17 marzo – Agonalia di Marte

Agonalia di Marte

La festività degli Agonalia ricorreva in quattro giorni diversi del calendario romano. La particolare festa del 17 Marzo era chiamata agonium Marti ed era dedicata al dio Marte.

La tradizione riporta che il secondo re di Roma, Numa Pompilio, aveva istituito la festa dell’agonium in onore di Giano, da celebrare il 9 Gennaio; ma col passare del tempo vennero aggiunte altre 3 date alla festa. Solitamente, la vittima sacrificale designata per questa festività era il montone.

Tuttavia, il significato della festa e del nome era un mistero già per gli studiosi latini, i quali offrirono diverse ipotesi. Secondo Ovidio, il nome della festa deriverebbe dalla locuzione “Ago ne” con la quale il rex sacrorum chiedeva il permesso degli dei per officiare il sacrificio.

Secondo Festo invece, “agonia” era il termine utilizzato per indicare un determinato tipo di bestiame, dal quale si prendeva un esemplare per il sacrificio, e che finì per essere usato per designare la vittima sacrificale del rito. Lo stesso autore indicò com’era possibile che gli Agonalia fossero le festività in onore di un’antica divinità chiamata Agonius. Festo riportò anche il possibile collegamento tra questa festa e il nome del colle dedicato al dio Quirino, il Quirinale, anticamente chiamato Agonalis.

Nella mitologia romana, Marte è indicato quale figlio di Giove e Giunone o della sola Giunone, che avrebbe toccato dei fiori segreti indicati da Flora per poterlo concepire da sola. Era principalmente noto come Mars Gradivus (“colui che va in battaglia”, “colui che guida”), dio della guerra e delle strategie militari (a differenza dell’Ares del pantheon greco), ma era anche custode di attività agricole e dell’allevamento, per le quali era venerato anche con l’epiteto di Silvanus.

Il mito lo indicava come padre di Remo e Romolo, una sorta di indiretto fondatore della stessa Roma, e nella sua relazione con lo stato romano gli era stato affibbiato anche il soprannome di Quirinus, anche perché Quirino era il nome con cui veniva venerato dai Sabini. Il dio era però conosciuto anche con altri e numerosi epiteti: conservatori (“protettore”), propugnatori (“difensore”), patri (“padre”), pacifero (“portatore di pace”), victor (“vincitore”), ultor (“vendicatore”).

Marte veniva raffigurato come un uomo giovane e prestante, sia in nudità che in armatura, con elmo, corazza, scudo e armato di lancia e spada; spesso a piedi, molto più raramente su un carro trainato da cavalli verso la battaglia.

In primavera, per il dio Marte veniva celebrato il rituale del ver sacrum (“la primavera sacra”), col quale si consacravano a una divinità determinati animali, piante e persino persone nate nella primavera seguente al voto.

Questo rituale risale ai tempi dell’Italia preromana: quando un villaggio diveniva troppo popoloso e i suoi abitanti non riuscivano più a soddisfare i propri bisogni con le risorse del territorio, veniva scelto un gruppo di bambini per creare un nuovo centro abitato. I bambini venivano consacrati agli dei, non per essere sacrificati, ma per crescere fino a quando non sarebbero stati pronti per lasciare il villaggio e non farvi più ritorno. Al gruppo di giovani fondatori veniva assegnato un animale sacro a una divinità, come il picchio, simbolo di Marte.

I Romani assimilarono questo rituale e lo utilizzarono in momenti di difficoltà, come durante la Seconda Guerra Punica, quando i magistrati dedicarono numerosi animali agli dei, dietro il suggerimento dei Libri Sibillini.

Inoltre, ogni cinque anni, all’altare di Marte venivano sacrificati un bue, un ariete e un maiale: la suovetaurilia, il sacrificio più sacro e costoso del mondo romano.

Antonietta Patti
Archeologa

Statua di Marte, Louvre. Di Guillaume Coustou – Opera propria Selbymay (2017), CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=64742056


BIBLIOGRAFIA

  • A. Ferrari, Dizionario di Mitologia, UTET, Novara 2015;
  • Sesto Pompeo Festo, De verborum significatu, 9;
  • Tito Livio, Ab Urbe Condita, libro XXII, 9-10; XXXIV, 44;
  • P. Ovidio Nasone, Fasti, libro I, 319;
  • Ambrogio Teodosio Macrobio, Saturnalia, I, 4, 15.
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