La tecnica edilizia dell’epoca romana si caratterizzava per la sua evoluzione e adattabilità, influenzata dai materiali disponibili in diverse regioni. L’ampio utilizzo di murature in mattoni e calcestruzzo rese fondamentale l’uso della malta, una miscela di calce come legante e sabbia come aggregato, mescolati con acqua.
I costruttori romani si distinguevano per la loro abilità nella cottura della calce, migliorandone le proprietà leganti, e nella calibratura precisa delle proporzioni dei componenti della malta. Vitruvio consigliava di mescolare tre parti di sabbia di cava con una di calce, mentre per la sabbia di fiume o di mare suggeriva un rapporto di due a uno. Egli sottolineava inoltre che l’aggiunta di frammenti di coccio finemente setacciati poteva migliorare ulteriormente il composto (De Architectura, II, V).
Un significativo progresso si registrò con la scoperta delle qualità coesive della pozzolana, una sabbia a grana fine proveniente dall’area vesuviana. Questa si rivelò ideale per consolidare edifici e, secondo Vitruvio, anche per stabilizzare i moli sottomarini. Il calcestruzzo, ottenuto combinando malta con ghiaia o frammenti di pietra, offriva la possibilità di adattare l’aggregato in base alle esigenze strutturali, come incrementare l’elasticità o ridurre il peso. Un esempio è rappresentato dall’uso della pietra pomice, leggera e porosa, nella sommità della cupola del Pantheon.
Le più frequenti tecniche di assemblaggio delle parti della muratura, a seconda del materiale o della forma dei conci, erano:
Quando si lavorava con materiali come il tufo morbido, si tagliavano grandi blocchi parallelepipedi che venivano poi disposti in file di uguale altezza, creando quella che veniva chiamata opus quadratum. Se, invece, si utilizzava pietra calcarea dura, come il travertino, ogni blocco veniva modellato in forma poligonale, dando origine all’opus poligonalis.
Quando si versava cemento in casseforme di legno o tra due muri di mattoni o pietre, si realizzava l’opus caementicium, noto anche come opera cementizia. Questo metodo serviva a formare il nucleo portante della struttura muraria, mentre il rivestimento esterno veniva costruito contemporaneamente al muro stesso.
L’opus reticulatum, ampiamente utilizzato dalla prima metà del I secolo a.C. fino all’epoca giulio-claudia, prevedeva l’uso di piccoli blocchi piramidali di pietra, le cui basi formavano una rete regolare ben visibile. Una variante di questa tecnica era l’opera quasi reticolata.
Nell’opus incertum, le pietre avevano forme irregolari e sembravano disposte in modo casuale. La struttura veniva poi ricoperta con uno strato di malta liquida che si espandeva uniformemente attraverso la muratura.
A partire dall’Età Augustea, divenne comune l’uso del mattone cotto in fornaci, dando origine all’opus latericium, una tecnica che continuò a essere utilizzata per tutto il periodo imperiale. Nel tempo, lo spessore della malta e dei mattoni stessi, così come il colore della malta, variarono, permettendo agli studiosi di stabilire le fasi cronologiche delle costruzioni.
Il mattone veniva solitamente impiegato in corsi regolari, noti come opus testaceum, ma poteva essere combinato con pietre disposte in strati, creando l’opus mixtum, una tecnica che divenne popolare soprattutto nel II secolo d.C.