Le satire di Orazio: disquisizioni sui vizi dei romani

“Anzitutto da quelli ch’io direi davvero poeti mi escludo: non credo che per essere tra questi basti fare un verso conchiuso o scrivere, così come io faccio, nel modo in cui parli” (Satire, I, 4).

Queste parole furono pronunciate da Orazio*, uno dei pilastri portanti della letteratura latina, autore di origine lucano-pugliese vissuto tra il 65 e l’ 8 a.C. Nonostante il padre fosse un liberto, il giovane Orazio riuscì ad avere un’ottima istruzione che gli permise di entrare a far parte del circolo di Mecenate e di dedicarsi all’otium letterario quando terminò la sua carriera militare. Fra le opere più importanti della produzione oraziana vengono ricordate le Satire, i Iambi, le Odi (Carmina), le Epistulae e l’ Ars poetica.

Per quanto concerne le Satire, Orazio scrive espressamente di aver preso come modello Lucilio – al quale riconosce di aver istituzionalizzato l’esametro come metro del genere satirico – ma allo stesso tempo gli rimprovera la durezza e la poca raffinatezza:

“[…] Lucilio che, seguendoli in tutto, ha cambiato solo il ritmo e il metro, elegante qual era, naso fino, duro solo nel mettere insieme i suoi versi” (Satire, I, 4).

Nelle Satire si evince tutta la vis del talento di Orazio che riesce a descrivere i vizi, le debolezze e le mode della corrotta società del suo periodo che rifletteva la crisi delle guerre civili. La grandezza di questo autore consiste nel fare tutto ciò senza imporre precetti, senza ergersi a moralista e, soprattutto, senza usare un tono aspro e sprezzante che avrebbe potuto indignare i suoi lettori o, peggio ancora, condannarlo alla censura. Egli, infatti, utilizza lo schema della diatriba cinico-stoica: presenta un argomento e ne sviluppa i vari punti di vista tramite la simulazione di un dialogo che conferisce, pertanto, scorrevolezza alla sua opera; il topo di città e il topo di campagna è uno dei tanti esempi che segue quest’ impostazione.

Di Orazio è celebre, inoltre, la prima satira in cui esorta gli uomini  ad accontentarsi di ciò che hanno e ad essere sempre moderati affinché possano vivere la loro vita con equilibrio.

“Come mai, Mecenate, non c’è uomo contento della vita che il cielo gli ha dato o lui stesso s’è scelto ed invidia quella degli altr? […] Se mai un dio dicesse -e va bene, farò a vostra voglia: tu, sino a ieri soldato, sarai uomo d’affari e tu, già esperto di leggi, contadino: voi di qui e voi altri di là, scambiate le parti, andate con dio: forza! E che? Nessuno si muove? – non vogliono: eppure potrebbero essere felici” (Satire, I, 1).

Per questi motivi – ma anche per moltissimi altri – Orazio è uno dei poeti che ha avuto fortuna non solo nel suo tempo ma anche nei secoli successivi e questo fu dovuto alla sua genialità di saper dialogare con il pubblico utilizzando un tono “bonario” ma che, allo stesso tempo, sapeva scolpire le sue parole nel cuore dei lettori e degli ascoltatori che non potevano restare indifferenti.


* Quinto Orazio Flacco (in latino: Quintus Horatius Flaccus; Venosa, 8 dicembre 65 a.C. – Roma, 27 novembre 8 a.C.), noto più semplicemente come Orazio, è stato un poeta romano. Considerato uno dei maggiori poeti dell’età antica, nonché maestro di eleganza stilistica e dotato di inusuale ironia, seppe affrontare le vicissitudini politiche e civili del suo tempo da placido epicureo amante dei piaceri della vita, dettando quelli che per molti sono ancora i canoni dell’ars vivendi.

Maria Stupia