Tra il II e il III secolo d.C., si osserva una significativa trasformazione nei sistemi di gestione delle aziende agrarie romane. Questo cambiamento, oltre a rappresentare un fenomeno rilevante di per sé, può essere visto come un segnale di una crisi più ampia in corso. La villa schiavistica, un tempo fulcro dell’autosufficienza produttiva, aveva ormai esaurito il suo ruolo. Molte ville vennero abbandonate, portando a una frammentazione delle grandi proprietà terriere in unità più piccole, prevalentemente gestite in affitto da grandi e piccoli locatari. Questo processo contribuì a una contrazione del mercato, spingendo verso una dimensione regionale.
L’invasione delle popolazioni barbariche in gran parte dei territori dell’Impero romano e la conseguente destabilizzazione delle frontiere portarono alla chiusura dei circuiti commerciali mediterranei. Di conseguenza, i traffici si concentrarono in aree più ristrette, con un cambiamento nei principali centri di approvvigionamento, come la sostituzione dell’Africa settentrionale con la Betica per il rifornimento di olio, in linea con il nuovo asse commerciale che si era stabilito tra Roma e le province africane per soddisfare il fabbisogno alimentare della capitale.
La crisi economica che caratterizzò il III secolo d.C. è scarsamente documentata nelle fonti disponibili, che diventano sempre più rarefatte, complicando la ricostruzione storica di questo periodo. Lo Stato romano appare caratterizzato da un crescente controllo sulla società, un inasprimento della struttura sociale e un aumento della pressione fiscale.
Sul piano giuridico, emerge nelle campagne la figura del colono, un agricoltore formalmente libero ma legato alla terra che coltivava, e che di fatto era assimilabile a uno schiavo. La risposta alla crisi che aveva colpito l’Impero per gran parte del III secolo d.C. si concretizzò in una serie di riforme statali. Diocleziano introdusse diverse riforme importanti, tra cui la perdita del privilegio fiscale dell’Italia, che venne equiparata alle altre province, sebbene non sia chiaro come reagirono i grandi proprietari terrieri ai nuovi tributi imposti.
Anche l’economia e la gestione agraria furono profondamente influenzate dall’istituzione di più capitali, poste in aree strategiche. Dalla fine del III secolo d.C., Roma perse il suo ruolo di residenza imperiale quando Massimiano, sovrano dell’Occidente, si trasferì a Milano. Questo trasferimento aumentò le necessità locali, poiché la presenza della classe impiegatizia e dei soldati richiedeva maggiori risorse. A Milano furono destinate molte delle risorse prodotte nell’Italia settentrionale, conosciuta in età tardoantica come “Italia Annonaria”.
Le crescenti esigenze fiscali ebbero un impatto significativo sia sull’economia che sulle relazioni sociali. La limitata circolazione di beni fu influenzata dall’emergere di nuove categorie professionali come magistrati, funzionari statali ed ecclesiastici, che garantirono un alto potere d’acquisto. Le invasioni barbariche contribuirono ulteriormente alla frammentazione politica, che nel V secolo d.C. portò alla rottura dei rapporti commerciali nel Mediterraneo, con un conseguente abbassamento delle condizioni di vita e un marcato declino demografico.
La forte instabilità politica, i saccheggi da parte delle truppe romane (durante le guerre civili) o barbariche, la stagnazione produttiva e l’insicurezza dei commerci impoverirono durante il Tardo Impero le classi medie urbane, come artigiani e commercianti, che dovevano anche far fronte alle necessità alimentari delle masse di contadini immigrati in città a causa della crisi agricola. Nei primi secoli, l’Impero era riuscito in parte a sopperire a queste esigenze grazie all’evergetismo dei notabili, ma con l’aggravarsi della crisi furono proprio le distribuzioni gratuite di denaro e cibo a essere ridotte. Da Costantino in poi, si preferì destinare la beneficenza alla Chiesa, che nel V secolo d.C. si era ormai sostituita alle istituzioni statali non solo nelle opere di carità, ma anche nella gestione di gran parte delle città dell’Impero romano d’Occidente.
I senatori proprietari terrieri e i ricchi imprenditori, tra cui banchieri, armatori e alti funzionari, che godevano di privilegi eccezionali e conducevano una vita di lusso, iniziarono a preferire la vita in campagna piuttosto che in città. Nei loro vasti latifondi, iniziarono a concentrare attività industriali e artigianali, che li resero autosufficienti. Questo portò a una ulteriore riduzione delle opportunità di lavoro per la classe media urbana, già colpita dalla crisi del commercio. Nel caos che precedette la caduta dell’Impero romano d’Occidente, questi latifondisti cominciarono a prendersi carico della protezione delle loro proprietà, formando eserciti privati noti come buccellarii. Lo Stato, ormai incapace di adempiere alle proprie funzioni, delegò loro compiti cruciali, come la riscossione delle tasse dai coloni e dai contadini liberi nei villaggi, che sempre più si affidavano a questi potenti patroni per la protezione delle loro famiglie. Questo sistema gettò le basi per lo sviluppo della signoria feudale nel Medioevo.
Quando Costantino, nel 324 d.C., trasformò Bisanzio in una nuova capitale, Roma cessò di essere il fulcro economico dell’impero. La nuova capitale, Costantinopoli, divenne un vivace centro economico, non solo un luogo di consumo ma anche un importante crocevia di traffici e produzioni. Questo ruolo centrale durò per oltre mille anni, fino alla sua caduta per mano turca nel 1453. Nell’Impero romano d’Oriente, il sistema produttivo rimase efficiente, gli scambi commerciali furono più attivi e il declino delle città meno pronunciato rispetto all’Occidente. Un’eccezione erano le città della Grecia, impoverite da secoli di decadenza e saccheggiate dai Goti e dai Sarmati nel III secolo d.C., da cui non riuscirono mai a riprendersi completamente.
L’economia urbana nell’Impero d’Oriente si basava sulla prosperità delle campagne, dove misure adeguate garantirono la sopravvivenza della piccola proprietà, soprattutto in Anatolia, Siria, Palestina ed Egitto, contrastando l’espansione dei latifondi e favorendo la produzione e la crescita demografica. Oltre a Costantinopoli, le città più popolose includevano Antiochia, Alessandria d’Egitto e Nicomedia.
La disponibilità di moneta, sostenuta dalle esportazioni, alimentava l’artigianato e la piccola industria, spesso gestiti o controllati dallo Stato. Questo permise di superare le difficoltà legate all’alto costo dei trasporti e alla stagnazione del commercio durante i frequenti conflitti. Tuttavia, lo Stato non riuscì a risolvere uno dei problemi cronici del Tardo Impero: l’eccessiva pressione fiscale necessaria per finanziare l’esercito e la burocrazia. Nonostante ciò, l’Impero romano d’Oriente, o Impero bizantino, resistette meglio agli attacchi dei barbari grazie alla sua maggiore ricchezza di uomini e risorse, alla sua migliore difendibilità e alla sua solida organizzazione politica, caratterizzata da un’autocrazia centralizzata. L’imperatore d’Oriente si considerava il vicario di Dio sulla terra, posizionandosi al vertice sia della gerarchia civile che di quella ecclesiastica.