Roma e la minaccia di Brenno

Roma e la minaccia di Brenno

Tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a.C., varie tribù celtiche provenienti dall’Europa settentrionale iniziarono un lungo processo migratorio verso sud, occupando territori oggi corrispondenti a Francia, Spagna e Gran Bretagna.

In questo contesto, i Romani, freschi vincitori sulla potente città etrusca di Veio nel 396 a.C., avevano rafforzato la propria fiducia nelle capacità militari. Con la riforma dell’esercito, Roma sembrava pronta a dare il via a una nuova fase di espansione nella penisola italiana. Tuttavia, invece di concentrarsi sulle conquiste, dovette affrontare una minaccia imminente: la difesa dei propri confini.

Intorno al 400 a.C., alcune tribù celtiche raggiunsero l’Italia settentrionale, tra cui i Galli Senoni, una popolazione particolarmente bellicosa guidata dal capo Brenno. I Senoni si spinsero fino alla provincia etrusca di Siena, un’area sotto l’influenza romana. Gli abitanti di Clusium (l’odierna Chiusi), temendo per la loro città, chiesero aiuto a Roma, che rispose all’appello. Questo intervento rese Roma il principale nemico dei Senoni.

Nel 390 a.C., i Galli Senoni avanzarono attraverso l’Etruria e giunsero nel Lazio. I Romani, colti di sorpresa, organizzarono un esercito composto da 15.000 uomini, contro i 30.000 guerrieri galli. Il 18 luglio dello stesso anno, presso il fiume Allia, affluente del Tevere, ebbe luogo lo scontro. Le forze romane, schierate rigidamente, non riuscirono a reggere l’impatto della tattica più flessibile dei Senoni. L’ala destra, posizionata vicino a Crustumerium, fu sopraffatta, e l’intero schieramento romano collassò, portando a una carneficina. Molti soldati tentarono di fuggire attraverso il Tevere, ma le pesanti armature causarono numerose morti per annegamento. Altri riuscirono a trovare rifugio nella città di Veio, conquistata solo pochi anni prima.

Tito Livio racconta che alcuni superstiti, ritirandosi in ordine sparso a Roma, dimenticarono di chiudere le porte della città, permettendo ai Galli di penetrarvi facilmente. Brenno e i suoi uomini saccheggiarono Roma, incendiando edifici pubblici, tra cui l’archivio di Stato, facendo perdere preziosi documenti storici. Entrati nel Senato, i Galli uccisero i senatori rimasti, scatenando il caos.

Nonostante il saccheggio, il Campidoglio continuava a resistere. Un episodio leggendario racconta che le oche sacre del tempio di Giunone, disturbate dai movimenti notturni dei Galli, svegliarono Marco Manlio, che riuscì a organizzare la difesa e respingere gli assalti. Tuttavia, Roma era stremata dalla fame e dalla distruzione, e anche i Galli, colpiti da un’epidemia, mostravano segni di cedimento.

Brenno propose il ritiro in cambio di 1.000 libbre d’oro. Durante la pesatura, secondo la tradizione, i Galli truccarono le bilance per ottenere un riscatto maggiore, al che Brenno pronunciò la famosa frase: “Vae victis!” (“Guai ai vinti!”).

Nel momento di maggiore disperazione, Marco Furio Camillo, richiamato dall’esilio ad Ardea e nominato dittatore, marciò verso Roma. Rifiutando di accettare l’umiliazione del riscatto, dichiarò: “Non auro, sed ferro, recuperanda est patria!” (“Non con l’oro, ma con il ferro si difende la patria!”). Camillo sconfisse i Senoni in battaglia, liberando Roma.

La città, però, uscì da questa vicenda profondamente indebolita: le risorse economiche erano esaurite e l’immagine di una Roma vulnerabile incoraggiava le popolazioni vicine a ribellarsi. Nei decenni successivi, Roma affrontò nuove guerre e conflitti interni tra patrizi e plebei.

Nel 367 a.C., con l’approvazione delle Leggi Licinie Sestie, venne introdotta una riforma significativa che garantiva ai plebei l’accesso al consolato. Solo nella seconda metà del IV secolo a.C., Roma riprese il suo processo di espansione, concentrandosi verso il Meridione della penisola italiana.

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