Quando si parla di mummie egizie, la prima immagine che viene in mente è quella di un corpo ben conservato all’interno di un sarcofago, decorato con un volto che raramente rappresenta le vere sembianze del defunto. Tuttavia, esiste un’eccezione notevole a questa tradizione: i ritratti del Fayyum.
Ritrovati nella pseudo-oasi del Fayyum, circa 130 km da Il Cairo, questi circa 600 dipinti funebri, datati tra il I secolo a.C. e il III secolo d.C., coprivano i volti di alcune mummie. La loro caratteristica distintiva è il notevole realismo, un forte contrasto con l’usuale stilizzazione egizia, che generalmente ritraeva faraoni e personaggi di alto rango con tratti standardizzati.
Il realismo dei ritratti del Fayyum si può spiegare considerando la composizione demografica della regione nell’età tolemaica, abitata principalmente da coloni greci, tra cui veterani e ufficiali. Questa popolazione, che comprendeva anche egizi trasferitisi lì per coltivare la terra, rimase sostanzialmente invariata anche dopo la conquista romana, risultando in una comunità fortemente ellenizzata. I ritratti rappresentano quindi i discendenti di questi coloni, spesso frutto di unioni tra greci e donne egizie, combinando le pratiche mummificatorie egizie con l’influenza greco-romana nel realismo pittorico.
Questa fusione culturale è diventata particolarmente prominente sotto il dominio romano, epoca in cui si nota un aumento dei ritratti del Fayyum. Gli studiosi osservano come questa pratica rispecchi quella romana di creare maschere in cera dei defunti, conservate come memoria familiare nelle abitazioni, suggerendo un legame tra le due tradizioni nella rappresentazione post-mortem.
Chi erano quindi i soggetti di questi ritratti? Si trattava principalmente di uomini e donne che non avevano superato i 35 anni, con alcune eccezioni molto rare. Si trovano anche ritratti di bambini, il che non sorprende data l’elevata mortalità infantile dell’epoca e un’aspettativa di vita media che si attestava intorno ai 40-45 anni. Questi individui appartenevano a strati sociali elevati, poiché la creazione di una maschera funebre con ritratto era un’operazione dispendiosa e non accessibile ai meno abbienti.
Le tecniche impiegate nella realizzazione di questi ritratti includevano frequentemente l’uso di tempera e cera su pannelli di legno. Ogni pannello veniva poi collocato tra le bende della mummia o applicato sul sarcofago. I ritratti mostravano il volto del defunto di fronte, su uno sfondo solitamente uniforme, talvolta arricchito da elementi decorativi.
Nonostante il marcato realismo che caratterizza i ritratti del Fayyum, essi seguono comunque alcuni canoni estetici di ispirazione ellenistica. In particolare, i volti maschili tendono ad avere caratteristiche simili: una forma triangolare del viso, un naso allungato e zigomi pronunciati. Le raffigurazioni femminili, invece, sembrano riflettere maggiormente i tratti individuali delle donne ritratte e sono spesso arricchite da ornamenti di bellezza.
I ritratti del Fayyum costituiscono un tesoro di valore inestimabile, fornendo una finestra storica su un’epoca di oltre 2000 anni fa. Oltre a offrire preziose informazioni storiche, essi ci aiutano a comprendere le pratiche legate alla morte e rappresentano un esempio tangibile dell’incontro e della fusione tra la cultura ellenico-egizia e quella romana. Questi ritratti furono scoperti già nel 1615 dall’esploratore italiano Pietro Della Valle durante un viaggio in Egitto, che riportò in patria alcuni esemplari. Oggi, tali opere sono esposte in alcuni dei più importanti musei del mondo, tra cui il Museo Egizio del Cairo, il British Museum, il Royal Museum of Scotland, il Metropolitan Museum of Art di New York, il Louvre di Parigi, la Pinacoteca di Brera a Milano e il Landesmuseum Württemberg di Stoccarda.