L’ospedale “Santissimo Gonfalone” di Monterotondo è finito sotto i riflettori non per l’eccellenza medica, ma per una preoccupante escalation di violenza che ha trasformato il suo Pronto Soccorso in una zona ad alto rischio per il personale sanitario. La denuncia lanciata dalla Cisl Fp Asl Roma 5 parla chiaro: due aggressioni fisiche in soli cinque giorni, un’accelerazione che si somma a episodi già registrati a Monterotondo e in altri presidi della Asl Roma 5. Questa non è più un’emergenza isolata, ma un rischio strutturato e continuo che espone quotidianamente infermieri e medici a condizioni di pericolo. Il personale, già sotto pressione per i carichi di lavoro e le responsabilità, si ritrova a dover affrontare pazienti fuori controllo, spesso psichiatrici o sotto l’effetto di sostanze, con conseguenze fisiche e psicologiche devastanti.

Il rischio quotidiano: la cronaca di un reparto sotto assedio
Le cronache degli ultimi giorni sono allarmanti e descrivono in modo vivido il clima di terrore. Il 21 novembre, un’infermiera è stata colpita da una paziente in cura al Serd (Servizio per le dipendenze), e un collega intervenuto in suo soccorso è stato raggiunto da sputi. Pochi giorni dopo, il 26 novembre, la violenza ha toccato nuovamente il reparto: una paziente psichiatrica si è scagliata contro l’infermiera del triage, tirandole i capelli e mettendole le mani al collo, per poi sferrare un calcio a un medico intervenuto. Questi episodi seguono l’aggressione di settembre, quando un giovane aveva causato panico e danneggiato la sala d’attesa. La gravità di questi atti non risiede solo nel danno fisico, ma nel messaggio che invia: il personale sanitario, che dovrebbe curare, è costretto a difendersi.
È facile attribuire l’aggressività alla sola condizione psichiatrica dei pazienti, ma la verità è che il fenomeno è più complesso e chiama in causa gravi carenze strutturali. I Pronto Soccorso sono il terminale di emergenze sociali che il sistema sanitario e assistenziale non riesce più a gestire altrove. La mancanza di posti letto adeguati in psichiatria, l’assenza di filtri territoriali efficaci e la gestione spesso inadeguata dei pazienti in crisi convogliano tutta la frustrazione e il disagio in un unico, vulnerabile luogo: il triage. Gli infermieri si ritrovano a fare da psicologi, poliziotti e mediatori, senza avere né la formazione specifica né, soprattutto, gli strumenti di sicurezza necessari per affrontare tali scenari. La violenza è il sintomo di un sistema che ha scaricato le sue responsabilità sui lavoratori in prima linea.
I sindacati non si sono limitati alla denuncia, ma hanno avanzato richieste specifiche per arginare l’escalation di violenze. La prima necessità è l’adozione immediata di procedure tecniche e funzionali per la gestione dei pazienti psichiatrici o potenzialmente aggressivi, stabilendo protocolli chiari per l’intervento tempestivo delle forze dell’ordine. Ma la proposta più innovativa, e al contempo controversa, riguarda l’introduzione delle bodycam per il personale sanitario. Presentate come deterrente documentato contro i comportamenti violenti, le telecamere offrirebbero trasparenza e materiale utile per le indagini legali, seguendo l’esempio di altre realtà sanitarie internazionali. A queste misure si aggiunge la richiesta di potenziare la vigilanza, attivare un tavolo permanente sulla sicurezza e garantire percorsi formativi obbligatori e ricorrenti per gestire le crisi. Cruciale, infine, è il supporto psicologico immediato per gli operatori traumatizzati.






