Non è solo un ingorgo, è un rito. Ogni settembre, con il suono della prima campanella, Roma si risveglia dal torpore estivo e si prepara a un’esperienza che ogni romano conosce fin troppo bene: il caos del traffico. È un fenomeno così prevedibile da essere quasi rassicurante, un promemoria che l’estate è finita e la città ha ripreso il suo ritmo frenetico. Quest’anno non ha fatto eccezione. Le strade si sono trasformate in un’unica, interminabile coda già dalle prime ore del mattino, mettendo a dura prova la pazienza di migliaia di persone. Fare solo quattro chilometri è diventato un’impresa che ha richiesto fino a trenta minuti, trasformando un breve tragitto in una vera e propria odissea quotidiana. I dati parlano chiaro, ma chiunque si sia trovato al volante sa che la realtà è ancora più frustrante.
L’onda del traffico si è propagata in ogni angolo della città. L’A24, una delle arterie principali che portano a Roma, si è bloccata già alle 6:30 del mattino, con code che si estendevano dalla circonvallazione Tiburtina fino all’uscita di Tor Cervara. Non è andata meglio sulla Salaria, dove le auto si sono incolonnate fino all’aeroporto dell’Urbe, e sulla via Aurelia, rallentata ulteriormente da lavori stradali che, in un momento come questo, sembrano un’aggiunta crudele al problema. Code sono state segnalate anche sulla via del Mare e sulla Cristoforo Colombo, strade che, come un imbuto, convogliano il flusso di veicoli verso il centro città. La situazione è degenerata con l’avvicinarsi dell’orario di ingresso a scuola, quando genitori e studenti si sono uniti ai pendolari, trasformando ogni strada in un parcheggio a cielo aperto, dove la meta sembrava irraggiungibile.
Il traffico non è solo un problema di mobilità; è una questione di tempo perduto, di stress accumulato e di opportunità mancate. Dietro ogni veicolo fermo c’è una storia: il genitore che cerca di non far tardi al lavoro dopo aver lasciato i figli, lo studente che rischia di perdere la prima ora di lezione, il corriere che accumula ritardi su ritardi. Ognuno, seduto nella propria auto, si ritrova a fissare il paraurti del veicolo che lo precede, con lo sguardo fisso e i pensieri che corrono più veloci di quanto l’auto possa mai fare. L’ingorgo diventa un momento di riflessione forzata, in cui la rabbia si mescola alla rassegnazione, e l’unica speranza è che il tempo di percorrenza indicato dal navigatore non si allunghi ulteriormente. È un tributo che ogni romano è costretto a pagare, un prezzo salato in termini di minuti, energie e salute mentale.
La tecnologia, in questo contesto, offre una prospettiva tanto utile quanto amara. Mentre siamo bloccati, le app di navigazione ci aggiornano costantemente sui nostri tempi di percorrenza, mostrando in tempo reale la cruda verità. Secondo TomTom, la velocità media registrata in città alle otto del mattino è stata di appena 18,9 km/h, un dato che fa sorridere amaramente chi vede con sospetto le “Zone 30”. La realtà del traffico romano, infatti, supera di gran lunga ogni limite imposto, trasformando intere aree della città in vere e proprie zone a passo d’uomo, a prescindere dai cartelli stradali. Le cifre sono implacabili: settantadue chilometri complessivi di code registrate, una linea ininterrotta di veicoli che testimonia la paralisi di una capitale.