La sindacalista Emanuela Isopo, membro della segreteria nazionale dell’Unione Inquilini, è stata colpita da quello che lei stessa definisce “l’ennesimo atto intimidatorio” sotto casa sua. La vettura della donna è stata vandalizzata con le gomme squarciate – un modus operandi già sperimentato contro di lei a fine settembre – e, in un gesto dal carico simbolico agghiacciante, con una Stella di David disegnata sul cofano. Questo secondo episodio consecutivo non solo innalza il livello della minaccia, ma introduce un elemento di confusione ideologica deliberata, usando un simbolo di lotta e identità piegandolo a “una guerra personale e malata”. La Isopo ha respinto con forza questo tentativo di dare un “alibi ideologico” alla vigliaccheria, sottolineando come l’attacco non la fermerà nella sua “battaglia collettiva”. L’atto vandalico mira a colpire la persona, ma la sua eco è un attacco diretto alla libertà e all’impegno sindacale.
L’attacco nel cuore del conflitto abitativo
L’atto intimidatorio contro Emanuela Isopo non è casuale; si inquadra chiaramente nel contesto delle sue battaglie sindacali nel territorio. La sindacalista ha chiarito che l’attacco è una risposta diretta al suo impegno quotidiano contro l’uso illecito del patrimonio pubblico e contro chi specula sull’emergenza abitativa. Il suo lavoro tocca interessi economici e reti di microdelinquenza che prosperano nell’assenza delle istituzioni. Quando si mettono in discussione affari opachi e clientelismi che ruotano attorno alla casa, è inevitabile che “qualcuno si senta autorizzato a colpire nell’ombra”. L’intimidazione, in questo scenario, diventa una vera e propria arma per difendere lo status quo di illegalità e lucro sull’emergenza sociale. La violenza sul bene personale è un messaggio brutale inviato all’intera organizzazione sindacale che lei rappresenta.
Il silenzio che pesa più del coltello
Il punto di vista più tagliente offerto dalla sindacalista non riguarda solo l’azione del vandalo, ma soprattutto l’omertà e l’indifferenza che circondano l’episodio. Emanuela Isopo denuncia il “silenzio assordante della politica locale”, accusando le istituzioni di non aver espresso alcuna presa di posizione pubblica. Questo silenzio, secondo la sindacalista, è un elemento di violenza aggiuntivo. La Isopo, che vive e opera quotidianamente nel territorio come dirigente e madre, percepisce l’inerzia istituzionale come un lasciapassare: “Se colpiscono una donna, una dirigente, una militante della casa, va tutto bene finché nessuno ne parla”. L’indifferenza, in questa chiave di lettura, è una forma di corresponsabilità. L’omissione di soccorso morale e pubblico da parte di chi amministra la cosa pubblica rafforza il senso di impunità dell’aggressore e lascia campo libero a chi usa l’intimidazione come strumento di potere.
La libertà sindacale come obiettivo
La conclusione della sindacalista è chiara e potente: l’episodio non è un “fatto privato”. È un attacco diretto alla libertà sindacale, all’impegno sociale e, in ultima analisi, al diritto di ogni cittadino di operare per il bene comune senza paura di ritorsioni. La sua battaglia, incentrata sul ripristino della legalità nel patrimonio pubblico e sulla lotta contro lo sfruttamento abitativo, è la ragione stessa dell’aggressione. Il coraggio di denunciare, di non cedere di fronte al coltello e al simbolo profanato, è l’unica risposta efficace all’intimidazione. La vicenda di Emanuela Isopo si pone come un monito per la politica e le istituzioni: la difesa del singolo sindacalista che lotta contro l’illegalità è la difesa stessa dei principi democratici e della giustizia sociale. Se le istituzioni non intervengono in modo fermo contro la violenza intimidatoria, rischiano di compromettere l’intera credibilità dello Stato in quei territori dove la microdelinquenza prospera nel vuoto di potere.