7 giugno – Ludi Piscatorii

Festeggiamento in onore di Tiberino, personificazione e nume tutelare del fiume Tevere, celebrato proprio dalla corporazione dei pescatori del Tevere. I Ludi Piscatorii erano tra le più antiche festività del calendario romano, attestata già nel III secolo a.C.
Il 7 Giugno, sotto la supervisione del pretore urbano che indiceva la festa, i pescatori svolgevano la loro attività lungo la riva destra del fiume (Trastevere), secondo Festo, o vicino il Campo Marzio, come indicò Ovidio.
Il frutto della pesca di questo particolare giorno, ovvero i pesci che erano stati pescati, non venivano portati al mercato per essere venduti, ma conservati per essere offerti nel Volcanale, l’ara del dio Vulcano, in occasione dei Volcanalia del 23 Agosto.
Secondo le credenze romane, quei pesci sarebbero stati le vittime sacrificali sull’altare del dio, al posto degli esseri umani. Questa usanza avrebbe dovuto scongiurare gli incendi, che potevano provocare considerevoli danni a una città come Roma, dove veniva molto usato il legno come materiale da costruzione e si concentravano grandi quantità di grano altamente infiammabile nei magazzini.
Il pesce rappresentava una parte significativa dell’alimentazione romana, quale fonte di proteine animali, che anche i più poveri potevano permettersi. In particolare, il pesce di fiume (o pesce d’acqua dolce) era molto diffuso ed economico; a differenza del pesce di mare, il cui allevamento, insieme a quello di molluschi e crostacei, divenne un’importante fonte di reddito per molte famiglie più o meno nobili.
La pesca di fiume, esattamente come quella di mare, avveniva con strumenti molto simili a quelli che utilizzano i pescatori ancora oggi: reti e ami. Molti di questi oggetti venivano raffigurati nelle lastre di sepoltura a indicare il mestiere del defunto, che in vita era stato un pescatore.
L’allevamento dei pesci divenne fondamentale quando Roma, ormai divenuta una metropoli abitata da milioni di persone, non poteva sostenere il fabbisogno dei suoi cittadini con il solo pescato fresco. La pratica dell’allevamento ittico romano deve moltissimo a C. Caius Sergius Orata, che nel corso del I secolo a.C. studiò il sistema di riscaldamento delle vasche usato nelle terme e nei vivai ittici.
Col passare del tempo infatti, l’acquacoltura divenne una pratica per ricchi, i quali potevano permettersi di sostenere i costi per la costruzione e la manutenzione di vasche per l’allevamento ittico (piscinae e vivaria) nelle loro ville fuori Roma, in particolar modo in quelle vicino alle coste, in località come Pozzuoli e Baia nel golfo di Napoli.
In queste splendide ville venivano allevate ostriche, murene, e molte altre varietà di pesci. E le vasche venivano sovrastate da terrazze che consentivano di controllare e mostrare agli ospiti una così proficua attività. In alcune vasche di queste ville, come scrisse Varrone, i pesci venivano suddivisi per colore, oltre che per specie, trasformando un’attività di allevamento in una sorta di opera d’arte.

Ami per la pesca, VI – VI secolo a.C., Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas, Palermo (foto di A. Patti).
Antonietta Patti
Archeologa
BIBLIOGRAFIA
- Lucio Giunio Moderato Columella, De re rustica, VII, 16;
- Sesto Pompeo Festo, De verborum significatu, 274-276;
- Ovidio Nasone, Fasti, libro VI, 237-240;
- Marco Terenzio Varrone, De re rustica, libro II, 17.