La Roma sotterranea: la città dell’acqua

La Roma sotterranea: la città dell'acqua

Una città come Roma affascina per i suoi monumenti, certamente, ma anche per tutte quelle aree, in particolare archeologiche e sotterranee, completamente sconosciute al grande pubblico. Alcune di esse sono vicinissime a luoghi visitati da milioni di persone all’anno e, caso più unico che raro, sono anche capaci di darci un esempio di perfetta sinergia tra pubblico e privato. Tutte queste caratteristiche sono racchiuse nella cosiddetta Città dell’Acqua, un’area archeologica e sotterranea che si trova a neanche 200 metri di distanza dalla Fontana di Trevi. Noi oggi possiamo ammirare questo straordinario esempio di stratificazione grazie al contributo di una società privata che, scavando nella zona, ha rinvenuto qualcosa di davvero eccezionale. L’azienda in questione è la Cremonini S.p.A, che ancora oggi gestisce privatamente il sito. La Cremonini S.p.A dunque si preoccupa della tutela e della valorizzazione di questo piccolo angolo di Roma, uno scorcio romano e sotterraneo capace di meravigliare per le numerose sorprese presenti.

Siamo in Vicolo del Puttarello, una viuzza stretta e tortuosa del centro di Roma. Qui, ormai 20 anni fa, il Gruppo Cremonini S.p.A comprò un immobile ed effettuò degli scavi propedeutici ai propri progetti di riqualificazione dello stesso. E scavando entrarono in contatto con i resti di una serie di edifici che coprono un arco di tempo che va dal I secolo a.C. sino al XII – XIII secolo. Ad essere precisi, in realtà, scavi archeologici successivi alla prima scoperta dell’area hanno rinvenuto anche ceramiche cinquecentesche, ad aumentare ancor di più la lunga storia dell’area. Ma dove ci troviamo? Perché si chiama Città dell’Acqua o, anche, Vicus Caprarius?

CITTA’ DELL’ACQUA
Entrando nell’area archeologica si rimarrà subito colpiti dallo scrosciante sciabordio dell’acqua che scorre, ininterrottamente e senza sosta. Ebbene, guardando in basso vi ritroverete subito di fronte al cosiddetto Castellum Aquae, una cisterna del II secolo d.C., in età adrianea, che serviva per immagazzinare l’acqua proveniente dal vicino Acquedotto Vergine. Quest’ultimo, realizzato per volere di Agrippa, il sodale e genero di Augusto, alla fine del I secolo a.C., trasportava acqua a Roma da una zona a sud dell’Urbe e, correndo per 20 km circa, aveva come grande scopo quello di portare acqua laddove oggi sorge, più o meno, il Pantheon. Sarà lì che Agrippa promosse anche i lavori di costruzione di quelle che sono considerate le prime, vere, terme pubbliche di Roma, che Agrippa dedicherà al Dio Nettuno. Ed ovviamente laddove ci sono delle terme, e di conseguenza delle piscine, abbiamo bisogno di acqua! Non solo, poiché soprattutto nel percorso urbano dell’Acquedotto Vergine sorgevano, secondo le fonti, ben 18 castella. Come detto in precedenza, un castellum era una cisterna d’acqua che serviva per controllare il livello della stessa, in caso di secca o piena. Ebbene, qui nella Città dell’Acqua abbiamo l’unico esempio visibile a Roma di tale struttura. Si possono notare le mura rinforzate e solide, raddoppiate di spessore e rivestite di coccio pesto, materiale molto resistente all’acqua. Tale cisterna aveva una capacità di ben 150.000 litri, aveva diversi canali d’ingresso e, ovviamente, era per uso pubblico. Fonti ci dicono che, spesso e volentieri, ed esattamente come accade oggi, c’era qualcuno che si allacciava abusivamente agli acquedotto o relativi castella. Ovviamente ciò non era permesso, e si poteva incorrere in molti guai se scoperti. Ma adesso scopriamo, invece, il motivo per cui l’area viene anche definita Vicus Caprarius.

VICUS CAPRARIUS
Vicolo del Puttarello sorge, più o meno, lungo il tracciato della Salaria Vetus, una delle vie consolari che uscivano dall’Urbe. E probabilmente quest’ultimo tratto di Salaria arrivava sino all’area del Campo Marzio, nell’omonimo rione romano, la quale era sacra per i Romani. Lì, infatti, vi era uno sviluppato ed antico culto dedicato a Iuno Caprotina, a Giunone dunque. Nel corso di riti specifici venivano uccise delle capre, e tale animale era simbolo di questo particolare culto associato alla consorte di Giove. Immaginate come, fino al Medioevo, il tracciato che passava di qui era chiamato proprio Vicus Caprarius. Da qui, dunque, in concomitanza con la Salaria Vetus, doveva esserci una strada che portava direttamente al luogo sacro dedicato a Iuno Caprotina.

Credit photo: https://www.vicuscaprarius.com Cremonini S.p.A. Via Modena 53, Castelvetro di Modena (MO)

STRATIFICAZIONE
Come scritto precedentemente, è fantastico passeggiate per la Città dell’Acqua poiché è possibile entrare in contatto con elementi architettonici risalenti a varie epoche, che si sono susseguite nel corso dei secoli. Qui al Vicus Caprarius si capisce bene il concetto di stratificazione: nel corso del tempo vari edifici si sono succeduti, uno sopra l’altro, ricostruiti e riutilizzati, modificandone l’uso e la destinazione. E ciò accadde in tutta Roma, sin dai tempi antichi. Per questo scavando in città, come accade per la realizzazione della linea C della metropolitana, si incontrano manufatti ed elementi appartamenti ad epoche che vanno dal ‘900 in giù, fino almeno al tempo degli antichi Romani. E qui, al Vicus Caprarius, abbiamo una stratificazione che si mostra in questo modo:
1) I secolo a.C.: c’è solo una porzione in muratura, in un punto non ancora scavato, risalente alla tarda età repubblicana
2) I secolo d.C.: caso unico in tutta l’Urbe, qui al Vicus Caprarius ci sono elementi risalenti al 64-65 d.C., dunque immediatamente successivi al grande incendio che, in 9 giorni, devastò Roma quando l’Urbe era governata da Nerone. A seguito del nefasto evento le regole edilizie cambiarono radicalmente, così da evitare un nuovo devastante incendio il quale, tra le altre cose, non era assolutamente un evento raro per i Romani. Nerone, dunque, promulgò leggi che vietarono di elevare gli edifici oltre i quattro piani, promossero l’uso del laterizio al posto del semplice legno, e aumentarono la distanza minima tra un edificio e l’altro. A quest’epoca risale, qui nella Città dell’Acqua, resti di un’antica insula, un agglomerato edilizio assimilabile ai nostri moderni condomini. Si riconoscono resti di una scalinata che, probabilmente, portava ad un piano superiore. L’insula doveva essere alta almeno 12 metri, avente tre piani. Un chiaro e bell’esempio di edilizia popolare, se vogliamo, dove i comuni cittadini vivevano, a volte in condizioni igieniche e sanitarie pessime.
3) II secolo d.C.: a questo secolo appartengono alcune modifiche apportate all’originale insula del I secolo. Già qui si evince la pratica, tutta Roma prima ancora che papalina, di riutilizzare gli edifici più vecchi, riciclandoli ed ammodernandoli. A quest’epoca, ad esempio, fu aggiunto un solaio, tanto per citare un intervento. È sintomatico notare come, per poter datare tali modifiche, qualcosa di particolare è venuto in soccorso agli archeologi: un bollo laterizio. Si tratta di uno stampo, in laterizio appunto, apportato dai produttori del materiale. In quello che può essere considerato un vero e proprio simbolo, un brand moderno, vi erano dettagli sulla cava da cui il materiale era stato estratto, la fornace che lo aveva cotto e l’appaltatore dei lavori. Considerando che i bolli laterizi si sono modificati, nelle forme e nei simboli, ne basterebbe uno per datate un intero monumento! Ma attenzione, poiché i bolli laterizi sono sempre impressi in elementi quali, ad esempio, una tegola. Ed anche una tegola, dopotutto, può essere riutilizzata in edifici successivi a quello originale.
4) IV secolo d.C.: una domus era la classica abitazione di un uomo o famiglia del ceto nobile, o comunque non appartenente a classi sociali basse. Caratterizzati, solitamente, per un cortile porticato e aperto che fungeva un poco da fulcro architettonico dell’edificio, una domus doveva mostrare l’opulenza del padrone di casa: marmi pregiati, pitture, ornamenti vari, statue etc. Dal punto di vista architettonico, in questo caso, della domus del IV secolo rimane soprattutto una splendida scalinata. Ma a parte ciò è curioso capire come, di nuovo, abbiamo resti di un edificio costruito riutilizzando quelli precedenti. Un modo anche per risparmiare tempo e denaro.
5) XII – XIII secolo: al Vicus Caprarius, in questa fantastica Città dell’Acqua, abbiamo resti di pavimentazione in tufo, oltre che un pozzo anch’esso rivestito in tufo, di “soli” otto secoli circa. Ciò fa comprendere, una volta di più, l’alto grado di uso dell’area. Qui, in una zona parzialmente residenziale ma, anche, commerciale della Roma antica, diversi edifici si sono susseguiti, prolungando la vita di un’intera area. E basta scavare, a Roma, per entrare in contatto con questa lunga storia.
6) V secolo d.C.: ci sono tracce anche del V secolo d.C., soprattutto in quegli elementi che, a seguito di studi approfonditi, indicano chiaramente che un incendio ha colpito l’area. E probabilmente tale tragedia, che ha distrutto la domus del secolo precedente, fu dovuto alle continue razzie e saccheggi che l’Urbe ha subito nel V secolo d.C. In particolare le cronache ricordano il saccheggio perpetrato dai Vandali di Genserico del 455 d.C., che misero davvero a ferro e fuoco la città per un paio di settimane. E le tracce di bruciatura e combustione sulle mura sono testimoni di un momento critico per la storia della città.

Credit photo: https://www.vicuscaprarius.com Cremonini S.p.A. Via Modena 53, Castelvetro di Modena (MO)

C’è di più. Qui al Vicus Caprarius c’è anche una sorta di antiquarium, un piccolo museo e qualche teca in cui sono esposti alcuni manufatti rinvenuti nel corso degli scavi (di cui a breve parlerò per dovere di cronaca). Ebbene, qui all’antiquarium abbiamo ceramiche dipinte di epoca cinquecentesca e non solo, ma anche pregiate lastre marmoree decorate appartenenti ad una chiesa medievale, non più esistente, ma che dalle fonti sappiamo fosse costruita proprio qui. Andando oltre, poi, cominciamo a notare il motivo per cui, oltre alle evidente architettoniche, sappiamo che qui vi era una domus del IV secolo. È possibile vedere frammenti di statue marmoree, molto interessanti e pregiate, come una testa maschile raffigurante, probabilmente, Apollo. Non solo, poiché abbiamo molte anfore, usate per il vino o l’olio d’esportazione, una statua dal lungo panneggio (un himation) probabilmente raffigurante una donna deceduta (una mano coperta dal dolce panneggio marmoreo starebbe ad attestare la rappresentazione di un trapasso). Infine, nel piccolo ma ricco antiquarium del Vicus Caprarius, ulteriore esempio di quanto le aree sotterranee di Roma, benché sconosciute, possano essere molto interessanti, c’è qualcosa di eccezionale: un tesoro! Ebbene sì, poiché gli scavi hanno riportato alla luce ben 873 “nummi”, piccolissime monetine che potrebbero essere assimilabili ai nostri centesimi. Anzi, a dire il vero un singolo nummus aveva un valore molto basso. In circolazione soprattutto nel corso del III – IV secolo d.C., per fare un solidus, moneta di riferimento dell’epoca, servivano ben 7000 nummi! Di certo la datazione delle monete ci dice che esse appartenevano a qualcuno che abitavano nella domus ma, visto lo scarso valore del tesoretto, è probabile che le monetine potessero appartenere ad uno schiavo del dominus di casa, non certo al padrone. Fatto sta che queste piccoli monete, ancora una volta, sono testimonianze dirette di ciò che è stato, della vita di tutti i giorni di un’epoca molto lontana, ma anche di quanto sia incredibile, ancora oggi e grazie agli archeologi, poter vedere una cosa del genere.

SCAVI
Infine è giusto parlare di come siamo arrivati ad avere tutto questo, di come oggi è possibile ammirare questo tesoro archeologico. Nel 1999 il Gruppo Cremonini, un privato dunque, acquistò questo immobile in Vicolo del Puttarello. Siamo a pochissimi passi da Fontana di Trevi ma questa viuzza profuma di tranquillità e storia. Ebbene fu proprio qui che il Gruppo Cremonini, scavando per mettere a norma l’edificio e per ristrutturarlo, scoprì le prime sostruzioni archeologiche. Per i primi due anni, fino al 2001, gli scavi ed i rilevamenti archeologici andarono avanti spediti, per poi riprendere in seguito. E’ dal 2004 che il Vicus Caprarius, la Città dell’Acqua, è ufficialmente aperta al pubblico. E questo grazie ad un connubio ed una sinergia ottimale tra pubblico e privato. Un esempio perfetto, dunque, di come a Roma sia possibile trovare di tutto: una stratificazione fantastica di edifici pubblici e privati, un castellum aquae, un viaggio archeologico nel tempo.

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