Il servizio postale nell’Impero romano

servizio postale in epoca romana

Nell’antichità la posta c’era; ma serviva solo alle autorità dello Stato, dovendo le autorità residenti nella capitale esser sempre in contatto coi capi civili e militari delle province. Questo servizio di Stato venne organizzato per la prima volta in modo stabile e continuo dalla Persia, a cominciare dal V secolo a.C. con Dario d’Istaspe; anche gli Stati ellenistici, sorti dallo sfasciamento dell’impero di Alessandro, disposero di un regolare servizio di posta; ma il più complesso e meglio ordinato servizio di posta fu opera dell’impero romano.

Lo Stato assicurava la regolarità del servizio postale con lo stabilire lungo le strade più importanti, di solito le vie militari, e a determinati intervalli, dei corrieri ovvero dei carri postali che con la maggior velocità possibile consegnassero ciò che avevano ricevuto alla stazione postale più vicina. Nel mondo romano, da Augusto in poi, il servizio postale indicato nei testi con vari nomi (cursus publicus, cursus vehicularis, cursus fiscalis, res veredaria ecc.) ebbe largo sviluppo e ordinamento complesso.

La suprema direzione degli uffici postali era affidata ai praefecti del pretorio, funzionari di fiducia del principe. Sotto Costantino il servizio di posta venne perfezionato; ne spettava la sorveglianza a vari funzionari; nelle province faceva capo ai governatori (praesides), ciascuno dei quali aveva alle proprie dipendenze un magistrato addetto esclusivamente alla posta (praefectus vehiculorum).

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Ai magistrati che sopraintendevano alla posta spettava la cura di tutto ciò che le esigenze di quel servizio richiedevano: dovevano mantenere strade, riparare ponti, provvedere al regolare funzionamento degli uffici locali ecc. A tale scopo il territorio delle province era diviso in vari distretti postali, con a capo un reggente (manceps), il quale aveva sotto di sé un certo numero di impiegati subalterni (apparitores) e di addetti a singoli servizi; questi ultimi provvedevano al cambio dei cavalli di posta (stationarii), a governare gli animali (muliones, hippocomi) o a curarli se si ammalavano (mulomedici, cioè «veterinari»), al servizio di stalla (stratores), alla riparazione dei carri (carpentarii) ecc. I cavalli postali erano forti e veloci, e i conducenti, perché corressero, non risparmiavano le frustate. Sembra, anzi, che qualche tanghero di postiglione, per farli andare più svelti, si servisse anche del bastone; sì che la legge stessa dové intervenire a tutelare la dignità del cavallo, vietando questi metodi brutali. Abbiamo infatti una costituzione di Costantino, la quale, mentre legittima la frusta, vieta l’uso del bastone. Le spese inerenti al servizio postale erano sostenute dalle amministrazioni locali.

I privati solo occasionalmente ottenevano il permesso di valersi della posta di Stato; di regola dovevano provvedere con mezzi propri al mantenimento della corrispondenza epistolare; si servivano per le comunicazioni epistolari dei loro schiavi, detti tabellarii, o, se le lettere dovevano essere consegnate lontano con velocità, cursores. Eventualmente l’incarico del recapito era dato ad amici o ospiti di passaggio o a mercanti o a cursori forestieri provenienti dai luoghi dove la lettera era indirizzata. Quando un cursore partiva per una destinazione lontana, gli amici del mittente ne profittavano per far recapitare la loro corrispondenza in quello stesso luogo o in luoghi di transito. In pratica, fra gente che scriveva molte lettere si formava come una società di mutua assistenza a scopi postali. Questo scambio di servizi permetteva una certa regolarità nel recapito della posta privata; ma, anche con ciò, non era raro il caso che la lettera, pronta per partire, rimanesse giacente presso chi l’aveva scritta in attesa di una qualsiasi occasione di farla giungere al destinatario. Per evitare questo inconveniente, chi aveva molte relazioni politiche o finanziarie manteneva fra i propri schiavi un numero considerevole di messaggeri privati. Ma era sempre un servizio insufficiente, e, per giunta, una spesa enorme, se si considera che al costo degli schiavi andava aggiunto il costo del recapito: una sola missiva imponeva talvolta la spesa di un lungo viaggio.

La posta è un ufficio delicato, quindi si doveva, fra l’altro, star bene attenti di incaricare del recapito o schiavi di sicura fedeltà e intelligenza o persone della cui riservatezza si potesse essere sicuri. Il contenuto, naturalmente, rimaneva segreto, e poiché non esistevano buste, la lettera, anche se scritta su papiro, veniva piegata in modo che lo scritto rimanesse nell’interno; si legava, poi, con un cordoncino e si sigillava. Il sigillo, che nell’antichità aveva l’ufficio che da noi ha la firma, garantiva l’autenticità della missiva nel caso che il mittente non l’avesse scritta di suo pugno, caso del resto raro, perché di solito le lettere erano autografe. Per la corrispondenza ufficiale i magistrati, pur avendo a loro disposizione un personale (apparitores) ufficialmente destinato al recapito della corrispondenza, si servivano abitualmente dei loro schiavi privati, che viaggiavano coi pubblici mezzi postali. Particolare importanza aveva la scelta del latore quando si fosse trattato di lettere ufficiali la cui consegna dovesse avvenire con una certa etichetta. (Fonte Vita Romana)

Foto anteprima: Di Nicolas von Kospoth (Triggerhappy) – Opera propria, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1070920

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