Le motoseghe sono tornate a Villa Borghese, un suono metallico in piena estate che si fa strada nel cuore di uno dei parchi più amati di Roma. Questa volta, a cadere sono stati ventidue alberi, tra lecci, robinie e olmi. La decisione, presa dal Dipartimento Tutela ambientale, non è arrivata all’improvviso, ma è stata giustificata come una scelta necessaria: gli alberi, come si legge nell’avviso, erano “secchi, morti in piedi”, rappresentando un pericolo per i frequentatori del parco. Nonostante la rassicurazione che ogni albero abbattuto verrà sostituito entro un anno, la notizia ha riacceso il dibattito sulla gestione del verde urbano nella capitale.
Le radici della protesta
L’evento non è un caso isolato. Negli ultimi anni, Roma ha visto ripetersi la stessa scena in diversi quartieri, da Monteverde a Centocelle, scatenando accese polemiche tra i residenti e gli ambientalisti. Le proteste hanno trovato un’eco anche a Villa Borghese, dove gruppi come Italia Nostra e il Gruppo di intervento giuridico hanno già espresso il loro dissenso per precedenti abbattimenti. L’attivista Francesca Marranghello ha documentato l’operazione in un video, che ha rapidamente fatto il giro dei social media, alimentando la frustrazione di chi vede in ogni taglio un’offesa al patrimonio verde della città. In queste comunità, l’abbattimento di un albero non è solo un atto tecnico, ma un evento emotivo che tocca la sensibilità di chi vive il quartiere e il parco come un’estensione della propria casa.
Il paradosso del verde urbano
La questione, però, è più complessa di un semplice scontro tra chi abbatte e chi protegge. Ci troviamo di fronte a un paradosso tipico delle grandi metropoli storiche: per mantenere un parco vivo e sicuro, a volte è necessario compiere atti che sembrano contraddire l’essenza stessa della sua preservazione. Ogni albero, per quanto imponente, ha un ciclo vitale. Le piante “morte in piedi” sono come sentinelle silenziose che hanno raggiunto la fine del loro servizio. Il loro abbattimento, sebbene doloroso alla vista, è un passaggio obbligato per prevenire incidenti e permettere al parco di rigenerarsi. L’opposizione nasce dal timore che la promessa di sostituzione non venga mantenuta, o che il tempo di un nuovo albero, che cresce lentamente, non sia compatibile con la nostra impazienza. In fondo, le proteste sono un grido di dolore per la perdita e un’invocazione di fiducia: un appello a proteggere non solo i singoli alberi, ma l’intero sistema verde, accettando anche la sua inevitabile, seppur dolorosa, transizione.