L’imperatore Tito, amore e delizia del genere umano

Di Tito sono soprattutto note le sue gesta militari, in particolare la conquista definitiva di Gerusalemme, il percorso che lo portò al trono e il suo ruolo come decimo imperatore romano. Appartenente alla dinastia dei Flavi, Tito è ricordato per la sua amministrazione, considerata positiva da varie fonti storiche. Tuttavia, la sua sorte non fu delle migliori, poiché regnò per un periodo breve, dal 79 all’81 d.C., segnato da eventi tragici e difficili da gestire. In ogni caso, una frase di Svetonio riassume, almeno in parte, l’eredità lasciata da Tito: “Amore e delizia del genere umano”.

L’imperatore Tito, amore e delizia del genere umano
Il mondo romano nell’80 durante il principato di Tito. Di Cristiano64 – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6137811

LE ORIGINI FAMILIARI E LE GUERRE

Il destino favorevole di Tito ebbe inizio quando, nel 69 d.C., suo padre Vespasiano fu proclamato imperatore dopo un periodo turbolento per Roma, caratterizzato dalla rapida successione di quattro imperatori dopo la morte di Nerone. La salita al potere di Vespasiano non fu priva di difficoltà, ma una volta ottenuto il trono, Tito trovò la strada spianata, soprattutto perché il legame familiare consolidava le basi per la sua futura successione. Tito nacque nel 39 d.C. sul Palatino, e i solidi rapporti della sua famiglia con l’ambiente imperiale dell’epoca gli permisero di frequentare sin da giovane la corte e i luoghi del potere. Tuttavia, questa vicinanza al potere poteva anche essere pericolosa: nel 55 d.C., da adolescente, Tito si trovò coinvolto nella probabile congiura che portò alla morte di Britannico, figlio dell’imperatore Claudio. Britannico, amico di Tito, fu presumibilmente avvelenato durante una cena, e Tito, presente alla stessa serata, fu anch’egli colpito, ma fortunatamente si ristabilì, potendo proseguire una formazione sia scolastica che militare di alto livello.

Nonostante non fosse particolarmente robusto fisicamente, come descritto da Svetonio, che lo ritrae come un uomo di aspetto dignitoso ma non molto alto e con un ventre pronunciato, Tito si distinse in battaglia. Seguendo le orme del padre, ottenne presto grande influenza tra le fila dell’esercito, un aspetto che si rivelò fondamentale negli anni successivi.

Alla fine degli anni ‘50 del I secolo, Tito fu tribuno militare in Germania, per poi trasferirsi in Britannia, una provincia particolarmente ostica, soprattutto dopo la ribellione di Boudicca, che mise in difficoltà l’esercito romano. Qui, Tito si fece notare e guadagnò grande rispetto, tanto da meritare l’erezione di statue in suo onore. Questo periodo dimostrò il valore e l’efficacia della sua educazione, e la storiografia lo ricorda per la sua onestà, moderazione e grande senso dell’onore. Svetonio, in particolare, descrive altre qualità di Tito, ritrattandolo come una figura di straordinario talento e preparazione: “[Tito] aveva una memoria eccezionale, abilità con le armi e i cavalli, una profonda conoscenza delle lettere greche e latine […] si intendeva anche di musica, cantava e suonava con eleganza e maestria”.

Nonostante queste qualità, Tito fu sfiorato dalla cosiddetta Congiura dei Pisoni del 65 d.C., una trama contro l’imperatore Nerone. Poco tempo prima, Tito aveva sposato Marcia Furnilla, da cui divorziò presto, forse per evitare il coinvolgimento con la famiglia di lei, invischiata nella congiura. Qualunque fossero le sue intenzioni, all’orizzonte si profilava la campagna che lo avrebbe reso celebre e ricordato nella storia: la guerra in Giudea.

La distruzione del Tempio di Gerusalemme, Francesco Hayez, olio su tela, 1867 (Accademia di belle arti, Venezia)

LA CAMPAGNA GIUDAICA

Nel 66 d.C., Nerone decise di porre fine alle tensioni in Giudea, una provincia da tempo restia alla dominazione romana. Così Vespasiano partì con l’intento di soffocare qualsiasi tentativo di rivolta e giungere alla conquista di Gerusalemme. Tito lo accompagnò, e già un anno dopo iniziò a distinguersi. Un episodio rilevante avvenne quando tentò, con un gruppo di uomini, di infiltrarsi a Gomala, una città sotto assedio romano da tempo. Anche se l’attacco non riuscì a sorpresa poiché venne individuato dai difensori, l’impresa gli valse onori e riconoscimenti, così come il suo ruolo di comando su 600 cavalieri nella conquista di Tarichee, una fortezza giudaica. Qui, Tito dimostrò abilità non solo come stratega, ma anche come leader, ispirando i suoi uomini con discorsi di incoraggiamento tipici della retorica romana.

Giuseppe Flavio, storico ebreo che si unì successivamente ai Romani, riporta un passaggio di uno dei discorsi di Tito ai suoi soldati: “Romani, vi chiamo Romani perché voglio ricordarvi l’onore della nostra patria […] Non dobbiamo temere la superiorità numerica di un nemico inesperto nelle arti militari […] Il valore conta più del numero nelle battaglie”. Queste parole rafforzarono la sua reputazione come comandante in grado di condurre Roma alla conquista di una terra ribelle e difficilmente sottomessa.

La fama di Tito, però, si deve soprattutto alla distruzione di Gerusalemme e del suo tempio nel 70 d.C., quando guidò l’esercito romano in una campagna che sarebbe ricordata per secoli, in particolare dalla comunità ebraica. Dopo la morte di Nerone, Vespasiano fu coinvolto nella lotta per il trono, lasciando il fronte di battaglia per contendere la porpora imperiale. Gerusalemme, con le sue tre cinture difensive, sembrava impenetrabile, ma Tito riuscì infine a conquistarla, un evento documentato in dettaglio dalle cronache storiche. Giuseppe Flavio, in particolare, descrive la tenacia dei difensori e il coraggio di Tito, che non esitava a combattere in prima linea. Flavio racconta come “Tito abbatté dodici giudei delle prime file e, inseguendo i restanti, li respinse verso la città, salvando dalle fiamme le macchine d’assedio”. Tito ordinò anche di crocifiggere un prigioniero davanti alle mura per intimidire i difensori e spingerli alla resa, dimostrando una risolutezza che i Romani ammiravano.

Raccontare nel dettaglio tutte le fasi che portarono alla rottura delle difese di Gerusalemme sarebbe lungo, ma alla fine Tito e il suo esercito penetrarono nella città, riducendo i prigionieri al minimo e, soprattutto, distruggendo il celebre Tempio. Rimane ancora oggi il dubbio se Tito avesse effettivamente ordinato il saccheggio completo del Tempio o se non riuscì a trattenere i suoi soldati, infuriati contro una popolazione che aveva inflitto loro numerosi danni. In ogni caso, la vittoria a Gerusalemme segnò la conclusione della campagna giudaica dopo anni di sforzi e perdite significative. Secondo Giuseppe Flavio, il conflitto, iniziato nel 66 d.C., costò oltre un milione di vite e portò a quasi 100.000 prigionieri.

Con questa vittoria, Tito guadagnò grande popolarità anche per alcune decisioni che cementarono il suo legame con i soldati. Giuseppe Flavio scrive infatti che “Tito ordinò di leggere i nomi di coloro che si erano distinti per il loro valore durante la guerra, elogiandoli e congratulandosi con loro per le imprese compiute”. Così, la stella di Tito cominciò a brillare di luce propria, consacrandolo come un condottiero rispettato sia dai suoi uomini sia dalla Roma che egli difese con determinazione.

Non c’è da stupirsi se Vespasiano, ormai imperatore e già in età avanzata, non perse tempo a coinvolgere il figlio nelle alte cariche e responsabilità del potere, favorendone così l’ascesa. Tito, infatti, fu nominato console nel 70 d.C. e, poco dopo, censore tra il 73 e il 74 d.C. A questi incarichi si aggiunse anche la potestà tribunizia, che gli garantiva l’immunità e lo rendeva inviolabile. Insomma, la via per il potere assoluto sembrava ormai tracciata per Tito. Tuttavia, un episodio controverso rischiò temporaneamente di offuscare la sua reputazione: la relazione con Berenice. Figlia di Agrippa II, re della Calcide, Berenice era una principessa, ma con una particolarità che non piaceva ai Romani: era ebrea.

Tito la incontrò dopo il divorzio da Marcia Furnilla, e la loro relazione, consolidata con il tempo, divenne pubblica al punto che Berenice si trasferì a Roma nel 75 d.C. Questo legame, però, destò preoccupazione tra i senatori, i quali temevano che Berenice potesse acquisire un’influenza eccessiva, ricordando la temuta alleanza tra Marco Antonio e Cleopatra VII, quando una principessa straniera sembrava minacciare l’integrità dell’impero romano. Nonostante Berenice vivesse persino nelle stanze di Tito, alla fine lui decise, probabilmente a malincuore, di allontanarla per evitare dissapori con il Senato. Questa scelta dimostrò ai patres che Tito era in grado di anteporre gli interessi di Roma ai suoi sentimenti personali, conquistandosi così la loro fiducia. Come osservò Svetonio, Tito si guadagnò la stima generale grazie alla sua “intelligenza, abilità e fortuna”, e il suo consenso presso il Senato crebbe ulteriormente dopo la separazione da Berenice.

Così, alla morte di Vespasiano nel 79 d.C., Tito divenne imperatore senza opposizioni. Il popolo romano sperava in un periodo di prosperità e gloria per l’impero sotto la sua guida, ma sfortunatamente il destino riservava tutt’altro.

LA SFORTUNA DI TITO E LA SUA MORTE

Tito regnò su Roma per quasi tre anni, dal 79 all’81 d.C., un periodo caratterizzato da eventi tragici che impedirono alla sua visione benevola per l’Urbe di realizzarsi pienamente. Durante questo breve governo, tre disastri colpirono gravemente la città e l’Impero:

  • 79 d.C.: l’eruzione del Vesuvio devastò Pompei, Ercolano, Oplontis e Stabia. In risposta, Tito si dimostrò generoso e premuroso, recandosi personalmente nelle aree colpite e istituendo una commissione per raccogliere e distribuire fondi per la ricostruzione.
  • 80 d.C.: un’epidemia di peste si diffuse a Roma, uccidendo circa 10.000 persone.
  • 80 d.C.: un violento incendio divampò nella città, durando tre giorni e tre notti. L’incendio provocò numerose vittime e danneggiò seriamente l’area del Campo Marzio, distruggendo monumenti importanti come il Pantheon, il Tempio di Giove Capitolino e il Teatro di Balbo.

Queste tragedie rendono evidente quanto fosse arduo il compito di governare per Tito, quasi come se il destino gli fosse contrario. Alla fine, Tito morì il 13 settembre dell’81 d.C., nella villa di Rieti dove si era spento anche suo padre Vespasiano. La sua morte è avvolta nel mistero: sembra sia stato colpito da una febbre intensa, forse malarica, che lo debilitò rapidamente. Tuttavia, alcune fonti antiche, come Svetonio e Cassio Dione, insinuano che la causa potrebbe essere stato un avvelenamento, forse orchestrato dal fratello Domiziano. La teoria dell’assassinio non è del tutto improbabile, considerato che Domiziano potrebbe aver temuto di non eguagliare la fama di Tito o, semplicemente, di non voler più attendere la propria ascesa al trono.

Così si concluse la vita di un uomo che, ben prima di diventare imperatore, si era già distinto per le sue capacità militari, tra cui la conquista di Gerusalemme, una città che si riteneva invincibile. Tito fu un condottiero di valore, amato dai suoi soldati e rispettato per la sua integrità e giustizia. Il suo breve regno, pur segnato da difficoltà, lasciò un’impronta duratura a Roma, specialmente in campo architettonico e urbanistico: alcuni dei monumenti realizzati sotto il suo governo rimangono tra i simboli più iconici della storia di Roma.

Busto di Tito, 80. Di Sailko – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=30590321

TITO E LA SUA IMPRONTA SU ROMA

Tito è ricordato non solo come un grande generale, che concluse la campagna giudaica, ma anche come un imperatore che contribuì alla monumentalità di Roma, sfruttando le risorse ottenute dalle vittorie in Giudea. Questa campagna, seppur costosa in termini di vite e sforzi militari, consentì a Tito, e prima di lui a suo padre Vespasiano, di sognare e realizzare una nuova Roma, ricca di opere maestose e simboli della grandezza imperiale.

Uno dei più celebri progetti realizzati grazie ai tesori di Gerusalemme fu l’Anfiteatro Flavio, il Colosseo. La sua costruzione iniziò nel 72 d.C. e fu inaugurato nell’80 d.C., durante il regno di Tito. Lo spettacolo di apertura, descritto nei dettagli da Marziale, lasciò un’impressione duratura nei romani, ammaliati dagli spettacoli grandiosi ospitati in quell’anfiteatro in muratura capace di contenere decine di migliaia di spettatori. Un’iscrizione su un frammento d’architrave ancora oggi conservato all’interno del Colosseo indica che l’anfiteatro fu realizzato proprio con i proventi della guerra in Giudea: “amphitheatrum novum ex manibus (…) fieri iussit” (“[Vespasiano] ordinò di realizzare il nuovo anfiteatro con i proventi del bottino di guerra”). Sebbene Vespasiano non abbia potuto inaugurarlo poiché morì prima della sua apertura, Tito completò l’opera, aggiungendo il suo nome all’iscrizione originale.

Un altro monumento che conserva la memoria di Tito è l’Arco di Tito, innalzato dal fratello Domiziano nel Foro Romano per onorare il suo predecessore. Anche se la struttura è stata restaurata nell’Ottocento, il fornice originale e i rilievi ci mostrano il trionfo di Tito al ritorno dalla campagna in Giudea. Questi bassorilievi raffigurano una processione di schiavi e prigionieri, ma anche preziosi tesori e oggetti sacri, come il famoso candelabro a sette braccia, la menorah, simbolo della comunità giudaica, il cui destino rimane incerto ancora oggi. Giuseppe Flavio, che partecipò a questo trionfo, descrisse lo sfarzo della cerimonia, un corteo grandioso e pieno di oggetti straordinari: “baldacchini rappresentanti edifici su tre piani […] un gran numero di navi […] e infine la tavola con le Leggi di Dio”.

Tito lasciò anche in eredità le sue Terme, erette su alcune aree della Domus Aurea di Nerone, e il Foro della Pace, un complesso con tempio, giardini e portici, simbolo della qualità urbanistica e architettonica di Roma. Entrambi questi progetti, come il Colosseo, furono finanziati con il bottino giudaico, contribuendo a creare una città degna del suo status di capitale dell’impero e ad esprimere la ricchezza e il potere di Roma al mondo intero.

Roma, Arco di Tito. Di Cassius Ahenobarbus – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=43685947

Tito contribuì in modo significativo alla monumentalizzazione di Roma, sia per cancellare la memoria di Nerone sia per celebrare la propria figura e la dinastia dei Flavi. Nel suo breve regno, Tito cercò di seguire con determinazione le orme del padre Vespasiano, e se la sorte gli avesse concesso più tempo, avrebbe probabilmente potuto realizzare opere di grande impatto per l’Urbe. Si racconta che, sentendo la vita sfuggirgli, Tito abbia dichiarato di non avere rimpianti, “a eccezione di una cosa sola.” Ma quale poteva essere questo rimpianto per un uomo che aveva conquistato gloria e onore? Forse la fine forzata del suo legame con Berenice, che potrebbe essere stata il suo vero amore? Oppure la relazione segreta con Domizia, la moglie del fratello Domiziano? O ancora, il rimorso di non aver ostacolato l’ascesa al trono di Domiziano, che forse considerava inadatto? È un mistero che Tito ha portato con sé, lasciandoci solo con supposizioni.

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