
Parlare di una figura storica come Giulia Domna, consorte dell’imperatore Settimio Severo, significa addentrarsi nel carattere e nelle azioni di una donna che, a seconda delle epoche e delle fonti, è stata sia criticata sia celebrata. Giulia Domna è stata una protagonista della storia il cui legame con il mondo orientale, così differente dalla tradizione romana, non facilitò certo la sua accettazione da parte dei Romani e degli scrittori che hanno tramandato le sue vicende. Tuttavia, se la sua immagine si ritrova ancora oggi su numerosi rilievi, monete e rappresentazioni, un motivo profondo sicuramente esiste.
Giulia Domna nacque intorno al 170 d.C. a Homs, in Siria. Suo padre, Giulio Bassiano, era il sommo sacerdote del culto di El Gabal, una divinità siriana di grande rilievo, e questo ambiente religioso, predominante e radicato nella vita quotidiana, forgiò il carattere di Giulia Domna. La sua forte personalità e le origini orientali, tuttavia, non la resero inizialmente ben vista dai Romani, spesso diffidenti verso figure così diverse da loro. La sua fortuna si manifestò quando incontrò Settimio Severo, all’epoca un giovane e promettente comandante di legione destinato a diventare imperatore. La coppia si unì in matrimonio a Lione nel 187 d.C., segnando l’inizio di un’importante alleanza che mirava a unire Occidente e Oriente.
Quando Settimio Severo ascese al trono nel 193 d.C., consultava spesso Giulia Domna nelle questioni politiche e militari, riconoscendone la saggezza e il valore. Significativo fu il titolo di mater castrorum (madre dell’esercito), attribuitole in segno di rispetto per il suo costante supporto e la presenza nei campi militari accanto al marito. Questa vicinanza ai soldati, nonostante le sue origini orientali, suscitava in loro rispetto, dando prova del carattere di Giulia Domna. Nonostante l’influenza, Giulia Domna non cercò mai di imporsi nella politica di corte come altre figure femminili della storia imperiale. Lei e Settimio Severo formarono una coppia unita, sostenendosi a vicenda anche nei periodi più complessi, e crescendo insieme i loro due figli, Caracalla e Geta. Una moglie leale e madre devota, Giulia Domna fu una figura preziosa per un imperatore particolarmente amato dalle sue truppe.

Tuttavia, non tutto filò liscio a corte. La presenza di Giulia Domna, donna orientale e lontana dai modelli romani, non fu apprezzata da tutti, nonostante lei rispettasse il suo ruolo e le tradizioni romane. Per questo, nei primi anni del III secolo d.C., si allontanò temporaneamente dalla scena pubblica, dedicandosi principalmente alla crescita e all’educazione dei suoi figli. Fu in questo periodo che l’Augusta approfondì i suoi studi in filosofia e retorica, fondando un prestigioso circolo letterario. Cassio Dione stesso attesta che “[Giulia Domna] iniziò a dedicarsi alla filosofia e trascorreva il suo tempo in compagnia dei Sofisti.”
Il sofismo, infatti, poneva una grande attenzione sulla retorica, volta a evidenziare i valori umani e morali, e Giulia, già abile nella parola grazie alla sua istruzione, era particolarmente attratta da questi insegnamenti. Non fu solo un’ispiratrice per il circolo di filosofi e studiosi che riunì: partecipava attivamente agli incontri, quasi come un motore del progetto culturale. Tra i suoi legami spicca quello con Filostrato, sofista di Atene e precettore dei suoi figli Caracalla e Geta, che Giulia introdusse alla corte. Filostrato riporta che Giulia Domna gli commissionò una biografia, La Vita di Apollonio di Tiana, dedicata al celebre filosofo del I secolo d.C. È possibile che Giulia avesse trovato memorie del filosofo in tavolette, dimostrando così un forte interesse per il sapere e per il mecenatismo.
Ma quali furono gli avversari che ostacolarono Giulia Domna al punto da relegarla momentaneamente nell’ombra? Il suo principale antagonista fu Plauziano, potente prefetto del pretorio e influente membro della corte di Settimio Severo. La sagacia di Giulia le permise, tuttavia, di non compromettere i rapporti a corte, rimanendo in attesa di un’occasione migliore per consolidare la sua posizione. Il momento arrivò nel 211 d.C., quando la morte di Settimio Severo lasciò l’impero nelle mani dei suoi due figli, segnando per Giulia l’inizio di una nuova fase di influenza.

ALLA MORTE DI SETTIMIO SEVERO, GIULIA DOMNA E I SUOI FIGLI
Alla morte di Settimio Severo, l’Impero Romano si trovò in una situazione di diarchia, simile a quella avvenuta tra Lucio Vero e Marco Aurelio. Caracalla e Geta, i legittimi figli dell’imperatore, avrebbero dovuto condividere il governo del vasto impero, non attraverso una divisione geografica, ma con un’autorità condivisa per assicurare stabilità e continuità a Roma. Tuttavia, questa soluzione si rivelò presto problematica. I rapporti tra i due fratelli erano estremamente tesi, e dopo pochi mesi Geta morì per mano di un gruppo di centurioni, probabilmente su ordine dello stesso Caracalla. Si dice che i due evitassero di incrociarsi persino nei corridoi del palazzo imperiale, come confermato dalla Historia Augusta, che racconta come Geta avesse accusato Caracalla di essere disposto persino a uccidere un fratello. Tragicamente, Geta trovò davvero la morte, esalando l’ultimo respiro tra le braccia della madre, Giulia Domna.
Nonostante il dolore, Giulia Domna non si lasciò sopraffare dalla tragedia, ma si dedicò alla gestione dello Stato. Caracalla, lontano dall’essere un imperatore modello, preferiva delegare gli affari di governo ai suoi consiglieri e a figure di corte, dedicandosi a passatempi e piaceri personali. Di fronte alla negligenza del figlio, Giulia Domna prese in mano il governo, diventando una figura centrale e autorevole per l’Impero. Portò con onore i titoli di Mater Senatus et Patriae, rendendo il suo ruolo istituzionale senza precedenti nella storia romana, persino superiore a quello di altre figure di spicco come Livia. Sfortunatamente, il regno di Caracalla terminò in modo violento: l’imperatore fu ucciso da Macrino nel 217 d.C. e, con il nuovo regime, la figura influente di Giulia Domna divenne scomoda. Fu quindi esiliata e costretta a trascorrere gli ultimi giorni lontana dalla città che, pur con diffidenza iniziale, era giunta ad accoglierla.
Si racconta che Giulia Domna non subì una morte violenta, ma scelse di lasciarsi morire di fame. Un atto forse influenzato dai suoi studi filosofici, in particolare sullo stoicismo, una dottrina che considerava il suicidio come una forma di resistenza onorevole contro la tirannia. La sua morte, vista in questo contesto, potrebbe essere interpretata come una forma di opposizione all’usurpazione e alle violenze di Macrino.

DOPO LA MORTE: IL PESANTE EREDITÀ DI GIULIA DOMNA
Dopo la sua morte, la Historia Augusta tracciò un ritratto fortemente negativo di Giulia Domna. L’accusa la dipingeva come un’adultera e intrigante, al punto da insinuare che avesse cercato di sedurre persino suo figlio Caracalla. Sarebbe stata al centro di congiure, manovrando le azioni del figlio per consolidare il suo potere, divenendo, di fatto, la regista occulta dell’impero. Si trattava di accuse infamanti, che mettevano in discussione il suo equilibrio morale e il rispetto per la famiglia, trasformandola da madre e consorte devota in una figura a tratti tirannica, accusata persino di tendenze incestuose. Tuttavia, c’è motivo di pensare che molte di queste accuse fossero distorte.
Cassio Dione offre una visione più equilibrata, riabilitando in parte l’immagine di Giulia Domna, che, sebbene orientale, sembrava incarnare in modo eccezionale molti valori romani. Non era semplice per i Romani ammettere che una donna, per giunta straniera, potesse esercitare un’influenza tanto incisiva nella sfera politica e culturale dell’Impero. Ciononostante, l’impronta lasciata da Giulia Domna si può scorgere nelle numerose monete coniate con il suo volto, simbolo di un riconoscimento postumo.
Soprannominata la Filosofa, Giulia Domna si è trasformata in una figura quasi proto-femminista, ricordata per la sua lotta contro le ostilità di corte e i pregiudizi di genere. Fu un punto di riferimento culturale e, in un certo senso, un ponte tra l’Oriente e l’Occidente. Anche di fronte a un figlio irresponsabile e ribelle, mantenne la propria dignità e si circondò di studiosi e filosofi, costruendo il suo lascito intellettuale e morale.