Massimino il Trace: un barbaro alla guida dell’Impero

Massimino il Trace

Imperatore di Roma dal 235 d.C. al 238 d.C. ma, soprattutto, il primo barbaro ad ergersi sino al trono imperiale: Massimino il Trace non fu mai Senatore e, anzi, con il Senato non ebbe per nulla un buon rapporto. Nei suoi tre anni di regno, altro record personale e storica, addirittura Massimino non andò mai a Roma, tanto era preso dalle sue amate battaglie. Il profilo generale di Massimino è proprio questo: un barbaro elevato al rango imperiale per volere delle legioni, senza alcun assenso da parte de Senato e, anzi, senza alcun tipo di rapporto con i patres. Un uomo di cui si discute ancora oggi, soprattutto per quanto riguarda le sue umili origini. Scopriamo allora come un semplice pastore semi trace, secondo la versione di Erodiano, divenne imperatore.

ASCESA AL TRONO
Se delle sue povere origini sappiamo ben poco, è pur vero che Massimino il Trace pare fosse una presenza certa e continua nei ranghi dell’esercito, soprattutto nel corso del regno di Settimio Severo. Con lui Massimino, nato attorno al 173 d.C., ebbe una carriera fulminante che gli arricchì il cursus honorum di cariche come praefectus alae o praefectus tironum (addestratore delle reclute). Un episodio, però, ci dice più di altri di come Massimino fosse tenuto in considerazione. Servì sotto Caracalla come centurione e poi, alla morte di quest’ultimo, per un anno circa si ritirò dai ranghi militari. Forse aveva raggiunto il limite d’età per poter esercitare come soldato, o forse fu semplicemente disgustato dalla morte di Caracalla. Fatto sta che quando Macrino, successore di quest’ultimo, fu detronizzato in favore del nuovo imperatore Eliogabalo, Massimino tornò e chiese la possibilità di rientrare nell’esercito. Pare, però, che con fare sprezzante Eliogabalo rispose lui “Dicono, o Massimino, che tu abbia lottato vittoriosamente con 16, 20 e 30 soldati. Potresti farcela per trenta volte con una donna?”. Pare, però, che per vie traverse Massimino rientrò comunque nei ranghi militari, grazie soprattutto ad alcuni membri della corte imperiale che sapevano perfettamente quanto fosse forte l’idea che il trace fosse una risorsa indispensabile. In molti lo adoravano e lo paragonavano ad un eroe greco. Il motivo? Il suo imponente fisico. Nella Historia Augusta leggiamo, infatti, che “Era infatti imponente nella corporatura per la grande prestanza, famoso per il suo valore tra tutti i suoi commilitoni, bello e virile, fiero nel suo comportamento, duro, superbo, notevole ed allo stesso tempo giusto” e che fosse in grado di “di trascinare un carro a quattro ruote a forza di braccia, muovere da solo un carro carico di gente, buttar giù i denti di un cavallo con un pugno, spezzargli i garretti con un suo calcio, frantumare pietre di tufo, spaccare alcune piante in due”.

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Il suo grandioso fisico, così poco romano, lo doveva davvero far apparire terribile. Anche alcuni suoi comportamenti non rispecchiarono completamente l’uso ed il costume dei romani, almeno sempre dando retta alla Historia Augusta in cui si evince come Massimino “Risulta che spesso bevesse in un solo giorno un’anfora capitolina di vino, che mangiasse fino a quaranta libbre di carne, o anche sessanta […] egli non assaggiò mai i legumi e quasi mai bevande fredde se non quando ne aveva necessità. A volte raccoglieva le gocce del suo sudore, mettendole in calici o in un contenitore, tanto da mostrare due o tre sestarii”. Tante iperboli che, se da una parte sottolinearono le straordinarie capacità di Massimino, dall’altra ne narravano le continue differenze con il mondo in cui viveva. Questa duplice tensione si manifesterà meglio il giorno della morte di Alessandro Severo. Nel 235 d.C., quando l’imperatore successore di Eliogabalo si accampò, per combattere contro popolazioni e tribù germaniche, in Gallia. Lì fu ucciso, proprio all’interno della sua tenda. Molte sono le versioni e le fonti inerenti questo omicidio, ma in tutte c’è un assoluto protagonista: Massimino il Trace. C’è chi dice che furono le stesse reclute che il barbaro stava addestrando ad uccidere materialmente Alessandro Severo, mentre altre fonti indicano come l’imperatore fu ucciso per una rivolta, ordita in particolare da truppe ausiliare e larghe fette dell’esercito, quando già Massimino era stato proclamato imperatore dalle legioni. A prescindere dalle versioni (secondo Zosimo, addirittura, Alessandro Severo si suicidò dopo aver tentato di trovare un accordo con il barbaro), si capisce una cosa fondamentale, e cioè l’assoluta fedeltà che l’esercito aveva nei confronti del Trace. Una fedeltà che alimenterà, per un poco, il regno di Massimino il quale decise, coscientemente, di non curarsi minimamente di quell’organo istituzionale che avrebbe dovuto avere un’importante voce in capitolo: il Senato

IL REGNO DEL TRACE: TRA GUERRE E BATTAGLIE
Il regno di Massimino il Trace roteò attorno alla guerra, che forse lui pensava essere l’unica missione che un imperatore doveva svolgere. Non c’è da stupirsi se un uomo abituato ad essere un soldato, a vivere e ad agire come un legionario, fosse considerato come la persona giusta al momento giusto. Dopotutto Alessandro Severo sarebbe stato ucciso anche per la sua presunta intenzione, influenzata dalla madre, di rientrare a Roma e terminare la campagna militare nelle terre germaniche. Ma Massimino il Trace era fatto di tutt’altra pasta, e lo dimostrò immediatamente. Mosse guerra contro gli Alamanni, la tribù barbara più temibile. Non solo li sconfisse ma, addirittura, penetrò per centinaia di miglia all’interno del territorio nemico, fino ad ora inesplorato dalle truppe romane. Quando nella Historia Augusta leggiamo che “c’è da ricordare che Massimino, appena divenuto imperatore, intraprese ogni tipo di campagna militare, conducendole con grande forza e sfruttando le sue capacità belliche, volendo che gli altri lo stimassero e volendo superare in fama Alessandro Severo, che lui aveva ucciso”, abbiamo una conferma di quanto scritto in precedenza. L’imperatore si fermò solo dinanzi al territorio impervio e paludoso, ma non prima di aver dato grandissima prova di sé. Dopotutto il suo fisico statuario gli permetteva di essere visto anche a grande distanza. Il suo coraggio e la sua noncuranza del pericolo, oltre probabilmente alla consapevolezza che un imperatore doveva sempre lottare in prima fila, dando il buon esempio, gli valsero il titolo di Germanicus Maximus, onore dato lui da quel Senato che, per forze di cose, doveva sostenere un imperatore che stava distruggendo letteralmente i nemici di Roma.

Ritratto di Massimino Trace

Nel biennio 215 – 216 Massimino il Trace non andò mai a Roma anche perché troppo impegnato sul campo di battaglia. Regolati gli Alemanni si rivolse contro i Sarmati, andando ben oltre il confine renano e danubiano. La gloria che stava investendo il gigante trace sembrava irrefrenabile. L’aver raddoppiato la paga ai legionari rientra nella logica politica di continuare ad alimentare quel consenso, nei ranghi militari, che lo spinse alla porpora imperiale. Facendo questo, però, Massimino il Trace perse completamente di vista un aspetto fondamentale: per quanto importante e potente fosse l’influenza dei militari, vi erano pur sempre altre forze sociali che avrebbero voluto e dovuto dire la loro. Gli scricchiolii al potere temporale ed imperiale di Massimino il Trace derivarono proprio dalle sue continue ed incessanti azioni belliche. Le guerre costavano, e questa era una costante, ieri come oggi. Il problema è come finanziare quelle campagne militari a cui Massimino non voleva proprio rinunciare. Se pensiamo poi che l’amministrazione e gestione dell’impero fu delegata ad altri membri della corte, alcuni in carica sin dai tempi di Alessandro Severo, si comprende come al Trace non interessava minimamente il modo in cui racimolare il denaro necessario. Con questa ottica, dunque, l’imperatore non lesinò un aumento generalizzato delle tasse, cosa che creò del malcontento. Ma Massimino fece anche di peggio, quando cominciò ad utilizzare ornamenti preziosi, provenienti anche dai templi, per emettere quelle moneta sonante che, poi, andava ad alimentare le sue guerre e le tasche dei soldati. Nella Historia Augusta si percepisce bene il clima instaurato dall’imperatore, oltre ai suoi modi spicci: “Così si rivolse al tesoro pubblico e cominciò ad espropriare denaro cittadino, che era stato raccolto per essere distribuito al popolo romano attraverso i congiara (distribuzioni alimentari e in denaro), oltre a fondi messi da parte per rappresentazioni teatrali e spettacoli”. I templi furono profanati, in ottica romana, e questo non è mai un buon segno (anche Nerone fece lo stesso, ad esempio). Poi Massimino rivolse la sua attenzione ai provinciali, non lesinando il sequestro di beni e preziosi in maniera incontrollata e trasversale, andando a colpire tutti i ceti sociali, da quello aristocratico al medio. Anche i soldati, poi, cominciarono a dubitare della bontà della scelta perpetrata un paio di anni prima, soprattutto quando anche la presunta invincibilità di Massimino il Trace stava venendo meno. La sua inesorabile avanzata nei territori nemici stava rallentando, e ciò portò in molti ad avere dubbi sul corretto operato dell’imperatore. E non dimentichiamoci infine del Senato e dei patres, i quali a maggior ragione dopo la spoliazione dei templi compresero che non c’era più spazio per un uomo del genere al comando dell’Impero Romano. Una soluzione doveva essere trovata, ed una congiura fu vista come la scelta più idonea

LE CONGIURE E LA FINE
La grana, per Massimino, esplose nella provincia nord africana. Ci fu una pesante rivolta di molti proprietari terrieri, a causa di un funzionario pubblico che tentò, anche con la frode, di ingraziarsi l’imperatore. Purtroppo quella fu la scintilla di una sommossa popolare che portò il Governatore della provincia, Gordiano, ad essere proclamato imperatore. Sebbene controvoglia, a quanto pare (dopotutto il povero Gordiano aveva 80 ani già), l’anziano uomo accettò e prese il nome di Gordiano I. La prima cosa che fece, considerando l’età avanzata, fu quella di associare al potere suo figlio, che prese il nome di Gordiano II. Siamo nella primavera del 138 d.C. Ovviamente il Senato non stette a guardare, e subito appoggiò pienamente la rivolta, tanto che non si curò minimamente dell’uccisione del prefetto del pretorio di Massimino, che era a Roma, così come della messa al bando o della morte di molti amici e sodali dello stesso imperatore. L’Urbe, ormai, era a lui preclusa.

Ovviamente Massimino non stette con le mani in mano, e decise di fare ciò che gli riusciva meglio, imbracciare le armi e partire per la battaglia. Scese in Italia, non prima di aver parlato a cuore aperto ai propri soldati, gli stessi da cui veniva idolatrato, almeno fino a poco prima. Secondo Erodiano Massimino disse ai commilitoni: “Sono sicuro che ciò che vi sto dicendo sarà per Voi [soldati] incredibile ed inaspettato. Secondo me ha dell’incredibile, come pure appare ridicolo. Qualcuno sta levando le armi proprio contro di Voi ed il vostro coraggio. Ma non i Germani, che avete sconfitto in molte occasioni, neppure i Sarmati, che regolarmente hanno chiesto la pace. I Persiani dopo la loro recente invasione della Mesopotamia, sono ora calmi e contenti dei loro possedimenti. Il fatto che stiano in queste condizioni, è dovuto alla vostra reputazione per il coraggio con cui combattete, oltre all’esperienza del mio comando, quando fui comandante delle legioni che si trovano lungo il fiume [Eufrate]. Non sono quindi loro, ma i Cartaginesi che sono impazziti. Essi hanno persuaso o forzato un uomo debole e vecchio, che è uscito di senno per la vecchiaia, a diventare imperatore, quasi fosse un gioco in una processione. Ma che sorta di armata hanno messo insieme, quando i littori sono sufficienti a mala pena a servire il loro governatore?”. Massimino dunque mise subito in dubbio la forza dei nemici, sottolineando come quella rivolta avrebbe potuto essere sedata in un batter d’occhio. Inoltre, per non farsi mancare nulla, l’imperatore portò delle macchine d’assedio con sé. Non aveva remore, dunque, a mettere sotto assedio l’Urbe stessa.

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La situazione si complicò ulteriormente quando in Africa i due Gordiani vennero uccisi per mano di uomini e armati fedeli a Massimino. Ciò, però, non fermò minimamente il Senato, evidentemente deciso a tentare il tutto per tutto. Si venne a creare una situazione ancor più caotica ed ingarbugliata, poiché alcuni preferirono delegare il potere imperiale al nipote di Gordiano I, che verrà chiamato con il nome di Gordiano III, mentre molti senatori preferirono proclamare imperatori, in una nuova diarchia, due uomini espressione diretta dei patres e della loro classe sociale, Pupieno e Balbino. Il rapporto di forze sembrava dare manforte a Massimino, il quale aveva fondamentalmente con sé un grande esercito. Ma cominciò a fare delle scelte che gli tolsero l’appoggio dei soldati. Invece che scendere direttamente fino a Roma, dopo aver trovato lungo il suo percorso solo villaggi abbandonati e senza vettovaglie o alimenti (e ciò non fece piacere ai legionari), Massimino decise di mettere sotto assedio Aquileia, che nel frattempo si era rinforzata in previsione dell’arrivo dell’imperatore. Ed un assedio, soprattutto se inutile come in quel frangente, poteva essere solo che dannoso. I soldati volevano combattere, ma non c’era gloria in un assedio contro una città romana che, tra le altre cose, poteva essere lasciata al suo destino. L’obiettivo di Massimino doveva essere l’Urbe stessa. Le cose andarono male quando anche altri villaggi, attorno ad Aquileia, si prepararono a difendersi ad oltranza. E fu in quel momento, con la riorganizzazione di Pupieno e Balbino, con i soldati stufi di combattere contro tutto il mondo romano, e stanchi di un assedio che non serviva a nulla, che per Massimino fu la fine. In un crescendo malcontento l’imperatore fece anche uccidere dei generali, i quali non erano d’accordo con le sue scelte o non riuscirono a sedare gli animi. Ma poi la Legio II Parthica, quella che Settimio Severo decise di mettere di stanza ad Albano come strumento di pressione nei confronti del Senato, fece la sua mossa. Risalì la penisola, entrò nell’accampamento di Massimino e lo uccise, e con lui suo figlio. Fu così che terminò la vita terrena del Trace, le cui statue ed effigi vennero distrutte, e la cui memoria fu cancellata dalla storia con la damnatio memoriae. In suo ricordo ecco le parole della Historia Augusta, che ci dice “Questa fu la fine dei Massimini, degna della crudeltà del padre, ma ingiusta nei confronti della bontà del figlio. La loro morte suscitò grande gioia tra i provinciali, e profondo dolore tra i barbari”. Come dire che alla fine per i Romani moriva un nemico dell’Urbe, non uno di loro…

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