L’abitudine delle famiglie romane più facoltose di inviare i propri figli in Grecia per completare la loro educazione presso famosi filosofi e retori evidenzia la propensione dei Romani al viaggio. La mancanza di trasporti rapidi come quelli odierni non ostacolava i viaggiatori del passato, inclusi i Romani, che beneficiavano di un’ottima rete stradale. Viaggiavano per motivi di studio, per affari ufficiali, per commercio, per visitare monumenti celebri o semplicemente per alleviare la noia.
Le rotte marittime, preferite per il loro maggiore comfort, contrastavano con le difficoltà dei viaggi terrestri, aggravate dalla scarsità di alberghi accoglienti. L’industria alberghiera, come la conosciamo oggi, era allora sconosciuta.
Coloro che non disponevano di un luogo amico dove pernottare dovevano accontentarsi delle cauponae, locande spartane disseminate lungo le strade o nelle città, come quelle scoperte a Pompei. Questi luoghi, spesso frequentati da personaggi poco raccomandabili, offrivano letti lontani dagli standard di pulizia attuali. I muri di queste locande erano ricoperti di graffiti osceni, lasciati dai clienti, un’usanza che, pur poco lusinghiera per chi li scriveva, si è rivelata preziosa per gli studi moderni. L’ostiere romano era proverbialmente noto per la sua disonestà, come affermava Orazio: “perfido caupo”. Nonostante queste condizioni, i Romani viaggiavano spesso e senza timori. Un popolo timoroso di esplorare non avrebbe mai potuto espandersi in un impero.
Per chi viaggiava senza incarichi ufficiali, l’abbigliamento consisteva in una tunica e un mantello con cappuccio (paenula), mentre in estate si aggiungeva un cappello a larghe falde. La tunica era progettata per non intralciare i movimenti, stretta alla vita e sollevata fino al ginocchio, con una borsa (marsupium) appesa alla cintura. Molti viaggiavano su animali da soma che trasportavano sia il viaggiatore sia i suoi bagagli. Come racconta Orazio, era possibile viaggiare liberamente su un mulo fino a destinazioni distanti come Taranto. I viaggi a piedi erano rari, e l’idea di camminare per divertimento sotto la pioggia o il sole con un pesante zaino sulle spalle sarebbe sembrata folle ai Romani.
La varietà di veicoli romani, in termini di forma, struttura, eleganza e velocità, è testimoniata dalla ricchezza lessicale usata per descriverli. Tipico dei Romani era l’uso, importato dall’Oriente, di farsi trasportare in lettiga (lectica) o in portantina (sella gestatoria), accessoriati con cuscini (pulvinaria) e tende (vela). Trasportati da schiavi vestiti uniformemente, questi mezzi erano comodi ma lenti e venivano usati soprattutto in città, unico mezzo consentito durante il giorno a causa delle leggi che limitavano il traffico. L’antichità riservava un grande rispetto per i pedoni, vietando la circolazione dei carri nelle aree urbane affollate e rendendo alcune strade inaccessibili ai carri con barriere di pietra, come si vede nelle strade di Pompei.
Nel mondo romano, i veicoli a ruote si distinguevano in tre categorie principali.
Veicoli sportivi o da parata: Tra questi spiccava il currus, un carro a due ruote utilizzato durante le competizioni nel circo e nelle cerimonie di trionfo.
Veicoli per il trasporto di merci: Il plaustrum, robusto e dotato di due ruote solide, era comunemente utilizzato nelle campagne sarde, e caratterizzato da ruote piene anziché raggi, trainato da buoi, muli o asini. Il serracum, con ruote più basse e resistenti, era adatto al trasporto di carichi pesanti. Il carrus, un carro da trasporto militare di origine celtica, e l’arcera, un tipo antico di carro-lettiga utilizzato per il trasporto di persone ammalate o anziane, completavano la flotta.
Veicoli da viaggio, disponibili sia a due che a quattro ruote:
- A due ruote: Il cisium, un leggero e veloce calessino ideale per viaggi rapidi senza bagagli, spesso noleggiato dai cisarii, i vetturini che operavano alle porte della città. L’essedum, ispirato ai carri da guerra galli e britanni, era un tipo intermedio tra il cisium e la più robusta raeda a quattro ruote. Esistevano versioni minori, guidate direttamente dal viaggiatore, e versioni più grandi, guidate da un essedarius. Il carpentum, un elegante carro a due ruote di design italico, tirato da due mule e utilizzato esclusivamente dalle donne della famiglia imperiale nelle città, è ben rappresentato su monete imperiali femminili.
- A quattro ruote: La raeda era il carro più comune per il trasporto di persone o merci. Il petorritum, di origine gallica simile alla raeda, in origine era probabilmente un carro di parata, che divenne comune verso la fine dell’Impero. Il pilentum, simile al carpentum ma più grande, era inizialmente riservato alle sacerdotesse e alle matrone durante le feste, ma col tempo divenne di uso generale. La carruca, nota per il suo comfort, permetteva addirittura di dormirci dentro, oltre a essere ornata finemente e relativamente veloce, rendendola un vero e proprio lusso su ruote.