Caracalla: un imperatore tra sogni di gloria e tirannia

Caracalla: un imperatore tra sogni di gloria e tirannia

Parlare di Caracalla, imperatore della dinastia dei Severi dal 211 al 217 d.C. (quando regnò effettivamente in solitaria), significa sviscerare la situazione sociale e politica della Roma dell’inizio del III secolo, un periodo instabile per l’Urbe che comincerà a perdere quella forza che l’aveva tenuta insieme sin dall’epoca augustea. Vediamo, dunque, come Caracalla ha agito e governato, e cosa ha lasciato ai posteri, ai suoi sudditi, all’esercito e a quell’Impero Romano che stava cominciando la sua parabola discendente.

NASCITA E SALITA AL TRONO
Caracalla, il cui nome originale era Lucio Settimio Bassiano, nacque nel 188 a Lugdunum, la moderna Lione, dall’imperatore Settimio Severo e dalla siriana Giulia Domna. L’ascesa al trono era, dunque, solo una questione di tempo, in quanto il suo augusto padre lo scelse come successore già nel 198 d.C. La strada era spianata e tutti puntavano molto su questo bambino che, secondo le fonti, sembrava essere destinato a diventare un imperatore retto e giusto. Nella Historia Augusta, ad esempio, leggiamo che “[Caracalla] fu dunque un fanciullo amabile, intelligente, affabile con i genitori, caro ai loro amici, ben accetto, gradito al Senato: ciò gli giovò ad acquistarsi la simpatia generale. Non apparve mai indolente nello studio, né pigro a compiere atti di benevolenza o restio a mostrarsi liberale o tardo a gesti di clemente, almeno finché visse sottomesso ai genitori”. Insomma, a leggere questo testo Caracalla sembrava pronto ad un fulgido destino alla guida dell’impero più forte della storia.

Non solo, poiché pare che Caracalla crebbe davvero bene, soprattutto dal punto di vista educativo. Giulia Domna era molto presente e puntò tutto su di lui, nonostante la presenza del fratello minore Geta con cui, sin da subito, pare che non scorresse buon sangue. Nonostante tutte queste bellissime premesse, e considerando che Caracalla cominciò, ufficialmente, a governare all’età di dieci anni con la sua elevazione al rango di Augusto da parte del padre, Lucio Settimio Bassiano perse, a poco a poco, il credito guadagnato. Addirittura già nel 202 d.C., quindi a soli 14 anni, si sposò con Fulvia Plautilla, figlio del prefetto del pretorio Plauziano. Il matrimonio naufragò tre anni dopo quando il suocero Plauziano fu fatto giustiziare pare, proprio, per volere del piccolo Caracalla. Questa fu la prima macchia in un’infanzia apparentemente immacolata. Tutto cambiò nel 211 d.C., alla morte di Settimio Severo. Le redini dell’Impero Romano passarono al giovane Caracalla, che fu soprannominato in questo modo così particolare a causa della sua abitudine nell’indossare un mantello con cappuccio di origine celtica (il termine “caracalla” in origine poteva significare voce gallica, o similare). Il problema del neo imperatore fu solo uno: Geta, il fratello minore. Anche lui fu designato Augusto e, di conseguenza, Caracalla si ritrovò a governare in una situazione di diarchia. Uno dei due era, per la mentalità di Caracalla, di troppo.

Caracalla: un imperatore tra sogni di gloria e tirannia

Aureo di Caracalla e Geta

CARACALLA E SUO FRATELLO GETA
I rapporti erano al minimo sindacale e, forse, neanche quello. Pare che Geta e Caracalla vivessero da separati in casa nel loro augusto e fantastico palazzo sul Palatino, tanto da evitare accuratamente di incrociarsi nei corridoi. Purtroppo l’epilogo era scritto, se è vero che alla fine fu Caracalla stesso (o secondo altre fonti dei centurioni inviati da lui) ad uccidere il povero Geta che, tra le altre cose, morì tra le braccia della madre Giulia Domna. Dove è la verità? Cosa successe per davvero? Secondo la Historia Augusta la morte di Geta fu architettata ingegnosamente da Caracalla il quale, prima di passare all’estremo gesto, voleva essere sicuro di avere l’esercito dalla sua parte. Soldati e, in particolar modo, i pretoriani erano delle risorse fondamentali per tutti gli imperatori romani. Un sostegno a cui non si poteva fare a meno e che era meglio ottenere, anche a suon di donativi e denaro, per non perdere il potere. In due secoli di vita l’impero romano aveva già visto dei pretoriani uccidere il loro signore che, in teoria, avrebbero dovuto proteggere.

Per queste ragioni pare che Caracalla cominciò a girovagare per il castro pretorio lamentandosi del fratello minore, soprattutto dopo che Geta fosse stato già ucciso. Nella Historia Augusta leggiamo: “Dopo la morte del padre si recò nel castro pretorio, e si lamentò con i soldati che il fratello gli tendeva insidie: così lo fece uccidere nel Palazzo, ordinando che il suo cadavere venisse subito cremato. Parlando ai soldati, ebbe inoltre a dire che il fratello aveva tentato di avvelenarlo, e che si era mostrato irrispettoso verso la madre; e ringraziò pubblicamente quelli che lo avevano ucciso, aumentando persino loro lo stipendio, come soldati che avevano mostrato maggior fedeltà nei suoi confronti. Una parte dei soldati, che stazionavano ad Alba, accolse la notizia dell’uccisione di Geta con grande disappunto: tutti quanti dicevano di aver promesso fedeltà ai due figli di Severo e che dovevano quindi serbarla ad entrambi; chiuse dunque le porte dell’accampamento, per lungo tempo non lasciarono entrare l’imperatore, finché questi riuscì a calmare gli animi, non solo ripetendo le lamentele e le accuse nei confronti di Geta, ma soprattutto placando i soldati, come è d’uso, mediante la distribuzione di enormi somme di denaro”. Dunque è chiara la strategia di Caracalla: avere un supporto militare in un periodo di transizione non facile. In molti non videro di buon occhio la morte di Geta, soprattutto perché si sospettava fortemente dell’unico imperatore rimasto in vita. Non è dunque un caso che, sempre secondo le fonti scritte in nostro possesso, Caracalla “entrò allora nella Curia indossando una corazza sotto l’abito senatorio e facendosi accompagnare da una guardia di soldati armati, che dispose in duplice fila in mezzo ai sedili: e così tenne il suo discorso”. Anche davanti ai patres propinò la stessa versione della storia: era Geta il traditore, Geta quello che lo voleva uccidere per prendersi il trono. Se dobbiamo dare retta a ciò che abbiamo letto, però, il fatto che Caracalla si fosse presentato armato in Senato, con tanto di corazza al di sotto della toga, indica come non fosse propriamente sicuro, o quantomeno sincero, riguardo a ciò che affermava. Fatto sta che, nel 211 d.C., Caracalla cominciò davvero a regnare, da solo e senza nessuno (madre inclusa la quale, nel frattempo, si ritirò dalla vita pubblica prima di morire) tra i piedi.

Caracalla: un imperatore tra sogni di gloria e tirannia

Lawrence Alma-Tadema – Geta and Caracalla 1907

CARACALLA ED IL SUO GOVERNO
Certamente Caracalla fu catechizzato bene dal padre Settimio Severo, in quanto la sua attenzione ricadde subito sull’esercito e sul tentativo di tenerlo stretto a sé, assicurandosi assoluta fedeltà. Non è un caso, dunque, se tra le prime decisioni intraprese da Caracalla ci fu quella della paga del legionario, che fu un poco alzata. Nonostante questo, però, Caracalla sembrava vivere sempre con l’ansia che qualcosa sarebbe potuto accadere. Si sentiva circondato da nemici, veri o presunti, e questo forse non fece altro che accrescere quel carattere un poco scontroso, irascibile e a volte violento che quel fanciullo così buono e bravo sembrava possedere. Non esitò, ad esempio, a far uccidere a colpi di scure Papiniano, il prefetto del pretorio. Motivo? Il soldato non appoggiava la morte di Geta. Per seguire le orme paterne, inoltre, non lesinò l’organizzazione di una campagna militare nelle terre germaniche, in modo da guadagnarsi ancor di più il rispetto dei suoi soldati. Soldati a cui, una volta di più, doveva tutto, se è vero che arrivò a dire, rispondendo al Senato, “Nessuno, all’infuori di me, deve avere denaro, affinché io possa darlo ai soldati” (Cassio Dione). Le vittorie susseguenti le campagne belliche gli meritarono l’appellativo di Germanicus Maximus, ma non è tutto oro quel che luccica. Cassio Dione, ad esempio, insinua che la guerra non fu davvero vinta con la detronizzazione del nemico, ma con un patto siglato con i barbari. Caracalla, dunque, non avrebbe usato la forza bruta ma la diplomazia, per aver ragione delle tribù selvagge oltre il limes germanico. Anche in questo caso forse non sapremo mai la verità anche se, leggendo ad esempio Erodiano, veniamo a sapere che Caracalla non sembrava così propenso ad uccidere ogni singolo barbaro che si trovava di fronte a lui. “Si accattivò tutti i Germani stanziati su quel confine, facendoseli amici, al punto che li prese con sé come ausiliari o li fece sue guardie del corpo, scegliendo i più valorosi e prestanti. Spesso, abbandonando la toga romana, indossava vesti germaniche, e si mostrava in giro con i mantelli trapunti d’argento che si usano in quei paesi. Inoltre si metteva in testa parrucche bionde, acconciate come la capigliatura dei Germani. Di ciò rallegrandosi i barbari, gli si erano profondamente attaccati. Anche presso i soldati romani era molto popolare, specialmente per i donativi che dispensava loro senza risparmio; e inoltre perché partecipava a tutte le attività militari, prodigandosi tra i primi quando si doveva scavare un fossato, gettare un ponte, e levare un argine; insomma, dovunque vi fosse da svolgere un lavoro materiale, per primo vi si sobbarcava”. Se ciò che leggiamo fosse vero possiamo comprendere, una volta di più, di come Caracalla tentasse di comportarsi esattamente come il padre, nel senso del provare ad essere una presenza costante per i soldati i quali lo amarono perché si comportava come loro, nonostante fosse l’imperatore. Dall’altra è certo che Caracalla, in molti casi, si comportasse più come un barbaro che come un tipico Romano.

Basta vedere i numerosi ritratti in marmo a nostra disposizione. Caracalla è sempre ritratto con una folta barba riccioluta, una moda inaugurata da Adriano ma che, nonostante tutto, non apparteneva al costume latino e romano. Inoltre Caracalla si fece sempre ritrarre con un’espressione arcigna, seria e quasi arrabbiata. L’imperatore, in questo modo, voleva sottolineare la sua forza dirompente, tanto che spesso si fece ritrarre come Ercole, simbolo di forza e potenza per eccellenza (c’è un bellissimo busto in marmo ai Musei Capitolini, in cui vediamo Caracalla con una clava sulla mano destra e la leontè sul capo).

Caracalla, però, divenne celebre per una fondamentale decisione politica, che passò alla storia come la Constitutio Antoniniana: nel 212 d.C., infatti, Caracalla stabilì che tutti i liberi dell’Impero Romano dovevano ottenere la cittadinanza. Per secoli essere cittadini romani era non solo un lusso, ma una garanzia nell’avere dignità sociale, civile e giuridica. Nel periodo repubblicano, proprio a causa della cittadinanza, ci furono anche delle guerre nella penisola italica. Tanto per avere l’idea dell’importanza della questione. Qualcosa ancora non ci è chiaro, nonostante tutto. Sappiamo che la misura fu una tantum, e che di conseguenza tutti i peregrini (stranieri), che avrebbero varcato i confini imperiali dopo la Constitutio Antoniana del 212 d.C. non ottenevano automaticamente la cittadinanza. Perché questa decisione? Probabilmente all’origine di tutto c’era la necessità di avere un maggior afflusso di denaro nella casse dello Stato. Nonostante i diritti che si potevano ottenere con la cittadinanza, è certo che quest’ultima aveva anche dei doveri. Si dovevano pagare le tasse e, soprattutto, si era costretti a divenire coscritti. La costrizione era il servizio di leva, obbligatorio per i maschi, i figli dei veterani, a volte i barbari che erano stati, dietro accordi, accolti entro i confini dell’Impero Romano. Anche i latifondisti erano obbligati a garantire un determinato numero di coscritti allo Stato. Inoltre non sappiamo bene se i dediticii erano inclusi nel provvedimento o meno. Quest’ultimi erano barbari, o comunque non romani, che a seguito di trattati e accordi si erano dati (da qui il termine), a Roma, accettando di entrare a far parte del grande corpus dell’Impero Romano. I dediticii potevano essere utili in quanto lavoravano la terra o rimpinguavano le file dell’esercito, ma questa era una categoria infima all’interno della società romana. Infima ma numerosa. Comunque sia la decisione di Caracalla potrebbe esser stato un modo per avere più soldi e per avere un maggior numero di reclute per l’esercito.

CARACALLA | romanoimpero.com

LA FINE DI CARACALLA
Si è compreso come Caracalla basasse il suo potere sull’esercito e sui soldati. Si atteggiava a nuovo Alessandro Magno e, nel 217 d.C., anno della sua morte, era impegnato in una campagna contro i Parti molto ambiziosa e, nelle sue intenzioni, risolutiva. Peccato che proprio l’esercito, in un certo qual senso, lo tradì. Ecco le parole di Erodiano in merito alla morte di Caracalla: “Durante il viaggio fu costretto, per soddisfare un urgente bisogno naturale, a ritirarsi in disparte con un solo servo. Tutti dunque si allontanarono, e rimasero in disparte in segno di rispetto. Marziale, che stava sempre pronto a cogliere un’occasione favorevole, vedendo che Antonino era rimasto solo, si avvicinò fingendo che l’imperatore lo avesse chiamato per chiedergli o dirgli qualcosa; e piombandogli addosso mentre si sfilava la veste, lo colpì alle spalle con un pugnale che teneva nascosto a portata di mano. Il colpo, all’altezza della clavicola, riuscì mortale, e Antonino fu ucciso prima che potesse rendersi conto del pericolo. Mentre egli cadeva a terra, Marziale balzò a cavallo e fuggì; ma i cavalieri germani che Antonino prediligeva e che teneva come scorta, essendo meno lontani degli altri, si accorsero per primi dell’accaduto, e inseguirono Marziale, riuscendo a ucciderlo” Marziale è il protagonista di questo atto sconsiderato. Un soldato, un sottoposto di Caracalla. Perché Marziale uccise l’imperatore? Forse per vendetta personale, forse perché non accettò la non promozione al rango di centurione. Fatto sta che Caracalla uscì dalla Storia così, ucciso durante la minzione in un momento in cui abbassò, forse per la prima volta nella sua vita, la guardia.

Caracalla fu dunque un imperatore molto attento alle esigenze dell’esercito ma non a quello del Senato, con il quale i rapporti non furono mai molto buoni. La decisione stessa di estendere la cittadinanza lasciò basiti quei patres che la consideravano come un vero privilegio che certamente non poteva essere donato così a cuor leggero. Fatto sta che Caracalla, sul quale le aspettative erano molto alte, forse ha tradito un po’ tutti. L’esercito, in quanto non si era ancora dimostrato all’altezza del padre Settimio Severo. I senatori, in quanto non completamente rispettoso nei loro confronti. Un imperatore controverso, che terminò di vivere in un modo alquanto particolare per il momento della morte.  Luci e ombre per un uomo a cui oggi associamo il nome ad un complesso termale magnifico ed immenso, le cui vestigia ancora oggi colpiscono per complessità e maestosità. Un peccato che Caracalla stesso non riuscì a vedere la fine dei lavori delle sue Terme, in quanto morì prima.

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