23 luglio – Neptunalia

In questo giorno sacro a Nettuno, i Romani si allontanavano dalla città per andare a festeggiare nelle vicinanze di fonti e corsi d’acqua, sotto tende costruite con elementi vegetali chiamate umbrae (“frasche”). Il nome di queste costruzioni estemporanee, insieme al fatto che venisse sacrificato un toro nero, suggeriscono un legame tra il dio onorato e il mondo ctonio.
Da un’ode di Orazio dedicata alla fonte Bandusia è possibile intravedere una descrizione del clima della festa, nella quale probabilmente si consumava vino in quantità, mentre un capretto, dopo essere stato purificato nell’acqua, veniva sacrificato. Tutto in un’atmosfera allegra, tra canti, balli e vino.
Inoltre, importanti corse di carri e cavalli si svolgevano nel Circo Massimo, dirette da un pretore, e finanziate dallo Stato con una modesta e simbolica partecipazione cittadina ricavata dalle vendite di pesce nei giorni precedenti la festa.
Per i romani, l’estremo calore del sole poteva causare l’emissione di fumi nocivi che avrebbero potuto determinare anche l’inizio di epidemie. Feste come quella dei Neptunalia, connesse all’acqua, avevano probabilmente lo scopo di allontanare il caldo torrido, tipico dell’estate mediterranea, che culminava tra il 24 Luglio e il 26 Agosto nei cosiddetti “giorni della canicola” (al sorgere della stella Sirio, la più importante della costellazione del Cane).
Una seconda ipotesi prende in considerazione, come per i Lucaria, le prescrizioni degli agronomi riguardo, in questo caso, le operazioni di canalizzazione e regolarizzazione di corsi d’acqua e condutture. L’elemento dell’acqua è essenziale per la vita umana, specialmente nella stagione più calda, e la festa dei Neptunalia avrebbe potuto fungere da invocazione a Nettuno, perché concedesse abbondanza di acqua e il suo “addomesticamento” da parte dell’essere umano.
Inoltre, probabilmente l’altare edificato a Nettuno nell’area del Circo Flaminio nel 206 a.C. fu dedicato nel giorno dei Neptunalia. Nella stessa area doveva sorgere un tempio a lui dedicato, anche se alcuni studiosi propendono per una collocazione nel Campo Marzio. Di certo il santuario era stato costruito nel II secolo a.C. per volere di Gneo Domizio Enobarbo, un antenato dell’imperatore Nerone. Al suo interno erano conservate numerose opere d’arte, come un gruppo scultoreo raffigurante Nettuno, Teti e Achille circondati da tritoni e nereidi, realizzata da Skopar Minor.
La festività dei Neptunalia era dedicata al dio Nettuno che in età arcaica era il dio esclusivamente dei corsi d’acqua interni e delle fonti, con un’importante influenza sul mondo agricolo in merito all’irrigazione dei campi. Neptunus veniva venerato insieme a Salacia, suo corrispettivo femminile, dea del mare aperto.
Essendo un popolo dell’entroterra, almeno all’inizio, i Romani trascurarono del tutto le prerogative marine di un dio come Nettuno. Soltanto dopo le prime vittorie in battaglie navali, Nettuno cominciò a essere identificato col greco Poseidone, anche in qualità di dio del mare (in special modo del Mar Mediterraneo) e dei terremoti.
Nel racconto mitologico, Poseidone era il penultimo figlio dei titani Crono e Rea, inghiottito dal padre come quasi tutti i suoi fratelli, venne liberato da Zeus. Insieme a quest’ultimo e ad Ade si spartì il governo sul mondo, scegliendo l’elemento acquatico. Secondo gli antichi, il palazzo di Poseidone sorgeva in fondo al Mar Egeo, nei pressi dell’isola di Eubea, dove egli allevava i cavalli di bronzo con la criniera d’oro che aveva creato, secondo una versione, nel tentativo di vincere la disputa con Atena per la tutela della città di Atene e dell’intera Attica. I cavalli, insieme al toro e ai delfini erano i suoi animali sacri.
Uno dei suoi attributi più famosi è il tridente, che il dio ottenne in dono dai Telchini: gli abitanti dell’isola di Rodi, dove Poseidone venne nascosto dalla madre nel tentativo di sottrarlo al vorace Crono. In quel luogo, una volta cresciuto, il dio si unì a una delle sorelle dei Telchini, dalla quale ebbe sei figli e una figlia di nome Rode che avrebbe poi dato nome all’isola. Tuttavia, la moglie di Poseidone/Nettuno si chiamava Anfitrite, una delle Nereidi o Oceanine (le ninfe dei mari), dalla quale concepì Tritone, una creatura dal busto umano e dalla coda serpentiforme o di pesce.

Rilievo con Nettuno e Anfitrite, Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps, Roma (di A. Patti).
Antonietta Patti
Archeologa
BIBLIOGRAFIA
- G. Dumézil, Feste romane, Il Melangolo, Genova 1989;
- A. Ferrari, Dizionario di Mitologia, UTET, Novara 2015;
- Sesto Pompeo Festo, De verborum significatu, 377;
- Tito Livio, Ab Urbe Condita, libro XXVIII, 11;
- Quinto Orazio Flacco, Odi, libro III, carme XIII.