17 febbraio – Quirinalia

17 febbraio - Quirinalia

Il 17 Febbraio era certamente l’ultimo giorno dei Fornacalia, il giorno in cui coloro che non avevano potuto compiere i sacrifici prescritti nella propria curia, avrebbero potuto farlo nel Foro Romano. Per questo motivo la festa era chiamata anche stultorum feriae (“festa degli stolti”, “festa dei distratti”).

Infatti, mentre i Fornacalia venivano celebrati contemporaneamente ma separatamente in ciascuna curia, i Quirinalia col quale si concludevano, erano una festa comune a tutte le curie festeggiata nel Foro: lì il popolo romano si riuniva sotto la protezione di Quirino.

Quirinus è una parola che potrebbe derivare in parte da co-uiria (“curia”) e in parte da co-uiri-tes (“Quiriti”, così venivano chiamati i Romani), indicando la totalità dei cittadini romani nel loro sistema civico, unito ma ordinato nelle curie.

E dato che il farro era uno dei principali cereali della dieta romana, essenziale alla sopravvivenza della popolazione, non sorprende il legame tra il dio Quirino e la festa della tostatura del farro.

In questo giorno si festeggiava anche il dio Quirino, con rituali officiati dal suo sacerdote, il flamen quirinalis, che si svolgevano nel suo tempio situato sul colle Quirinale.

Quirino era il nome di Romolo divinizzato dopo la morte. La leggenda narra che il re fosse impegnato alla Palude della Capra o al Comitium, quando improvvisamente si scatenò una tempesta che oscurò il cielo e fece fuggire i più. Quando il sole tornò a splendere, i Romani si accorsero che Romolo era scomparso. Riunito al padre Marte, Romolo era stato divinizzato col nome di Quirino.

Sebbene la tradizione più conosciuta riporti la scomparsa improvvisa e/o l’assassinio di Romolo come un fatto successo a Luglio, evento ricordato con la celebrazione dei Poplifugia, una versione della leggenda riporta il 17 Febbraio come data di morte del sovrano.

Il nome “Quirino” deriverebbe dalla parola curis (“lancia”), spesso usata come  epiteto poiché si rifaceva alla bellicosità di Romolo, il fondatore e primo re di Roma. Tuttavia, l’epiteto Quirinus è stato usato dagli scrittori latini anche per altre divinità, come Marte, Giano e Augusto.

Probabilmente Quirino era il nome di un’arcaica divinità sabina venerata sul colle Quirinale, dove si stanziò la comunità sabina dopo l’accordo tra Romolo e Tito Tazio, in seguito al ratto delle Sabine. Sposo di una certa Hora, Quirino faceva parte di una antica triade posta a protezione della città di Roma, insieme a Giove e Marte.

Una versione del mito racconta che il tempio del dio sul colle Quirinale fosse stato ordinato da Romolo stesso, quando, dopo la scomparsa improvvisa, apparve a Proculo Giulio per informarlo della sua apoteosi. Plinio lo ha ricordato come uno dei più antichi edifici di culto di Roma.

Le due piante di mirto davanti l’ingresso del tempio di Quirino erano conosciute coi nomi patricia e plebeia, i quali rimandano ai termini “patrizio” e “plebeo”, le classi sociali in cui erano divisi i cittadini romani. La leggenda narra che la prima pianta crebbe forte, per appassire durante il periodo delle guerre civili, proprio mentre la seconda cominciava a crescere vigorosa.

Il tempio di Quirino fu votato il 17 Febbraio del 325 a.C., ma dedicato nel 293 a.C.; fu abbellito grazie al bottino delle guerre sannitiche. La posizione oggi più gettonata per la sua localizzazione è una zona nei pressi di Largo Santa Susanna. L’edificio era diptero (circondato da una doppia fila di colonne) di ordine dorico e ottastilo (con otto colonne lungo la facciata).

Romolo, uccisore di Acrone, porta le sue spoglie al tempio di Giove dipinto di Jean Auguste Dominique Ingres, 1812

Antonietta Patti
Archeologa


BIBLIOGRAFIA

  • A. Carandini, La nascita di Roma, Einaudi, Torino 1996, pag. 572;
  • A. Ferrari, Dizionario di Mitologia, UTET, Novara 2015;
  • Sesto Pompeo Festo, De verborum significatu, 255;
  • Tito Livio, Ab Urbe Condita, libro X, 46;
  • P. Ovidio Nasone, Fasti, libro II;
  • Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, vol. VII, 213; vol. XV, 120-121;
  • G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, Wentworth Press, Monaco 1912, p. 159;
  • G. Vaccai, Le feste di Roma, Edizioni Mediterranee, Torino 1927, p. 220;
  • Marco Vitruvio Pollione, De architectura, III, 2, 7.
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