L’insula rappresenta il primo esempio di edilizia residenziale destinata alle masse popolari nell’antica Roma, dove abitava la maggior parte della popolazione. Le prime insulae furono costruite nel IV secolo a.C., per rispondere alla crescente domanda di alloggi nella città. Queste strutture, simili agli attuali condomini, si sviluppavano in altezza e durante l’epoca imperiale potevano raggiungere anche sei piani o più.

Le insulae erano sostanzialmente suddivise in due categorie: una più raffinata, destinata alla classe media come funzionari e mercanti, e una più popolare, riservata alla popolazione meno abbiente. Nelle insulae di tipo signorile, il piano terra era spesso un’unità abitativa destinata a un unico inquilino, assumendo le caratteristiche di una piccola domus. Invece, nelle insulae più modeste, il pianterreno era utilizzato per attività commerciali e artigianali, con botteghe (tabernae) come i termopolia e altri negozi dove i lavoranti, i tabernarii, svolgevano le loro attività e talvolta pernottavano. Gli ambienti erano arredati in modo essenziale con cassepanche (capsa) per conservare oggetti e vestiti, piccoli letti (cubicula), sgabelli (scabellum), un tavolo e armadi, che venivano utilizzati principalmente per documenti e oggetti, piuttosto che per abiti. Spesso, la stessa stanza serviva sia come sala da pranzo che come camera da letto. Le finestre, a causa dei costi elevati del vetro, erano chiuse con sportelli di legno, teli o pelli.
L’organizzazione degli spazi all’interno dell’insula rifletteva chiaramente la stratificazione sociale dell’epoca. A differenza di oggi, i piani superiori erano occupati dalle classi meno abbienti, mentre i più ricchi vivevano al primo piano. Man mano che si saliva di piano, gli alloggi diventavano meno confortevoli e più economici, con difficoltà pratiche come la mancanza di accesso diretto all’acqua, il rischio frequente di incendi e un microclima poco salubre. Il subaffitto era una pratica comune, con i residenti che affittavano stanze in eccesso, portando a un sovraffollamento che favoriva condizioni igieniche precarie, malattie e conflitti. A causa della difficoltà di accesso alla rete idrica, si sviluppò la figura degli aquarii, lavoratori incaricati di procurare acqua per le famiglie più agiate o di ceto medio.

Con la diffusione delle insulae, la loro costruzione si trasformò rapidamente in un’attività altamente redditizia. Gli imprenditori edili, spinti dal desiderio di massimizzare i profitti, puntavano a edificare strutture sempre più alte, spesso utilizzando materiali di qualità inferiore. I muri portanti, ad esempio, venivano realizzati con uno spessore di soli 40-45 cm, il minimo consentito dalla legge, il che comportava frequenti problemi strutturali.
Per incrementare ulteriormente i guadagni, i proprietari iniziarono a suddividere gli alloggi in spazi ancora più piccoli e angusti, permettendo così di ospitare un numero maggiore di inquilini e aumentando gli introiti degli affitti. Alcune insulae arrivarono a contenere fino a 200 persone, creando ambienti sovraffollati e pericolosi. Queste costruzioni, instabili e affollate, erano spesso soggette a incendi e danni strutturali. L’imperatore Augusto, preoccupato per la sicurezza, decretò che i privati non potevano costruire edifici che superassero i 60 piedi di altezza (circa 20 metri). Tuttavia, con il crescere della domanda abitativa e della speculazione edilizia, questo limite venne frequentemente ignorato durante il periodo imperiale.
A Ostia Antica, per esempio, la costruzione in mattoni veniva spesso lasciata senza intonaco, creando un effetto policromo grazie all’uso di laterizi di diverse tonalità per i vari elementi architettonici. I solai e le coperture venivano sostenuti da volte, progettate per garantire una maggiore stabilità e sicurezza.
Crasso, noto banchiere e membro del triumvirato insieme a Cesare e Pompeo, accumulò una fortuna considerevole nel settore delle costruzioni. Egli acquistava immobili danneggiati e messi in vendita a prezzi ridotti, procedendo poi a riparazioni rapide e superficiali, spesso utilizzando i detriti delle stesse strutture. Successivamente, affittava queste proprietà a un prezzo significativamente più alto. Durante l’epoca di Cesare, l’affitto di un appartamento a Roma poteva aggirarsi intorno ai 2.000 sesterzi (equivalenti a circa 4.000 euro odierni). Gli affitti venivano pagati due volte all’anno, il primo gennaio e il primo luglio. A causa degli alti costi degli affitti, i casi di morosità erano comuni, così come gli sfratti che ne conseguivano. Si stima che, nel II secolo d.C., sotto l’impero di Settimio Severo, a Roma vi fossero circa 46.000 insulae, mentre le domus, abitazioni più lussuose, erano circa 1.800.

Marco Rossi è un appassionato di tecnologia con oltre 20 anni di esperienza nel settore digitale. Laureato in Ingegneria Informatica, ha lavorato come consulente IT e content creator per diverse realtà online. Sul suo blog condivide guide pratiche, recensioni e approfondimenti su tutto ciò che riguarda il mondo della tecnologia e di Internet: dai dispositivi smart alle piattaforme di streaming, dalle novità sul web ai consigli per migliorare la sicurezza online. La sua missione è rendere comprensibili anche i temi più tecnici, aiutando lettori di ogni livello a orientarsi nel mondo digitale in continua evoluzione.