Le rapidi mutazioni nel tessuto sociale iniziarono ben presto a impattare sugli equilibri di potere su cui si fondava la classe dirigente di Roma, composta da esponenti della nobilitas. Questo gruppo si divise in due correnti principali: gli optimates e i populares, termini che riflettevano le diverse visioni rispetto ai cambiamenti in corso.
Gli optimates
Gli optimates si posizionavano come custodi del pensiero più tradizionalista e, autoproclamandosi “boni”, miravano a guadagnare il sostegno di coloro che desideravano una politica guidata da principi solidi e orientata al bene dello Stato, realizzabile unicamente attraverso il pieno riconoscimento delle prerogative senatorie.
Gli ottimati, inoltre, sostenevano la validità della cittadinanza romana esclusivamente entro i confini Italici, e non garantita automaticamente. Conformemente alla loro prospettiva elitaria, promuovevano l’aumento dei tassi di interesse, ostacolavano la diffusione della cultura greca all’interno della società romana e sottolineavano l’importanza di retribuire i soldati congedati con assegnazioni di terra, per scoraggiare qualsiasi tentativo di appoggio a generali ribelli. Figure come Lucio Cornelio Silla, Marco Licinio Crasso, Marco Porcio Catone il Censore, Catone Uticense, Marco Tullio Cicerone, Tito Annio Milone, Marco Giunio Bruto, e, tranne durante il periodo del Triumvirato, Gneo Pompeo, si schierarono con gli “optimates”.
I populares
D’altra parte, i populares erano formati da membri dell’aristocrazia impegnati a tutelare i diritti delle classi popolari. Gli optimates li vedevano come una minaccia al loro status, benché questi rappresentassero interessi di strati sociali in condizioni spesso precarie. Per questo, una corrente più innovativa all’interno della nobilità romana si impegnò nella promozione di riforme significative in ambito politico e sociale, acquistando notorietà tra la fine del II e l’inizio del I secolo a.C.
In questo periodo, l’espansione romana nel Mediterraneo aveva eroso le strutture economiche e sociali tradizionali, generando problemi sempre più complessi da gestire per una città-Stato originariamente concepita in un contesto diverso. Tra le figure di spicco della Pars Popularis si annoverano politici come Tiberio Sempronio Gracco, Gaio Sempronio Gracco, Gaio Mario, Lucio Apuleio Saturnino, Quinto Sertorio, Marco Emilio Lepido, Lucio Sergio Catilina, Gaio Giulio Cesare, Publio Clodio Pulcro, Marco Antonio e Gaio Aquilio Floro.
Nel periodo in questione, l’adozione di tre importanti leggi tabellarie riflette l’impegno riformatore di alcuni senatori. Queste leggi miravano a garantire una modalità di voto certa e controllabile, sebbene non apertamente visibile. Tra queste, la lex Gabinia tabellaria del 139 a.C. fu implementata nei comizi elettorali per migliorare la trasparenza del processo. Seguì la lex Cassia tabellaria del 137 a.C., applicata nei processi giudiziari, ad eccezione di quelli per perduellio, un crimine considerato tradimento grave e minaccia alla stabilità dello Stato, che vide l’introduzione del voto segreto esteso nel 107 a.C. Infine, la lex Papiria tabellaria del 131 a.C. fu introdotta nei comizi legislativi, ulteriormente consolidando questa prassi.