Marco Porcio Catone, il Censore

Marco Porcio Catone

Catone il Censore (Tusculum, 234 a.C. circa – Roma, 149 a.C.), da molti è visto come il modello del romano doc, la personificazione del rispetto delle leggi e della moralità romana, del mos maiorum e di tutto quell’insieme di valori, civili e non solo, che portarono il Demostene romano, così venne anche chiamato, ad essere un vero e proprio modello anche per le generazioni future. C’è da dire che Catone il Censore, che tra le altre cose fu politico, storico e saggista, fu un personaggio di spicco della politica romana dell’epoca. Sebbene non sia tutto rosa e fiori, poiché il nostro Catone si poteva dire che predicava bene ma razzolava male, è certo che il Censore sia, ancora oggi, anche un’ottima fonte documentale. I suoi scritti, in cui descrive con minuzia di particolari usi e costumi dei romani della sua epoca, sono oggi impareggiabili testimoni di tempi e temi che, senza il suo importante contributo, sarebbero ancor più sfocati nella nebbia della storia.

LE ORIGINI ED I PRIMI PASSI NELLA POLITICA ROMANA

La carriera politica e militare di Catone il Censore può essere presa a modello, guarda un po’, per comprendere come anche un homo novus come lui potesse aspirare a cariche sociali di primaria importanza. Infatti, solitamente, si ritiene il Marco Porcio Catone, questo il suo nome completo, il fondatore della Gens Porcia. Già questo ci fa comprendere come lui sia da considerarsi un capostipite, l’inizio di qualcosa di importante che ebbe ripercussioni anche nel futuro. Nato a Tusculum, nell’area degli attuali Castelli Romani, nel 234 a.C. circa, Marco Porcio Catone apparteneva ad una famiglia certamente non di nobili origini ma che, al suo interno, presentava modelli di assoluta e pura condotta morale. Difatti le fonti antiche ci tramandano di un giovane Catone che, sin da piccolo, brillava rispetto ai suoi pari età per estremo rispetto dei precetti morali e civili, un rispetto che lo fece brillare per temperanza, senso del dovere e della giustizia. Un cittadino modello, diremmo noi oggi. Leggendo Plutarco e le sue Vite Parallele, infatti, leggiamo che il primo vero punto di riferimento per il giovane Marco Porcio fu il padre, descritto da Plutarco come “uomo onesto e soldato valoroso e aggiunge che il suo bisnonno Catone ottenne spesso riconoscimenti al valore […]. Egli [Catone] sottolineava di essere nuovo in quanto a carriera e fama, assai più antico per le imprese ei meriti dei suoi avi”. Insomma Catone il Censore era destinata a seguire una strada che lo avrebbe portato, se non a grande gloria e fama, quantomeno ad una vita onesta. Ma prima della vita sul campo di battaglia, probabilmente, Catone assaggiò quella dei campi, dell’allevamento del bestiame e della crescita di elementi nutritivi dalla terra. Così come il mos maiorum, nella sua forma più pura, prevedeva, infatti, anche Catone il Censore, se non aveva altre possibilità, doveva trovare il modo di tirare fuori il meglio possibile dall’appezzamento di terra che possedeva, lui e la sua famiglia. Quest’atmosfera agreste e bucolica ci permette anche di capire la straordinaria importanza che ha una sua opera, tramandateci fino ai giorni nostri, chiamata De Agricultura. Un vero e proprio trattato, dal fine utilitaristico ed economico, con il quale Marco Porcio Catone descrisse la dura vita nei campi ed il modo migliore per mandare avanti un podere. A parte questo, però, in giovane età Catone fu notato anche sui campi di battaglia, che di certo non mancavano mai nella lunga vita dell’Urbe.

Catone il Censore, infatti, ben prima di rimpinguare il suo cursus honorum in ambito politico, si fece le ossa in quello militare. Si fece notare in primo luogo da Lucio Valerio Flacco, che fu edile alla fine del III secolo a.C. e che lo introdusse nell’agone politico. Ma prima ancora Marco Porcio Catone combatté nelle legioni comandate da Fabio Massimo, definito cuntactor per la sua tattica attendista ai tempi delle guerre contro Annibale. Il giovane Catone fece il suo ma, a sentire Plutarco, anche durante le campagne belliche non perdeva mai tempo per elevare il suo spirito e rendersi il modello perfetto per tutti i cittadini romani. Leggiamo, infatti, che “Quando Fabio Massimo ebbe preso Taranto, il giovanissimo Catone, che combatteva sotto di lui, fu alloggiato in casa di Nearco, un filosofo pitagorico, e cercava di apprendere i suoi insegnamenti. Dopo aver ascoltato quest’uomo che pensava alla maniera di Platone e considerava il piacere la fonte maggiore di male (…) egli aspirò ancor di più alla frugalità e alla temperanza”. Bene, in questo passo di Plutarco capiamo bene, ancora una volta, per cosa Catone il Censore divenne, alla fine, celebre. Non per la sua carriera politica, non per le sue imprese militari, ma per la sua morigeratezza, la sua attenzione al vivere come si conveniva ad un romano puro (secondo il suo punto di vista). Un uomo duro e risoluto che, però, in un certo qual senso segnò la vita culturale della Roma dell’inizio del II secolo a.C.

Marco Porcio Catone

LA VITA POLITICA DI MARCO PORCIO CATONE E LE SUE INVETTIVE

Grazie all’appoggio di uomini come Flacco e Fabio Massimo Catone il Censore poté finalmente intraprendere una sana carriera politica che lui sfruttò per mettere in pratica, e insegnare agli altri, quello che a lui aveva imparato nel corso della sua giovinezza. Gli avi e l’apparente educazione orientale ricevuta forgiarono il suo spirito, rendendolo in grado di discernere con decisione il bene e il male e di perseguire i suoi scopi, quasi pedagogici ed educativi, a tutto guadagno della popolazione romana. Da semplice questore, nel 204 a.C., arrivò ad essere censore nel 184 a.C. Una magistratura che faceva proprio al caso di Catone. Originariamente, infatti, il compito più importante del censore era quello, e dal nome si evince, di procedere al censimento della popolazione, fino al V secolo a.C. data in gestione ai consoli. Ma, come scrisse Tito “La censura si era resa necessaria non solo perché non si poteva più rimandare il censimento che da anni non veniva più fatto, ma anche perché i consoli, incalzati dall’incombere di tante guerre, non avevano il tempo per dedicarsi a questo ufficio”. Ma c’è qualcosa di ben più importante in questa magistratura che, inizialmente, era ad appannaggio solo delle classi patrizie e non di quelle plebee (a cui Catone il Censore apparteneva, non dimentichiamocelo): la lectio senatus. Fondamentalmente era il censore a stabilire se un candidato a senatore poteva permettersi di esserlo. Era il censore a dover decidere se, moralmente e non solo, un uomo poteva effettivamente aspirare ad essere senatore. Insomma, un censore era capace, in età repubblicana, di scartare a priori la candidatura di un cittadino alla carica senatoriale. Si comprende bene come tale potere, messo nelle mani di qualcuno senza scrupoli, poteva essere usato a proprio vantaggio ed a svantaggio dei propri nemici. Ma in una personalità come quella di Catone il Censore, che secondo le cronache era un uomo molto attento anche alle apparenze ed ai comportamenti, pubblici e privati, ricoprire tale carica significava poter garantire all’Urbe una classe politica a propria immagine e somiglianza: morigerata, educata, inattaccabile dal punto di vista morale. I censori, tra le altre cose, si occupavano anche della cura morum, dunque della sorveglianza del costume, dei modi di fare e dei comportamenti dei cittadini romani. Ed è in questa veste, come avrete capito, che Catone il Censore diede il meglio di sé, passando alla storia.

Il primo nemico pubblico di Catone il Censore fu nientemeno che Scipione l’Africano, il grande condottiero che salvò Roma sconfiggendo il temibile Annibale. Scipione faceva parte di una famiglia sui generis, che si allontanò progressivamente dal costume romano per abbracciare usi orientali. Già questi, agli occhi dei moralisti come Catone, era come avere fumo negli occhi. Secondo Plutarco, poi, Catone “si legò a Fabio Massimo, scegliendolo come un modello perfetto (…) Per questo non si fece problemi ad avversare il grande Scipione, che allora era giovane e contrastava il potere di Fabio manifestando la sua invidia”. Perché Fabio Massimo, il cosiddetto Temporeggiatore, fu prescelto da Catone come suo punto di riferimento? Ad esempio perché, secondo le cronache e la descrizione rilasciataci sempre da Plutarco, Fabio Massimo fu un campione di pietas e di solidarietà, tanto che, per riscattare i giovani soldati romani prigionieri, di guerra, non esitò a vendere le proprie tenute, con le relative rendite. Per il bene della patria, insomma, Fabio Massimo scelse di tagliare le proprie finanze. Un esempio chiarificatore dell’animo del nostro, che fu scelto a modello da Catone il Censore. Scipione l’Africano stava cominciando ad essere, agli occhi dell’austero Catone il Censore, carica che ricoprì per quattro anni, il prototipo del romano dedito al vizio. Un uomo che stava perdendo di vista i valori del mos maiorum, quei valori che i padri della patria misero in gioco per fondare la Repubblica. Un problema, quello della perdita della bussola morale, che Catone e non solo avvertiva con la sempre maggior presenza, a Roma, di culture differenti che si stavano affacciando a mano a mano che le conquiste militari portarono l’Urbe ad entrare in contatto con popoli differenti. Il fatto, ad esempio, che la Gens Scipia ed i loro esponenti banchettassero in casa propria alla greca o si facessero tumulare in sarcofagi piuttosto che farsi cremare, diventava un qualcosa da attaccare, un qualcosa di estraneo all’essere davvero romano. Fondamentalmente Catone il Censore rappresentò il baluardo, in parte comprensibile, contro cui la marea della sempre più crescente espansione romana andò ad infrangersi. Maggiori erano le conquiste militari e maggiori erano gli introiti per lo stato, tanto che Roma, per un certo periodo di tempo, cancellò ogni tipo di tassazione. Questa enorme ricchezza cominciò, però, a generare nel morigerato e tipico animo romano quella ricerca del lusso, dell’egoismo e del bene per sé stessi che caratterizzò la vita, anche politica, della Roma del secolo successivo.

GLI ATTACCHI DI CATONE IL CENSORE

Plutarco, descrivendo gli inizi del II secolo a.C., scrisse che lo “Stato a causa della sua grandezza non poteva più mantenersi puro”. Un censore come Catone, dunque, aveva come missione principale quella di rendere ben salda quella purezza, punire chi la scalfiva e premiare chi, invece, la seguiva. Agli antipodi, dunque, troviamo i già citati Scipione l’Africano e Fabio Massimo. Sempre Plutarco descrisse i momenti chiave della carriera politica di Catone attraverso alcuni motti, quasi degli aforismi, che potessero rendere bene l’idea del pensiero e dell’animo del nostro censore. D’altra parte una delle caratteristiche più acclamate e riconosciute in Catone fu proprio la sua straordinaria arte oratoria, indispensabile per rendere inoppugnabili i suoi giudizi. Dopotutto lo stesso Plutarco scrisse che “il carattere degli uomini traspare più dalle parole che dall’aspetto fisico”.

In primo luogo Catone, nella sua missione educativa orientata nell’offrire modelli di comportamento ai cittadini romani, attaccò duramente la ricerca dello sfarzo e lo sfoggio del lusso. Sempre di più erano i generali, o i politici, che a seguito di trionfi militari usavano passare in ozio il resto della loro vita, magari approfittando del loro ascendente, o dei tesori conquistati, per fare il bello ed il cattivo. Una paurosa deviazione rispetto ai canoni del classico romano repubblicano ricercato da Catone il Censore. L’educazione era alla base di tutto, e Catone sperimentò bene questa teoria delegando a sé stesso, e non ad uno schiavo, la formazione di suo figlio. Una delle tattiche utilizzate da Catone, e trasmesse da lui stesso per mezzo delle sue orazioni o dei suoi interventi pubblici, fu quello di dare al figlio una serie di esempi virtuosi, rifacendosi alle gesta degli antichi padri della patria. Catone arrivò a scrivere, come afferma Plutarco, “un libro di storia a grossi caratteri”. Il passato doveva insegnare ai romani del suo presente come dovevano comportarsi, senza deviare verso un modo di essere o vivere impregnato di perdite di tempo e di spettacoli, o festività, troppo orientali per i gusti del Censore. Tra le leggi che lui approvò ci fu la Lex Voconia del 169 a.C., con la quale furono stilate numerosissime restrizioni, soprattutto contro le donne, sull’accumulo di ricchezze. Sebbene tale legge puntasse soprattutto alla sfera femminile, è certo che la stessa moralità doveva essere applicata anche agli uomini. Basta con lo sperpero di denaro fine a sé stesso, basta con l’acquisto indiscriminato e futile di beni non di prima necessità (come stoffe, unguenti o altro), presso mercati lontanissimi da Roma. Nonostante avesse avuto, in gioventù, un’educazione anche orientale, Catone il Censore divenne sicuramente un uomo che quasi odiava la cultura greca, in tutte le sue modalità e sfaccettature. Secondo Catone, infatti, il fascino che le dottrine e la filosofia greca esercitavano sulle giovani menti dei romani poteva distogliere gli stessi dalle attività preminenti che avrebbero dovuto svolgere, che fossero di carattere politico o militare. Catone presagì, secondo Plutarco, che i “Romani avrebbero perso il loro impero se fossero stati contaminati dalla letteratura greca“.

Nella cultura greca rientrava anche la medicina, applicata ed esercitata in maniera molto diversa rispetto ai Romani. Catone stesso, infatti, tentò in tutti i modi di non far avvicinare suo figlio ad alcun medico greco sebbene, in questo caso, lo stesso Plutarco attaccò la presunzione di Catone nel pensare di essere sempre nel giusto. Difatti, alla fine “perse moglie e figlio”, poiché il Censore pensò di curarli a casa da sé, senza l’aiuto di nessuno se non della medicina tradizionale. Proprio questo odio nei confronti della Grecia, e dei medici o sapienti vari di quella estrazione, fu in un certo qual senso la fortuna di Polibio, lo storico greco che, catturato dai soldati romani, fu liberato poiché, come disse proprio Catone, il Senato aveva qualcosa di ben più importante da fare che di pensare alla sorte di un greco. La ricerca della morigeratezza nella società romana fece sì che Catone il Censore attaccò duramente i baccanali, i riti particolarmente creativi e sfrenati che i seguaci del dio Bacco dedicavano alla loro divinità. In molti videro l’attacco ai baccanali un modo per regolarizzare il ruolo delle donne che, attraverso il loro ruolo attivo nei riti inerenti al culto di Dioniso (versione greca di Bacco), parevano voler ottenere una centralità nel mondo romano che non gli competeva. Altro famoso esempio di come Catone il Censore si preoccupasse sempre e solamente del destino di Roma (quello morale e non solo), riguarda il destino di Cartagine, la città che tanto filo da torcere diede ai Romani nel corso del III secolo a.C. Anni prima Cartagine fu sconfitta sonoramente ma, a quanto pare, non definitivamente, tanto che la paura di molti era che potesse riprendere quella giusta dose di potere ed influenza per minacciare il dominio romano sul Mediterraneo. Il Senato pareva allungare i tempi all’infinito prima di prendere una decisione. Per tale ragione, ad ogni incontro dei patres in Senato, Catone il Censore esordiva con la frase “Ceterum censeo Carthaginem delendam esse” (“Per il resto ritengo che Cartagine debba essere distrutta”). Come gesto teatrale, che deve sempre accompagnare ogni buon oratore, pare che Catone il Censore, la prima volta, mostrò un fico prodotto a Cartagine, dimostrando che se un frutto del genere, peraltro delizioso e perfetto, poteva resistere ad un viaggio oltremare, lo avrebbe potuto fare anche una flotta di cartaginesi. Ma, come sempre, non è tutto oro ciò che luccica.

LA FINE DI CATONE IL CENSORE E LA SUA MORALE A DOPPIO SENSO

Certamente, nel corso della sua attività politica, Catone il Censore ebbe modo di prendere decisioni che, in un modo o nell’altro, aiutarono Roma a prosperare. Costruì la prima basilica nel Foro Romano, adottò numerosi progetti urbanistici per rendere più vivibile la città (ad esempio ampliando le vie), ripulì per bene la lista di equites e senatori, togliendo i privilegi a chi, per moralità e motivazioni economiche, non poteva ottenerli. Dall’altra parte, certamente, non rese facile la vita ai Romani con la sua integrità e durezza ma, soprattutto, come ebbe modo di osservare Plutarco pare che, con l’avanzare dell’età, Catone il Censore cominciasse a non rispettare i suoi stessi principi. Molte opere scritte da Marco Porcio Catone sono, in un certo qual senso, autobiografiche, come i Praecepta ad Marcum filium in cui sono raccolti gli insegnamenti che Catone diede al figlio (e che, dunque, valevano per tutti i cittadini romani). Ma il già citato De agricultura ci indica, invece, come Catone gestiva i propri affari. In questo testo Catone il Censore descrive minuziosamente come si deve lavorare la terra, come si deve costruire il proprio podere, come si deve gestire gli appezzamenti agricoli in proprio possesso, che tipo di strumenti ed attrezzi utilizzare, le tempistiche giuste per lavorare la terra, seminare o raccogliere. Peccato che, a leggere ciò che scrive Plutarco, questi consigli avevano come unico scopo quello di aumentare il proprio profitto, in apparente antitesi a ciò il Censore propugnava in Senato. La diversificazione delle proprietà attività, come quel prestito marittimo (l’intermediazione di un liberto per aumentare i profitti), che per Plutarco è la “forma più screditata di usura”), può rendere bene l’idea. In vecchiaia, dunque, Catone il Censore sembrò prendere una strada completamente diversa rispetto a quella, elogiativa, che giorno dopo giorno propinava ai suoi concittadini. Ad esempio, durante la sua attività politica, condannò un uomo che baciò la moglie in pieno giorno con davanti la figlia, espellendolo dai lavori del Senato. Peccato che lo stesso Catone, una volta morta la moglie, prima prese una schiava come concubina e poi sposò la figlia di un liberto. Un comportamento non certo degno di un uomo dai sani principi come lui diceva di essere. Anche il fatto che nel De agricultura Catone scrisse chiaramente che ci si doveva sbarazzare, nei modi ritenuti più congegnali, degli schiavi ormai anziani che non avrebbero più potuto portare ad una massimizzazione del profitto nel proprio podere di campagna attirò le ire, se così possiamo dire, di quel Plutarco che sto utilizzando come metro di giudizio. La figura di Catone, morto nel 149 a.C., si presenta dunque abbastanza ambivalente. Da una parte sembra essere un vero e strenuo difensore della romanità, di un modo di essere che portò Roma ad essere padrona del mondo allora conosciuto. D’altra parte, però, con questo atteggiamento Catone il Censore dimostrò di non essere capace di cogliere le nuove opportunità (e non solo le nefandezze chiaramente presenti) che il contatto con nuove civiltà, territori e popoli poteva portare. Catone il Censore era morigerato e tutto d’un pezzo, ma forse questo lo rendeva anche immorale e non umano, almeno a sentire Plutarco (“Io penso che scacciare e vendere degli schiavi quando sono anziani dopo averli sfruttati come bestie da soma sia un’usanza troppo dura, tipica di un uomo il quale pensi che non esistano vincoli tra esseri umani se non quelli legati all’interesse”). Sicuramente Marco Porcio Catone fu un uomo dei suoi tempi, con i suoi principi. Avrebbero potuto funzionare fino ad allora, ma ormai Roma si stava affacciando verso una nuova era di espansione e di conoscenza di nuove, stimolanti, conquiste.

Gianluca Pica

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