Terme di Tito

Terme di Tito

Fatte edificare da Tito e consacrate nell’80 d.C., questo impianto termale occupava la zona a nord est dell’Anfiteatro Flavio, nella III regione a fianco della Domus Aurea, sulla quale si andarono, in parte, a sovrapporre. Peculiarità della politica flavia fu quella di riconsegnare sin da subito all’uso collettivo gli spazi in precedenza confiscati da Nerone.

Il complesso ci era noto fino ad oggi soprattutto grazie ai disegni curati da Andrea Palladio alla fine del 500; occupava le pendici meridionali del colle Oppio e doveva quindi prevedere una gradinata di accesso che dal Colosseo conduceva agli ambienti termali; questi appaiono composti da un corpo centrale, di contenute dimensioni, attorno al quale si ordinavano altri ambienti.

Di Rudolf Schürer – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3963008

L’impianto si estendeva su un’area di circa 125 x 120 metri, oltre metà della quale, sul lato meridionale, era costituita dalla terrazza-palestra. Presentava ambienti specularmente disposti ai lati di un asse centrale, secondo l’attenta simmetria delle terme “imperiali”. Un doppio calidarium era posto come avancorpo sull’asse dove sbucava la scalea. I calidari erano dotati di abside sul lato nord e di vasche sui lati. Da qui si entrava, tramite un passaggio centrale che separava i calidari, a un piccolo tepidario rettangolare, oltre il quale si trovava il frigidario, concepito come un grande salone basilicale con abside sul lato lungo (come di consuetudine nelle basiliche romane) e vasche laterali.

Ai lati delle strutture termali vere e proprie si disponeva una doppia serie di ambienti simmetrici: due cortili-palestre, due spogliatoi, due sale di intrattenimento.

Gli scavi compiuti dal Comune di Roma tra il 1986 ed il 1991 hanno portato alla luce una serie di murature di rilevante consistenza, che rappresentano una piccola parte del complesso; gli edifici dovevano favorire il declivio della altura ed erano senz’altro costruiti su più livelli. Le ultime fonti certe risalgono ad un restauro del 238; l’intero complesso subì prematuramente un processo di abbandono, divenendo cava per il riutilizzo dei marmi e dei materiali edilizi destinati all’edificazione di palazzi e chiese.

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