30 maggio – Ambarvalia

Ambarvalia

Già in epoca repubblicana, in questo giorno si svolgeva un rituale finalizzato alla richiesta di protezione dei campi, la maturazione delle messi e un raccolto abbondante, tramite un’invocazione a Cerere. È possibile che a Maggio, mese che precedeva l’inizio di quello dei raccolti, si praticassero ulteriori riti, forse auspici o sacrifici, compiuti dagli auguri per le messi, noti col termine vernisera.

Le notizie riguardo al rito pubblico degli Ambarvalia sono scarse e frammentarie. Strabone riportò che il rituale doveva svolgersi in una località chiamata Festi, tra il V e il VI miglio della Via Appia che allora coincideva col confine dell’ager romanus (il territorio di Roma). Va ricordato che alcuni autori ritengono che “festisia l’abbreviazione della formula “finis esto” per indicare il termine del territorio romano.
Una processione nelle campagne rappresentava il rituale di purificazione che comprendeva un’invocazione a Marte e il sacrificio di
suovetaurilia: un toro, un montone e un maiale. Festo precisa che il rito era compiuto da due Frater Arvales* (appartenenti alla confraternita connessa al culto della fertilità della terra), e Macrobio specifica che il rito lustrale aveva il significato di circumire (“girare attorno”): prima dell’immolazione, gli Arvali guidavano le vittime sacrificali sopraindicate attorno a una specifica area, creando uno spazio purificato al quale si garantiva la fertilità e la prosperità.

Non è certo che la festa pubblica degli Ambarvalia esistesse ancora in epoca imperiale; fu infatti probabilmente sostituita da un rituale che i Fratelli Arvali compivano in onore della Dea Dia: il nome di questa divinità legata alla fertilità dei campi significa “Dea del Cielo Splendente”. Ella veniva invocata per la maturazione delle messi, era forse originariamente identificata con Cerere, erede di uno dei suoi aspetti, il cui culto ha finito per creare una divinità separata. Le pratiche per la sua venerazione si celebravano in un bosco sacro (lucus) dedicatole, vicino il fiume Tevere, a circa sei miglia lungo la Via Ostiense, dov’era
accompagnata da un’altra divinità ctonia, forse la Madre dei Lari. Col tempo l’area sacra venne dotata di numerose strutture: il tempio della dea, un
cesareum (luogo nel quale erano esposte le effigi degli imperatori divinizzati), un complesso termale e un circo.

Le celebrazioni in onore di Dea Dia si tenevano in un giorno, tra il 27 e il 30 Maggio, scelto dagli Arvali in una riunione pubblica che forse si svolgeva a Gennaio nell’area del tempio della Concordia al Forum Romanum o del Pantheon. In un unico rito, che partiva con le offerte nella dimora urbana della Dea, ossia la domus del magister degli Arvali, si procedeva con alcune celebrazioni nel santuario, per poi tornare nella casa privata del sacerdote, in una rituale ripetizione di gesti.

Virgilio e Tibullo riportano che i rituali privati degli Ambarvalia in età imperiale consistevano nel sacrificio dei cosiddetti ambarvales hostiae: una vitella, o un’agnella, oppure una scrofa, offerte probabilmente a Cerere. Nei menologia rustica, un tipo di calendario romano che forniva specifiche indicazioni in campo agricolo, sono spesso citati sacrifici come quello appena descritto, compiuti dai proprietari delle terre o dalle comunità locali, che non avvenivano in una data fissa, ma che certamente doveva essere a Maggio.

*I Frater Arvales erano i sacerdoti di una confraternita guidata da un magister eletto ogni anno e composta da 12 membri provenienti da famiglie patrizie. Il numero pare derivi dai dodici figli di Acca Larentia, moglie del pastore Faustolo e madre adottiva di Romolo e Remo: mito che lega gli Arvali anche alla Madre dei Lari, identificata con Acca Larentia divinizzata. Ogni appartenente al collegio portava una corona di spighe di grano intrecciate con nastri sacri, simboli di abbondanza. Molti dei loro riti furono scolpiti sui rilievi che abbellivano il tempio della Dea Dia sulla Via Ostiense, ma la loro sede si trovava in un tempio poco fuori Roma lungo la Via Campana.
Gli Arvali si occupavano anche di un’altra festa che copriva tre giorni del mese di Maggio, con
rituali di espiazione, offerte a Diana, benedizioni di spighe di grano, un banchetto rituale e il canto del Carmen Arvale, con le sue invocazioni a Marte, ai Lari e a Semone (divinità romana di origine umbro-sabina, identificata dapprima con Giove e poi con Ercole).

Immagine

Il Tempio di Dia (o degli Arvali) è un santuario di epoca augustea, sito nella via omonima, presso il ristorante La Tavernaccia, alla Magliana vecchia. Foto di Andrea Saracini, Arvaliastoria.it

Antonietta Patti
Archeologa


BIBLIOGRAFIA
A. Ferrari, Dizionario di Mitologia, UTET, Novara 2015;
Ambrodio Teodosio Macrobio, Saturnalia, III, 5, 7;
P. Ovidio Nasone, Fasti, libro V;
Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, vol. XVIII, 2, 6;
Sesto Pompeo Festo, De verborum significatu, 5; 379;
Strabone, Ἱστορικὰ ὑπομνήματα (Storia Universale), V, 3, 2;
Albio Tibullo, Corpus Tibullianum, II, I;
P. Virgilio Marone, Georgiche, I, 338-350.

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