15 ottobre – October Equus

Alle Idi di Ottobre si teneva una corsa di bighe e trighe, cioè carri guidati rispettivamente da 2 e 3 cavalli, nel Trigarium, un’area del Campo Marzio. In età imperiale è probabile che il luogo del sacrificio sia stato spostato vicino a un cippo chiamato Ciconiae Nixae, come indicato nel Calendario Filocaliano (VI secolo d.C.).
Il cavallo a destra (il conduttore) del carro vincitore veniva scelto come rappresentate dell’intera squadra. L’animale veniva chiamato October Equus e coronato con del pane come vincitore, in una probabile associazione al culto di Vesta. Dopodiché il cavallo veniva condotto all’altare di Marte nel Campo Marzio per essere sacrificato. Il sacrificio veniva eseguito probabilmente dal flamen Martialis, che in qualità di flamines aveva il divieto di toccare i cavalli, era perciò costretto a uccidere l’October Equus colpendolo con una lancia.
La festa si concludeva con una gara tra i Sacravienses e i Suburani: rispettivamente gli abitanti dell’Urbe (Via Sacra) e quelli che abitavano fuori della città (Suburra). Questi si sfidavano per ottenere la testa dell’October Equus come trofeo: i primi l’avrebbero appesa sulla Torre Mamilia, i secondi invece alla Regia. Nella testa del cavallo i Romani vedevano un simbolo di fertilità, testimoniata dall’usanza di seppellire la testa di un cavallo nei terreni da coltivare; come anche della forza vitale, tanto che spesso i defunti venivano ritratti nelle steli mentre cavalcano, indicando la testa dell’animale.
La coda del cavallo invece veniva subito portata alla Regia e posta sul focolare, dove il sangue colava per essere poi usato dalle Vestali per la preparazione del suffimentum, utile nel rito di purificazione delle greggi durante i Palilia.
Il rituale presenta della particolarità molto curiose, a partire dalla vittima sacrificale: questa è l’unica festa romana che prevedeva il sacrificio di un cavallo. Plutarco e Festo forniscono alcune spiegazioni sulla scelta dell’animale. Secondo una prima ipotesi, sacrificare un cavallo simboleggiava la vendetta per la presa di Troia, avvenuta per mezzo del cavallo in cui si erano nascosti i guerrieri greci che avevano così ingannato i troiani, poiché secondo la leggenda i Romani discendevano dai Troiani. Una motivazione che Polibio definì “infantile”, dato che l’uso di sacrificare un cavallo prima delle battaglie era conservato da molte popolazioni. Un’altra spiegazione punta alle caratteristiche dell’animale, visto come una creatura vigorosa e bellicosa, gradita a Marte in qualità di divinità della vittoria e della prodezza militare. In ultima analisi, Plutarco fornì una spiegazione antropologica: il cavallo veniva inteso come simbolo di forza e coraggio, due caratteristiche che consentono di sconfiggere chi non le ha.
Il rituale avveniva al termine della stagione agricola e della fine delle guerre, quando i soldati rientravano in patria e smettevano di essere guerrieri per tornare a essere cittadini. Il carattere militare del rito si evince sia dal luogo nel quale si svolgeva, il Campo Marzio era infatti un’area extraurbana adibita alle esercitazioni militari e al pascolo dei cavalli, sia dall’animale che veniva sacrificato, usato in battaglia (anche se non per la guida di carri).

Dettaglio della decorazione della spalla di un hydria attica a figure nere attribuita al Pittore di Priamo, VI secolo a.C., Metropolitan Museum of Art, New York (di Marie-Lan Nguyen (2011), CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=13879854).
Antonietta Patti
Archeologa
BIBLIOGRAFIA
- G. Dumézil, Feste romane, Il Melangolo, Genova 1989;
- A. Ferrari, Dizionario di Mitologia, UTET, Novara 2015;
- Sesto Pompeo Festo, De verborum significatu, 178-179, 220, 246;
- Ovidio Nasone, Fasti, libro IV, 731-734;
- Polibio, Ἱστορίαι (Storie), XII, 4;
- Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, vol. XXVIII, 146.