La Tomba di Nerone sulla via Cassia

Al sesto chilometro della Via Cassia sorge un antico sepolcro conosciuto dai romani come Tomba di Nerone, che ha addirittura finito per dare il nome ad un intero quartiere. Il fatto è però che al contrario di quanto afferma il suo nome, quel sepolcro non ha proprio nulla a che vedere, se non molto alla lontana, con l’imperatore di Roma.
A ben vedere, scoprire a chi appartiene la nobile tomba, da poco restaurata, non è nemmeno difficile: sull’epigrafe in calce si legge infatti piuttosto chiaramente il nome di un certo Publio Vibio Mariano, vissuto e morto nel II secolo d.C, qui seppellito – a quanto pare – insieme alle sue figlie. Personaggio di secondo piano dell’epoca imperiale, la cui biografia è sinteticamente riportata nella iscrizione, oggi mal ridotta, trascritta comunque nel Corpus Inscriptionum Latinarum, al paragrafo 1636.

Le antichità Romane. Tomo III, tav. XIV. // Opere di Giovanni Battista Piranesi
Ma come nacque l’errata attribuzione a Nerone? Sicuramente l’origine della leggenda si deve a ragioni geografiche, visto che il sepolcro non è poi molto lontano in linea d’aria dal luogo dove effettivamente Nerone si suicidò, il 9 giugno del 68 d.C.: la villa del liberto Faonte, che sorgeva più ad est, sul tratto della cosiddetta Via Patinaria, il cui tracciato ricalca, tra la via Salaria e la via Nomentana, quello della odierna Via delle Vigne Nuove, il luogo esatto dove Svetonio ambientò l’ultimo atto dell’imperatore. In questa zona, infatti, oltre il fiume Aniene, sorgevano le splendide ville patrizie di Seneca e di Faonte, un liberto divenuto ricchissimo.
Nerone, all’epoca ancora trentaduenne, secondo il racconto di Svetonio, fuggì ormai disperato e braccato dai soldati come il peggiore dei delinquenti, al termine della sua parabola discendente. Lasciando Roma l’imperatore si diresse proprio in quella parte del Suburbanum portandosi dietro i resti della sua corte, tra cui Sporo, l’ultimo giovane di cui l’imperatore s’era invaghito e che aveva perfino sposato nel corso di una grottesca cerimonia.
Svetonio racconta che proprio in questo tratto della fuga, il cavallo dell’imperatore si imbizzarrì alla vista di uno dei tanti cadaveri abbandonati in quei giorni terribili per la Città Eterna, negli anni che erano seguiti all’incendio di Roma. Nerone scivolò dal cavallo, perse il velo che gli copriva il volto e venne riconosciuto, prima da un pretoriano che gli gridò “Ave, Cesare!” e poi dalla folla che cercò di linciarlo. Miracolosamente l’imperatore riuscì a fuggire e a giungere a piedi in compagnia di Sporo alla villa di Fetonte, stanco e infangato. Ma ormai troppo tardi: l’allarme della folla aveva attratto l’attenzione dei pretoriani che ben presto scoprirono il nascondiglio, obbligando l’imperatore a suicidarsi con il suo stesso pugnale.
Questa morte disgraziata e la mancanza di notizie certe sulla sua sepoltura (in realtà il cadavere fu cremato e le ceneri sepolte all’interno del Sepolcro dei Domizi, oggi nella zona del Pincio) scatenarono le fantasie popolari, specie di coloro che erano rimasti fedeli all’imperatore e non credendo alla sua morte, ne paventavano un improbabile ritorno sulle scene.
Fu per questo che cominciò a diffondersi la fama del fantasma di Nerone, soprattutto nelle campagne del nord della città, che trovarono un punto di riferimento, in epoca medievale, nel sepolcro di Publio Vibio Mariano.
La fama sinistra del luogo continuò per molti secoli e arrivò fino ai tempi di Napoleone Bonaparte: mentre a Parigi si teneva la sua cerimonia di incoronazione, infatti, venne lanciata una mongolfiera decorata con le insegne francesi e una corona imperiale con l’aquila napoleonica. Il fato volle però che nella notte tra il 16 e il 17 dicembre del 1804, la mongolfiera, giunta dopo un lungo viaggio fino a Roma, si abbassò per un colpo di vento e andò ad urtare proprio sul sepolcro. La corona imperiale e l’aquila si staccarono di netto mentre il pallone finì malinconicamente nelle acque del lago di Bracciano. Naturalmente a Roma ci fu chi, a posteriori, mise in relazione il nefasto avvertimento e la sorte del neo imperatore che in appena dieci anni vide crollare il suo poderoso impero con la sconfitta di Waterloo.
Le testimonianze di chi credette di aver visto il fantasma dell’imperatore piangere in raccoglimento sul proprio sepolcro, influenzarono anche il più famoso dei cantori romani, il Belli, il quale a quel luogo dedicò un celebre sonetto:
Dove nasce la Cassia, a manimanca,
no a Pontemollo, tre mija più lontano,
ce sta un casson de pietra bianca…
Lì a Romavecchia, ha ditto l’artebbianca
Ce sotterrorno un certo sor Mariano…
o chi ha scritto er pitaffio era un cojone:
perché da si ch’er monno s’è creato,
questa è la sepportura de Nerone.
Il che significa che nonostante ogni possibile evidenza, per i romani, quella sarà sempre e soltanto la… Tomba di Nerone.
Foto anteprima: Di Saverio.G – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=72807367