15 luglio – Transvectio Equitum

15 luglio - Transvectio Equitum

Il questo giorno, i cavalieri, divisi per tribù e centurie, indossavano la trabea (una tunica color porpora decorata con righe rosse) e corone d’ulivo, portavano l’equipaggiamento militare e i premi ricevuti per compiere una processione, mentre i pontefici eseguivano dei sacrifici. La processione partiva da un tempio di Marte forse situato nel Campo Marzio (dove l’esercito attuava rituali di purificazione e attendeva di entrare in città prima di un trionfo) e arrivava al tempio di Castore e Polluce al Foro, dove i tribuni celeris compivano ulteriori sacrifici.

Quella della Transvectio Equitum risulta essere l’ennesima festività del mese di Luglio legata a una battaglia della storia romana. Gli storici romani raccontano che la battaglia del Lago Regillo, nel 494 a.C., combattuta contro i Latini guidati da Sesto Tarquinio (l’ultimo re di Roma) che cercava di ritornare sul trono, venne vinta dai Romani grazie all’intervento degli equites (i cavalieri). Questi ultimi impedirono la ritirata dei fanti combattendo con loro a piedi, e rimontati a cavallo inseguirono i Latini determinandone la totale sconfitta. Aulo Postumio Albino, il dittatore che guidava l’esercito romano, aveva nel frattempo invocato l’aiuto di Castore, dio che venne poi associato al’ordine degli equites, promettendogli l’edificazione di un tempio.

Dionigi di Alicarnasso riporta che in occasione della battaglia del Lago Regillo, Castore e Polluce apparvero sia nel campo di battaglia, per aiutare i Romani, sia nel Foro per annunciare la vittoria dei Romani dopo aver abbeverato i cavalli nella fontana di Giuturna, e per questo venne istituita la festa. Secondo Tito Livio e Valerio Massimo invece, furono i censori Quinto Fabio Massimo Rulliano e Publio Decio Mure a istituire la Transvectio Equitum nel 304 a. C. Valerio Massimo racconta che Quinto Fabio Massimo Rulliano dispose una sfilata dei Luperci prima della processione dei cavalieri.

Il 15 Luglio i Romani ricordavano anche l’anniversario della dedica del tempio di Castore (che insieme al gemello Polluce formava la coppia dei Dioscuri) nel Foro, situato nei pressi del tempio di Vesta.

Probabilmente Castore era già venerato dall’ordine equestre, forse a causa dell’influenza greca o etrusca, ma solo nel V secolo a.C. Roma gli dedicò un culto pubblico, proprio grazie al contributo della cavalleria nella sopradescritta battaglia. In questo modo lo Stato ricompensava gli equites, permettendo alla loro divinità protettrice di entrare nei culti statali.

Perciò, almeno inizialmente, il tempio venne dedicato solo a Castore. Il fratello Polluce non compariva nel culto pubblico, e soltanto in età imperiale il tempio venne dedicato ai Dioscuri, che i Romani chiamavano anche Castori. Polluce, nome latino del greco Polideuce, era una divinità guaritrice particolarmente venerata dalle donne forse a causa dell’influenza dei Misteri Eleusini.

I Dioscuri (letteralmente “figli di Zeus”) secondo una leggenda erano nati da un uovo, poiché Zeus si era unito a Leda con le sembianze di un cigno, ed erano fratelli della famosa Elena di Troia, oltre che di Clitemnestra (moglie di Agamennone). Un altro racconto mitologico li vuole figli di Leda e Tindareo, re di Lacedemone. Un’altra versione del mito indica come figli di Zeus solo Elena e Polideuce, mentre Castore sarebbe stato il figlio di Tindareo e quindi mortale. Nel mito, i due gemelli erano famosi per la loro abilità sportive: Castore nell’equitazione e Polideuce nel pugilato. Il racconto mitologico li vede come protettori dei naviganti, giacché Poseidone gli aveva concesso il potere di dominare vento e mare.

In realtà, la vicenda della battaglia del Lago Regillo sembra tradurre una leggenda greca che raccontava come i Locresi avessero sconfitto i Crotoniati sul fiume Sagro, grazie all’aiuto dei Dioscuri: due giovani imponenti in abiti stranieri comparsi durante la battaglia.


La cavalleria romana era originariamente composta da soldati a cui veniva concesso un cavallo di proprietà dello Stato (equus publicus) divisi in 18 centurie secondo la riforma di Tullio Ostillio (terzo re di Roma), e comandati dai censori. I cavalli pubblici potevano essere affidati anche a chi già possedeva un cavallo e si era distinto sul campo. Gli equites potevano essere puniti con la sottrazione del cavallo e con la sanzione di una tassazione maggiore rispetto ai concittadini.

La Equitum Romanorum Probatio, ossia l’ispezione dei membri dell’ordine equeste (equitum censum, Aulo Gellio, Noctes Atticae, libro IV, 20, 11; o Recognitione equitum, Svetonio, De Vita Caesarum, Augusto, XXXVIII) avveniva in pubblico e nel Foro, dove ogni cavaliere veniva chiamato per nome dal censore, al cui cospetto si avvicinava insieme al proprio cavallo. Se il magistrato non trovava offese nell’atteggiamento del cavaliere né mancanze nel suo equipaggiamento, lo avrebbe fatto passare avanti (transduc equum, Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium libri IX, libro IV, 1, 10); altrimenti, se fosse stato scoperto indegno o se si fosse riscontrata una trascuratezza nella cura dell’animale, sarebbe stato accusato di negligenza (inpolitia), privato del rango e costretto alla vendita del cavallo (il cui ricavato sarebbe finito nelle casse dello Stato come risarcimento). Anche l’equites che avesse voluto lasciare il rango di propria volontà avrebbe dovuto passare un esame del proprio comportamento tenuto durante le campagne militari, il quale avrebbe stabilito il permesso del censore alle dimissioni con onore o con disonore. Solitamente, il cavaliere che entrava in Senato aveva il diritto di dimettersi dal suo ruolo di cavaliere.

Rilievo con scena di adorazione dei Dioscuri, Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps, Roma (di A. Patti).

Antonietta Patti
Archeologa


BIBLIOGRAFIA

  • Aulo Gellio, Noctes Atticae, libro IV, 20, 11; libro XI, 6;
  • M. Di Marco, Castore e Polluce, in “Enciclopedia dei ragazzi”, 2005;
  • Dionigi di Alicarnasso, Ῥωμαικὴ ἀρχαιολογία (Antichità Romane) VI, 13;
  • A. Ferrari, Dizionario di Mitologia, UTET, Novara 2015;
  • Sesto Pompeo Festo, De verborum significatu, 54, 108;
  • Tito Livio, Ab Urbe Condita, libro IX, 46; libro XXV, 40; libro XXXIX, 19, 44; libro XXIX, 37;
  • Plutarco, Βίοι Παράλληλοι (Vite parallele), Pompeo, XXII.
  • C. Svetonio Tranquillo, De Vita Caesarum, Augusto, XXXVIII;
  • Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium libri IX, libro II, 2, 9; libro II, 9, 6; libro IV, 1, 10.
Share