Marco Emilio Lepido, il triumviro dimenticato

Quando si cita il celeberrimo secondo triumvirato (43 a.C.), come una sorta di filastrocca, si lascia sempre Marco Emilio Lepido (Roma, 90 a.C. circa – San Felice Circeo, 13 a.C.) per ultimo. Dopotutto Ottaviano e Marco Antonio non fecero nulla per nascondere la loro volontà di emergere l’uno sull’altro, seguendo le orme di Giulio Cesare e di tutti coloro che, nel I secolo a.C., in maniera più o meno accesa erano tentati di sfruttare la Repubblica a proprio vantaggio. Anche Lepido, però, ebbe sicuramente, in quel periodo, un ruolo da non sottovalutare. Anche lui, fine uomo politico ed astuto militare, tentò di ottenere i suoi canonici quindici minuti di gloria. Anche lui, dopotutto, cercò in tutti i modi di ritagliarsi spazio nel grande libro della storia di Roma.
LE ORIGINI ED IL CONTESTO
Leggendo il nome completo di Lepido, Marco Emilio, non si può non ravvisare, innanzitutto, i suoi ottimi ed interessanti natali. Lui, nato a Roma nel 90 a.C., era infatti un notissimo esponente della Gens Aemilia, una famiglia nobile che da secoli, ormai, poteva fregiarsi del titolo di uno dei clan più potenti ed influenti che Roma abbia mai avuto. Le opere architettoniche che già all’epoca portavano, con fierezza, il nome di quella famiglia che le realizzò (come una basilica nel Foro Romano o l’omonimo ponte, oggi Ponte Rotto), sono solo le testimonianze più dirette degli antenati prestigiosi di Marco Emilio Lepido, che sicuramente ebbe una giovinezza agiata ed un’educazione di tutto rispetto. Tra le altre cose, per non farci mancare nulla, aveva tra i suoi illustri parenti anche un console, Lucio Emilio Paolo. La sua carriera fu dunque folgorante, il suo cursus honorum rispettato a pieni voti, tanto che già nel 52 a.C. fu chiamato dal Senato a prendersi la carica di interrex (magistratura molto importante il cui compito principale era quello di convocare i comitia centuria per l’elezione di nuovi consoli). Ma non ci fu soltanto questo, poiché è certo che la prima, vera, fortuna di Lepido fu quella di associare il proprio nome, ed il proprio futuro, a quello di Giulio Cesare. Lo stesso Plutarco descrive Lepido come “il più grande amico” del dittatore, un uomo dunque di degna fiducia che, in un modo o nell’altro, riuscì anche a salvarsi dalla congiura che uccise colui che lo proiettò nelle alte sfere politiche della Roma del I secolo a.C. La stima tra i due era ai massimi livelli, soprattutto se si considera anche il fatto che, il giorno prima di essere ucciso, Giulio Cesare passò la serata proprio con Lepido.
Fu, infatti, soprattutto grazie all’appoggio di Giulio Cesare che, in rapida successione, Marco Emilio Lepido fu prima pretore nel 49 a.C., per poi essere, negli anni successivi, governatore della Spagna Citeriore ed addirittura console. Ma, soprattutto, dal 46 al 44 a.C. Lepido divenne magister equitum, fondamentalmente il secondo uomo al comando dopo il dittatore. Avere quella prestigiosa magistratura, difatti, voleva dire avere per le mani un grande potere, poter usufruire dell’imperium ed essere soggetto solo, e solamente, alla volontà del dittatore. Si capisce, dunque, quanto forte fosse il rapporto tra Lepido e Cesare, e quanto alla morte del secondo per l’esponente della Gens Aemilia cominciarono sicuramente tempi molto duri. Addirittura, secondo Cassio Dione, nella congiura anche Marco Emilio Lepido sarebbe dovuto morire, cosa che però non avvenne. Ma qui, la storia, comincia a farsi più ingarbugliata.
LE MOSSE DI LEPIDO ED IL SUO INCONTRO CON MARCO ANTONIO
Si è detto dello straordinario rapporto esistente tra Lepido e Giulio Cesare ma, giustamente, la domanda che sorge spontanea è la seguente: cosa avvenne a Marco Emilio Lepido alla morte del suo protettore? Dopotutto, spesso, quando si uccide colui che viene deputato e descritto come dittatore non si va molto per il sottile e, pertanto, ci si preoccupa anche di uccidere gli uomini di maggior fiducia del tiranno. Il vantaggio di Lepido era di avere con lui l’appoggio militare che, in parte, aveva anche Giulio Cesare. Alla morte di quest’ultimo i cesaricidi vennero inizialmente non perseguitati come assassini (ci voleva Ottaviano per arrivare a tutto ciò), e nel turbolento anno 44 a.C. una figura emerse tra tutti gli altri: Marco Antonio. Per avere un’idea di quanto ingarbugliata fosse la situazione politica di allora si deve innanzitutto comprendere la profonda spaccatura presente all’interno del Senato e della società stessa di Roma. Uomini potenti e danarosi che, utilizzando le legioni come se fossero loro cosa personale, pressavano gli organi istituzionali repubblicani, mentre il popolo patteggiava per le diverse personalità politiche che, in un modo o nell’altro, tentavano di ingraziarselo. A sentire Velleio Patercolo, però, dal momento che Marco Antonio prese il comando delle operazioni Roma non se la passò bene: “Oppressa sotto la dominazione di Antonio, Roma languiva”. Per Lepido, dunque, con estremo opportunismo (cosa non strana all’epoca), decise di fare modo e maniera di arrivare ad un accordo con Marco Antonio. Quest’ultimo, di rimando, fu molto contento di avere un appoggio politico e militare così importante, tanto da sancire tale relazione con l’elezione di Marco Emilio Lepido a pontifex maximus. Sempre sentendo Velleio Patercolo questa fu una mossa spregiudicata e sprezzante del vero valore di tale carica, se è vero che lo storico scrisse “sebbene fosse stato creato [Lepido] con l’imbroglio pontefice massimo al posto di Giulio Cesare”. Successivamente Lepido, seguendo le presunte volontà del testamento di Cesare, si spostò in Gallia per continuare l’opera di conquista militare e pacificazione civile messa già in atto dal dittatore. Dopotutto non dobbiamo sorprenderci dell’attivismo di Marco Emilio Lepido, se è vero quello che scrisse Cassio Dione: “Costui [Lepido], infatti, con il pretesto di vendicare Cesare, avrebbe voluto sfruttare la situazione, e poiché aveva in mano l’esercito, aspirava a succedere a Cesare e a impadronirsi del potere, pronto per questo a provocare una guerra”. Sembra, Lepido, essere dunque un uomo senza scrupoli, intento solo a perseguire i propri scopi. Un uomo temuto anche dallo stesso Marco Antonio, proprio per la sua grande presa con le legioni di Roma. Ma all’appello, in questo tourbillon di uomini politici, senatori ed interessi di vario genere, manca ancora l’ultimo, grande, attore protagonista: Ottaviano.

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IL RAPPORTO CON OTTAVIANO ED IL SECONDO TRIUMVIRATO
L’avvento di Ottaviano non fece che rendere ancor più intricata la vicenda, facendo anzi emergere una caratteristica che pare essere propria di Marco Emilio Lepido: la sua ambiguità. Sicuramente il nostro era un uomo molto in vista nell’Urbe del I secolo d.C., ed alcuni episodi ce lo stanno a ricordare come il trionfo decretato dal Senato per le sue campagne militari in Spagna nel biennio 48 – 47 a.C., o ancora meglio per la salutatio imperatoria che, alla fine del 44 a.C., gli venne accordata per avere raggiunto la pace (temporanea) con Sesto Pompeo. In quest’ultimo caso Marco Emilio Lepido ebbe l’onore di vedere eretta una statua, raffigurante sé stesso, nei Rostra nel Foro Romano, oltre che ottenere il titolo di imperator. Sembrava, dunque, sempre l’uomo giusto al momento giusto. Dopo la morte di Cesare sembrava che si fosse eretto a difensore della Repubblica, per poi però mettersi d’accordo con Marco Antonio e spartire, con lui, anche i problemi derivanti dall’ingarbugliata fase della storia che a Roma si stava svolgendo. Sia Marco Antonio che Lepido, infatti, furono nominati hostis publicus, nemici dell’Urbe. Con Ottaviano, infatti, cambiò il vento e uomini come Cicerone, in primo luogo, cominciarono a spargere veleno sia sui cesaricidi che sulle attività di Marco Antonio e di tutti i suoi sodali, accusati di voler perpetrare il percorso liberticida ed anti repubblicano intrapreso prima ancora da Giulio Cesare. Però ciò non tolse a Lepido il favore delle armi, tanto è vero che il suo esercito rimase al fianco del generale romano anche dopo che il Senato, a seguito della dichiarazione del loro comandante a nemico pubblico, diede loro un termine ultimo per rientrare nei ranghi e combattere per il Senato. Termine non rispettato.
Oramai, dunque, i tempi erano più che maturi per poter giungere ad un accordo che potesse, in un certo qual senso, portare un po’ di ordine in una Roma martoriata da guerre civili, uomini ed eserciti in fuga, mancanza di un vero leader, o istituzione, al comando. Fu così che i tre contendenti/alleati, Ottaviano, Marco Antonio e Marco Emilio Lepido, il 26 novembre del 43 a.C. giunsero ad una quadra, ad un accordo, sancito dal Senato, che passerà alla storia come Secondo Triumvirato. Come detto Lepido viene sempre lasciato ai margini, quasi come se non esistesse o se non avesse lo stesso peso degli altri due, ma si è visto che non era propriamente così. Lepido era un uomo che sapeva farsi rispettare e che aveva tantissimi agganci, un uomo che a volte andava dove meglio girava il vento, alleandosi con questo o con quell’altro in base alla propria convenienza. Non ci dobbiamo sorprendere, dunque, se per i propri fini politici non esitò a far inserire il nome di suo fratello Paolo nella lista di proscrizione, famigerata misura voluta proprio dal triumvirato per mettere pressione e paura, per racimolare patrimoni e denari freschi per le proprie campagne militari, e per rinsaldare il loro potere. Chi era in quella lista era già un uomo morto e, anzi, un aiuto da parte di chiunque era gradito ed auspicato. Le liste di proscrizione portarono ad un periodo di vero terrore nell’Urbe dell’epoca, come già avvenne ai tempi di Silla. Poi, sconfitti in seguito Bruto e Cassio, tra i cesaricidi che più fastidi davano al Senato ed ai tre triumviri, la palla passò in mano proprio a loro che, ovviamente, cominciarono a avvicinarsi ed allontanarsi, saldando l’alleanza o arrivando quasi alla sua completa distruzione.
LA FINE DEL SECONDO TRIUMVIRATO E LA MORTE DI LEPIDO
Dopo la fine della guerra contro Bruto e Cassio, e dopo l’infelice episodio della rivolta del fratello di Marco Antonio (guerra di Perugia, 41 – 40 a.C.), il grande nemico di Roma fu Sesto Pompeo. Il figlio del celebre generale, che tanto filo da torcere diede a Giulio Cesare, si era dato praticamente ad atti di pirateria. Con la sua flotta stava rendendo la vita molto difficile ai triumviri, i quali nel frattempo si erano spartiti i territori della Repubblica. A Lepido toccò il Nord Africa. Sesto Pompeo, però, con le sue scorribande arrivò quasi ad affamare Roma, tanto era forte la sua presenza, e con lui quella delle sue navi, in tutto il Mar Mediterraneo. E fu in questo momento così caotico, con Augusto preoccupato di difendere Roma e, soprattutto, la sua immagine di generale invitto e leadership forte, che Marco Emilio Lepido sfruttò la sua occasione. Siamo nel 36 a.C. Da buon romano, infatti, colse il momento giusto per tentare di prendere il comando delle operazioni, di usare la sua forza militare non contro i nemici dell’Urbe, bensì contro gli altri uomini forti di quel periodo. Leggiamo cosa dice Velleio Patercolo a riguardo: “Mentre Cesare [Augusto] faceva guerra a Pompeo, aveva richiamato Lepido dall’Africa con dodici legioni con l’organico dimezzato. Questi, il più vanitoso di tutti gli uomini, né meritevole di una così duratura indulgenza della fortuna per sua qualche virtù, aveva riunito nel proprio esercito quello di Pompeo perché ne era più vicino, ma che disposto a schierarsi sotto al comando e la protezione di Cesare [Augusto] ma non sotto di lui”. Insomma pare proprio, secondo lo storico, che sfruttando le numerose legioni in suo possesso, ed il suo presunto ascendente sui militari, Lepido avesse tentato di sferrare un attacco decisivo proprio contro Ottaviano, alleandosi con Sesto Pompeo. Sicuramente la campagna in Sicilia non stava, almeno inizialmente, andando alla grande per il futuro princeps, tanto che la flotta in suo possesso aveva già subito l’onta della sconfitta. Lepido, insomma, si dimostrò essere una sorta di doppiogiochista. Sebbene in Velleio Patercolo si legge una certa e non troppo velata antipatia nei confronti di Lepido, alimentate soprattutto dal suo ascendente nei confronti di Augusto, è pur vero che Lepido tentò effettivamente di smarcarci dai due uomini forti del periodo, Ottaviano e Marco Antonio. Nonostante questo, però, nel momento decisivo pare che Lepido perse il controllo sulle sue legioni ed i suoi soldati, quel solido rapporto che lo aveva proiettato ai piani alti del potere di Roma. Velleio Patercolo è impeccabile nel suo giudizio, scrivendo che alla fine Augusto “lo [Lepido] spogliò di quella dignità che era stato incapace di conservare”, mentre con Svetonio abbiamo un riassunto scarno di quello che successe dopo il tradimento di Lepido e la sua incapacità di tenersi buone le sue legioni. Scrive Svetonio, infatti, che “Augusto allora lo privò del suo esercito, poi, davanti alle sue suppliche, gli risparmiò la vita, ma lo esiliò per sempre a Circeo”. Insomma i soldati diedero ragione ad Ottaviano, preferirono seguire le sue orme piuttosto che quelle di un uomo che, nonostante tutto, aveva deciso di solidarizzare con quel Sesto Pompeo che stava affamando l’Urbe (sebbene anche quest’ultimo godesse, essendo comunque figlio di Pompeo Magno, di un certo fascino agli occhi dei legionari).
Qui, comunque, ebbe termine la parabola politica e sociale di Marco Emilio Lepido, che però sopravvisse, tra l’altro mantenendo la carica di pontifex maximus, addirittura fino al 13 a.C. Dopo questo excursus ci si domanda ancora oggi chi fosse davvero Marco Emilio Lepido. Il vero triumviro dimenticato? Il terzo incomodo che doveva solo rimanere a guardare di fronte alla guerra tra titani scatenata da Ottaviano e Marco Antonio? O, forse, fu Lepido un uomo molto più scaltro di quello che la storia ci ha tramandato? Certamente siamo dinanzi ad un politico romano che, nel I secolo a.C., seppe come tanti altri sfruttare l’arma della diplomazia e della politica, cambiando alleanze in base alla propria convenienza. Seppe inoltre utilizzare al meglio la potenza di migliaia di soldati che, sotto al suo comando, combatterono quasi fino alla fine per lui, più che per l’Urbe. Una sorte intrapresa, in quell’epoca di guerre civili a non finire, anche dalle legioni che seguirono sino alla morte Cesare, Marco Antonio o Ottaviano. Marco Emilio Lepido fu, dunque, un classico esempio di come, sapendosi muovere tra le sabbie mobili della mutevole politica romana del I secolo a.C., si poteva tentare il colpo grosso, arrivando sino alla vetta del potere. Peccato per lui che, in quel momento, a emergere tra le pagine della storia ci fossero Marco Antonio e, soprattutto, Ottaviano.