La Tomba di Nerone sulla via Cassia

Di Saverio.G – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=72807367

Situato al sesto chilometro della Via Cassia si trova un antico mausoleo noto come la Tomba di Nerone, nome che ha ispirato anche la denominazione di un intero quartiere circostante. Tuttavia, nonostante il nome suggestivo, non vi è alcun legame diretto con l’imperatore romano.

La vera identità del proprietario di questa elegante tomba, di recente restaurata, è facilmente riconoscibile dall’iscrizione presente. Essa porta il nome di Publio Vibio Mariano, che visse nel II secolo d.C. e fu sepolto qui insieme alle sue figlie. Questa figura, seppur non tra le più eminenti dell’epoca imperiale, ha lasciato una traccia leggibile nella storia grazie all’epigrafe, sebbene sia oggi in condizioni non ottimali. La sua biografia è brevemente descritta nell’iscrizione, che è stata inclusa nel Corpus Inscriptionum Latinarum, specificamente al paragrafo 1636.

Fonte: wikimedia.org

L’errata identificazione del sepolcro con Nerone può essere attribuita a ragioni geografiche, dato che si trova relativamente vicino al luogo dove l’imperatore si tolse la vita il 9 giugno del 68 d.C. La residenza dove avvenne il suicidio, appartenente al liberto Faonte, era situata più a est, lungo un’antica via ora conosciuta come Via delle Vigne Nuove, tra la Via Salaria e la Via Nomentana. Questa è l’area specificata da Svetonio come teatro degli ultimi momenti di Nerone. Proprio qui, oltre il fiume Aniene, erano ubicate anche le lussuose ville di Seneca e dello stesso Faonte, quest’ultimo un liberto che aveva accumulato grande ricchezza.

Nerone, all’età di trentadue anni e in una fase disperata della sua vita, secondo la narrazione di Svetonio, fuggì da Roma, inseguito dai soldati come un comune criminale. Si diresse verso questa zona periferica della città, portando con sé ciò che rimaneva della sua corte, inclusi Sporo, un giovane di cui si era innamorato e con il quale aveva celebrato un matrimonio in una cerimonia alquanto bizzarra.

Secondo Svetonio, durante la fuga, il cavallo di Nerone si spaventò alla vista di uno dei numerosi cadaveri lasciati in città nei giorni successivi al grande incendio di Roma. L’imperatore cadde dal cavallo, perdendo il velo che nascondeva il suo volto, e fu prontamente riconosciuto: prima da un pretoriano che esclamò “Ave, Cesare!” e poi dalla folla, che tentò di aggredirlo. Nonostante ciò, Nerone riuscì a sfuggire e, insieme a Sporo, raggiunse a piedi, esausto e coperto di fango, la villa di Faonte. Tuttavia, era troppo tardi: l’agitazione della folla aveva attirato l’attenzione dei pretoriani, che presto trovarono il suo rifugio e lo costrinsero a togliersi la vita con il proprio pugnale.

La tragica fine dell’imperatore e l’incertezza su dove fosse stato sepolto (il suo corpo fu cremato e le ceneri collocate nel Sepolcro dei Domizi, ora nella zona del Pincio) alimentarono la fantasia popolare. Coloro che gli erano rimasti fedeli, non accettando la realtà della sua morte, iniziarono a diffondere la voce di un suo possibile ritorno.

La credenza nel fantasma di Nerone prese piede, in particolare nelle campagne a nord della città, trovando un fulcro nel Medioevo attorno al sepolcro di Publio Vibio Mariano. La lugubre fama di questo luogo perdurò nei secoli, fino a raggiungere l’epoca di Napoleone Bonaparte: durante la cerimonia di incoronazione a Parigi, venne lanciata una mongolfiera ornata con le insegne francesi e una corona imperiale con l’aquila napoleonica. Tuttavia, nella notte tra il 16 e il 17 dicembre 1804, un colpo di vento fece deviare la mongolfiera che, giunta fino a Roma, si schiantò contro il sepolcro. La corona imperiale e l’aquila si staccarono mentre il pallone si inabissò nelle acque del lago di Bracciano. A Roma, alcuni interpretarono questo evento come un presagio sinistro, collegandolo al declino dell’impero napoleonico, che si concretizzò con la sconfitta di Waterloo solo dieci anni dopo.

Questa atmosfera misteriosa fu alimentata anche dalle testimonianze di coloro che affermavano di aver visto lo spirito dell’imperatore piangere presso il proprio sepolcro. Queste storie influenzarono anche il noto poeta romano Giuseppe Gioachino Belli, che dedicò a questo luogo un famoso sonetto:

Dove nasce la Cassia, a manimanca,
no a Pontemollo, tre mija più lontano,
ce sta un casson de pietra bianca…

Lì a Romavecchia, ha ditto l’artebbianca
Ce sotterrorno un certo sor Mariano…

o chi ha scritto er pitaffio era un cojone:
perché da si ch’er monno s’è creato,
questa è la sepportura de Nerone.

Così, nonostante le evidenze contrarie, per i romani quel luogo resterà per sempre la… Tomba di Nerone.

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