cos’era esattamente il Pantheon? Un tempio dedicato a tutti gli dei come dice il suo stesso nome o un grande monumento astronomico destinato alla osservazione del cielo?
Probabilmente entrambe le cose insieme. Il Pantheon in effetti funzionava – e tuttora funziona perfettamente – come una grande Meridiana solare, senza gnomone. È proprio la luce solare, attraversando l’occhio sulla cupola a illuminare con il suo cono di luce porzioni differenti dell’interno del monumento, fino allo spettacolo che si ripete regolarmente il 21 giugno e il 21 dicembre, quando la luce del sole attraversa la grata soprastante il portone di bronzo e va ad illuminare un punto preciso del pavimento del pronao, all’esterno della cupola.

Probabilmente i 28 nicchioni della cupola, interni, richiamavano le fasi lunari: il monumento cioè funzionava anche di notte, con la luce della luna e come un vero e proprio enorme calendario di pietra, era capace di riprodurre i meccanismi della sfera celeste evidenziando perfino il movimento dei pianeti grazie alle sette divinità planetarie conosciute allora, le cui effigi erano riprodotte all’interno della cupola e che venivano illuminate dalla luce del sole e da quella della luna.

Ma tutto il movimento era poi una precisa allegoria del contatto tra terra e cielo. Non a caso, il Pantheon fu costruito proprio nel punto del Campo Marzio dove la leggenda diceva che Romolo, il fondatore di Roma, fosse asceso al cielo in una giornata di tempesta e di lampi.

Per molti secoli, dunque, il Pantheon fu il luogo in cui venivano adorate le diverse divinità pagane di Roma nel ricordo del suo fondatore, anch’egli divenuto una divinità. Dopo l’avvento di Costantino e la cristianizzazione dell’Impero, il monumento conobbe un lungo periodo di oblio, fin quando, nel 611, l’imperatore Foca concesse a Bonifacio III che il tempio fosse consacrato cristianamente, trasformando la dedicazione a tutti i Santi (anziché a tutti gli Dèi), con l’intitolazione di Santa Maria ad Martyres, rimasta fino ai nostri giorni.

Per apprezzare ancora oggi le incredibili proprietà di questo monumento vale la pena mettersi in fila con i molti pellegrini il giorno della Pentecoste, per ammirare lo spettacolare effetto della nevicata di petali di rosa  che vengono gettati (da ardimentosi vigili del fuoco che si arrampicano sul soffitto della grande cupola) dall’occhio della volta, scendendo con una leggerissima pioggia – per via delle correnti ascensionali che si creano all’interno della cupola – simboleggiando le lingue di fuoco che durante la Pentecoste scesero sulla folla dei discepoli.

Insomma, un monumento che non smette di stupire e che ancora oggi non è stanco di raccontare le sue mille incredibili storie.

Fabrizio Falconi

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