Marco Valerio Marziale

Marco Valerio Marziale (Marcus Valerius Martialis) nacque ad Augusta Bilbilis (corrispondente all’odierna Calatayud, in provincia di Saragozza) il 1° marzo del 40 d. C.. Le notizie biografiche su Marziale provengono direttamente dai suoi numerosi scritti, in particolare dai suoi epigrammi. La stessa Augusta Bilbilis viene descritta dall’autore come una cittadina che sorgeva su un aspro monte.

Nato e cresciuto in una famiglia benestante, Marziale venne in seguito educato da importanti grammatici e retori in un’altra città della Spagna Tarraconense.

Marco Valerio MarzialeNel 64 d. C. (l’anno del grande incendio di Roma), all’età di 24 anni, Marziale decise di lasciare la Spagna per recarsi a Roma. Il suo desiderio era quello di trovare fortuna nell’Urbe come era successo anche ad altri letterati spagnoli. Sebbene avesse un carattere schivo (quindi incapace di accattivarsi gli animi altrui), cercò comunque di ingraziarsi le personalità letterarie più importanti della città. Riconoscendo il suo valore come scrittore, la famiglia degli Annei lo accolse nel suo circolo. Si trattava di un circolo iberico del quale Seneca era lo scrittore più importante e conosciuto. Proprio grazie all’amicizia con Seneca, Marziale si legò ai personaggi più illustri dell’Urbe, come Gaio Calpurnio Pisone.

Il felice periodo per Marziale era però destinato ad avere vita breve. Nel 65 d. C., infatti, l’imperatore Nerone scoprì una congiura ai suoi danni ordita proprio da Pisone. Nerone scatenò una terribile vendetta: vennero eliminati con una serie di processi politici tutti i suoi oppositori. Pisone e Seneca (anch’egli accusato di far parte del complotto) furono costretti al suicidio.

Marziale rimase quindi solo e fu costretto a frequentare nuovi circoli, senza però entrare nelle grazie di qualcuno. Divenne quindi un cliens, ovvero un cittadino che doveva adempiere una serie di obblighi nei confronti del suo patronus. Dovette per questo motivo guadagnarsi da vivere portando i suoi saluti ogni mattina ad un signore e talvolta accompagnarlo se quest’ultimo avesse dovuto fare dei giri per Roma. In cambio Marziale (come tutti i clientes) riceveva la sportula, cioè un cesto pieno di cibo o direttamente del denaro. Si trattava di una rigida procedura quotidiana, che prevedeva anche l’indossare ogni volta la toga e chiamare il magnate di riferimento “dominus”: se si contravveniva a questo regolamento, il cliens tornava a casa senza emolumento. Anche Marziale, ovviamente, doveva sottostare a tale rituale.

In base ai suoi scritti, sappiamo anche che il poeta cambiò due volte abitazione: la seconda casa (descritta da Marziale come un piccolo stanzino) era al Quirinale. Proprio al Quirinale Marziale instaurò un rapporto di clientela con i Flavii, i quali videro eletto imperatore proprio Vespasiano nel 69 d. C.. In questo periodo Marziale divenne anche poeta di corte.

Con i regni dei tre imperatori Flavi, la vita di Marziale migliorò. Poté infatti continuare con la scrittura di poesie, tanto che vennero pubblicate da Quinto Pollio Valeriano.

Nell’80 d. C., in occasione dell’inaugurazione dell’Anfiteatro Flavio, vennero organizzati i giochi voluti dall’imperatore Tito (subentrato a Vespasiano, che morì nel 79). Per celebrare l’avvenimento, Marziale pubblicò il suo primo libro di epigrammi: Liber de spectaculis, che gli procurò gloria e lodi. La raccolta contiene 33 o 36 epigrammi in distici elegiaci (distici composti da un esametro e un pentametro) che esaltano la bellezza dell’Anfiteatro e descrivono i vari spettacoli al suo interno. Nel libro si fa riferimento anche ad altri importanti monumenti dell’antichità (come le piramidi in Egitto e i palazzi di Babilonia), ma nessuno di questi poteva competere con la maestosità dell’Anfiteatro Flavio.

Grazie a questa opera Marziale ottenne da Tito lo ius trium liberorum, che comportava una serie di privilegi per i cittadini che avessero almeno tre figli, nonostante il poeta non fosse nemmeno sposato. Alla morte di Tito, divenne imperatore Domiziano, che confermò tali privilegi. In aggiunta Marziale venne nominato tribuno militare e ottenne anche il rango equestre.

Nell’84 d. C. il poeta ricevette in dono un terreno agricolo nei pressi di Nomentum (corrispondente all’odierna Mentana), dove si recava nel periodo primaverile ed estivo. Sappiamo però che non fu entusiasta per questo possedimento, tanto che gli dedicò un epigramma contenente diverse lamentele. Intorno all’84-85 d. C., Marziale pubblicò altri due libri di epigrammi, stavolta composti in monodistici. Si tratta di Xenia (“doni per gli ospiti”) e Apophoreta (“doni da portar via”), che però non furono accolti favorevolmente dalla critica. Xenia raccoglieva 127 epigrammi incentrati sui i doni scambiati durante i Saturnali. Apophoreta, invece, era composto da 221 epigrammi (più due introduttivi) che parlavano dei doni destinati ai commensali alla fine di un convivio. Deluso per lo scarso successo delle sue ultime opere, nell’87 d. C. Marziale si ritirò a Forum Cornelii (l’attuale Imola), salvo fare ritorno alcuni mesi dopo a Roma, poiché nostalgico dei salotti e dell’eccentrico ambiente dell’Urbe.

Dopo l’uccisione di Domiziano nel 96 d. C., salì al trono Nerva. Con Nerva prima e Traiano poi, Marziale venne nuovamente emarginato. Infatti i buoni rapporti con i Flavi mettevano in cattiva luce il poeta agli occhi dei nuovi regnanti (lo stesso senatore Nerva acconsentì all’assassinio di Domiziano). Marziale tentò comunque di ingraziarsi i nuovi governi, ma invano: il suo tempo a Roma era di fatto terminato.

Nel 98 d. C. Marziale decise quindi di tornare in Spagna, nella sua città natale. Durante il soggiorno nella sua Augusta Bilbilis, continuò a comporre opere letterarie, pubblicando altri libri di epigrammi.

A Bilbilis venne aiutato da una ricca vedova di nome Marcella, che ammirava le opere e la bravura del poeta. La donna gli donò una casa e un podere, dove Marziale trascorse gli ultimi anni di vita. Qui curò la seconda edizione del decimo libro e scrisse e pubblicò il dodicesimo nel 102 d. C..

Marziale morì nel 104 d. C., all’età di 64 anni.

Marco Valerio Marziale è riconosciuto come il più importante epigrammista in lingua latina. Di questo poeta ci sono giunti quindici libri di epigrammi, per un totale di 1561 componimenti.

In età flava l’epigramma si diffonde notevolmente, anche se è considerato il più umile dei generi, come testimonia lo stesso autore. Sebbene diversi anni prima Catullo si dedicò, tra gli altri generi, all’epigramma, solo con Marziale questa forma letteraria assurge a genere degno di letterarietà in epoca latina.

I suoi componimenti sono soprattutto incentrati sulla realtà che lo circonda e sui comportamenti umani. La sua poesia tratta i costumi dei suoi contemporanei con arguzia e cinismo: lo scopo era quello di divertire il lettore, anche ricorrendo a qualche espressione volgare. Marziale, comunque, non cita mai i nomi delle persone a cui faceva riferimento, anche perché l’imperatore Domiziano avrebbe punito gli scrittori che avessero diffamato qualcuno.

I doppi sensi, le ambiguità e i giochi di parole furono il vero marchio di fabbrica di Marziale. Il suo cinismo arriva addirittura a mettere alla berlina personaggi deboli e infelici, come infermi, prostitute, persone di brutto aspetto e donne anziane. Marziale quindi osserva lo spettacolo della realtà e dei personaggi che la compongono, accentuandone gli aspetti negativi e riconducendoli a degli stereotipi. L’autore mette in risalto perciò l’aspetto satirico per descrivere il malcostume che imperversava nella sua epoca.

Marziale nei suoi epigrammi, oltre a far satira sulla società che lo circondava, trattò anche temi più solenni (come funerali) e utilizzò toni adulatori in ambito politico. Questo perché l’autore cercava evidentemente di ingraziarsi le personalità politiche più importanti dell’epoca. Marziale non riuscì però mai ad esaudire i suoi sogni di fama e ricchezza, tanto che in alcuni epigrammi si lamentò della sua vita da cliens, una vita faticosa e travagliata.