L’arte gladiatoria

Gli uomini che in epoca romana si dedicavano alla carriera gladiatoria erano generalmente dei soggetti su cui pesava una condanna, prigionieri di guerra o schiavi, ma in seguito anche uomini liberi che desiderosi di ingenti guadagni coglievano l’opportunità di intraprendere la professione di gladiatore sottomettendosi, a seguito di un giuramento, al lanista, che aveva il pieno controllo sui loro destini.
Dopo un iniziale periodo di inserimento, il lanista decideva e analizzava insieme al magister le caratteristiche fisiche, la mobilità e l’idoneità sul campo degli aspiranti lottatori, mentre un medicus ne valutava lo stato complessivo di salute, allo scopo di assegnare loro la classe gladiatoria più idonea, sviluppandone lo sviluppo fisico e la tonicità muscolare con diete e allenamento. Sottoposti ad un pesante allenamento quotidiano e all’osservanza di una disciplina ferrea, i gladiatori venivano introdotti gradualmente all’arte della lotta, prima testandone l’attitudine contro sagome a grandezza naturale (palum) e in seguito contro avversari reali usando armi fittizie, fino a raggiungere un livello professionistico che li adattasse allo spettacolo, con conoscenza dei segreti e addestramento all’etica della professione. I gladiatori che appartenevano ad una stessa palestra divenivano parte della familia gladiatoria.
Il lanista era il proprietario della palestra (ludus) e ricopriva il ruolo di imprenditore commerciante di gladiatori, che esercitava affittando uomini all’organizzatore (editor o munerarius) degli spettacoli gladiatorii, attività dalla quale traeva profitto anche se il gladiatore moriva durante il combattimento; in questo caso l’editor, oltre a pagare il prezzo d’ingaggio, risarciva al lanista anche il valore del gladiatore morto, sotto forma di indennizzo per i suoi mancati guadagni futuri. Anche e soprattutto per questo motivo l’attività del lanista era malvista nel mondo romano e considerata di livello infimo. Il lanista era spesso un ex-gladiatore coadiuvato nella sua attività dai Doctores (o Magistri), abili veterani con status di gladiatore che, una volta ritiratisi dall’attività agonistica, venivano insigniti del rudis (la spada di legno) ed elevati al rango di rudiarii; per rimarcare il proprio potere, il lanista portava spesso una bacchetta (virga) considerata segno di comando avendo cura di riporre in luoghi diversi all’interno della palestra l’equipaggiamento dei suoi uomini a seconda della loro abilità.
L’arte della “Gladiatura” nacque come forma di onoranza funebre per nobili romani e praticata attraverso i combattimenti dei bustuarii e divenne in seguito una forma di spettacolo nobile e di alto livello. La professione offriva ottimi compensi ed un’enorme popolarità, particolarmente agli occhi delle donne, che spesso erano disposte a pagare grosse somme pur di passare una notte di passione con uno di loro.
La più grande ed importante scuola gladiatoria di Roma era il Ludus Magnus, nei pressi dell’Anfiteatro Flavio, con il quale era collegato mediante una galleria sotterranea, intorno alla quale sorgevano il Ludus Matutinus, ove al mattino si svolgevano le venationes (lotta con belve feroci), il Ludus Gallicus e il Ludus Dacicus, altre due scuole che prendevano il nome dai gladiatori in esse ospitati. Oltre a quella di Roma, scuole prestigiose si trovavano a Ravenna, Pompei e Capua. In quest’ultima ebbe luogo la rivolta scoppiata capeggiata dal gladiatore Spartaco, che segnò il tramonto della professione del lanista. Proprio a seguito di questo drammatico evento, il Senato romano assunse dei provvedimenti di maggior controllo sui gladiatori, sugli spettacoli e su tutto l’apparato gladiatorio, delegittimando sempre più la figura del lanista, che mantenne una certa autorità solamente in alcune remote zone dell’impero.
Nell’ambito dei combattimenti, i gladiatori compivano un giro dell’arena, rendevano omaggio davanti al podio dell’imperatore salutando con le celebri parole “Ave Cesare morituri te salutant” (Ave o Cesare, coloro che si apprestano a morire ti salutano). I duellanti venivano scelti tra categorie diverse al fine di rendere più avvincente lo spettacolo. Se il gladiatore sconfitto rimaneva ferito aveva l’opportunità di chiedere la grazia alzando il braccio: il pubblico invocava la salvezza o la morte presso l’imperatore che assisteva sul palco imperiale, decidendo la sorte del protagonista: il pollice rivolto verso l’alto era un atto di clemenza, il pollice verso era morte per il gladiatore.
I vincitori ricevevano in premio palme d’oro e cospicue somme in denaro. Al termine di ogni battaglia, inservienti vestiti da Caronte, il traghettatore dell’Ade, si accertavano che i caduti fossero realmente morti prestandosi a dare eventualmente il colpo di grazia. Il sangue dei gladiatori veniva considerato molto prezioso e ricercato, avente funzioni terapeutiche in grado di guarire dall’epilessia e capace di accrescere il vigore sessuale.
Le diverse tipologie di gladiatori erano:
Periodo repubblicano
Sannita, gallo
Periodo imperiale
Eques, mirmillone, trace, hoplomachus, secutor, reziario, pontarius, scissor, provocator, gladiatrice, essedarius
Altre figure gladiatorie
Dimachaerus, sagittarius, andabata, laquearius, paegniarius, veles, venator, crupellarius, scaeva