Sicilia romana: La catacomba di Villagrazia di Carini

Scendere i gradini ed entrare nelle gallerie della catacomba di Villagrazia di Carini è un’emozione difficile da dimenticare. Scoperta casualmente nell’Ottocento e riscoperta nei primi anni del nuovo millennio, la catacomba di Villagrazia di Carini è il complesso funerario sotterraneo paleocristiano più grande della Sicilia occidentale.
Questa catacomba spicca, oltre che per le notevoli dimensioni, anche per lo sfruttamento intensivo e razionale dell’area e per la monumentalità delle gallerie, dei cubicoli e delle sepolture, decorate con bellissimi affreschi collegabili alla piena tradizione romana. L’ampiezza del monumento e delle sue gallerie, che ospitano un grande numero di sepolture, sono un’importantissima testimonianza della diffusione della religione cristiana in una zona rurale come quella della Sicilia tardoantica.
La catacomba si trova vicino la contrada San Nicola nella località di Villagrazia di Carini, frazione del comune di Carini in provincia di Palermo, ma come tutti i luoghi di sepoltura cristiana appartiene allo Stato della Chiesa. Per questo motivo è posto sotto la diretta tutela della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra (PCAS), data la sua importanza archeologica, storica e artistica.

Mappa della Sicilia romana con l’indicazione di Hykkara, l’antica Villagrazia di Carini (Samuel Butler,The Atlas of Ancient and Classical Geography, rielaborazione di A. Patti)
LA STORIA DI VILLAGRAZIA DI CARINI
La piana di Carini presenta tracce d’insediamento umano fin dall’età preistorica. All’età storica invece, è riconducibile una Iccara già citata nel V secolo a.C. da Tucidide1, quale città conquistata dagli ateniesi impegnati nella spedizione in Sicilia2. Grazie ai più recenti scavi archeologici, l’insediamento sulla costa descritto dallo storico greco è riconoscibile nelle attuali località Cupolone e in contrada San Nicola, alle falde del Monte Colombrina.
In età romana, la Sicilia, la prima terra che Roma conquistò al di fuori della penisola italica nel 241 a.C.3, fu considerata il “granaio di Roma”, e il suo territorio venne quindi caratterizzato da un’intensa attività agricola. La fertile piana di Carini costituì perciò un territorio prezioso.
Nonostante la conquista dell’Egitto, avvenuta nel 30 a.C., che tolse all’isola il dovere di rifornire di grano la Città Eterna, questa intensa attività produttiva non cessò; tuttavia, nei primi tre secoli dell’età imperiale la Sicilia attraversò un periodo di abbandono e di depressione economica. Lo Stato romano trascurava il territorio, lasciandolo nelle mani di briganti che imperversavano per le campagne, e di pochi proprietari terrieri che vivevano nelle città mentre aumentavano le loro proprietà a dismisura creando enormi latifondi poggiati sul lavoro degli schiavi.
Soltanto all’inizio del IV secolo d.C., durante il regno di Costantino, la Sicilia ricominciò a fiorire. La fondazione di Costantinopoli aveva determinato la necessità di far confluire nella città fondata da Costantino il grano prodotto in Egitto, mentre l’Africa proconsolare4 e la Tripolitania5 rifornivano Roma. Questo permise alla Sicilia, a causa della sua posizione geografica tra la penisola italica e il Nord Africa, di ricoprire l’importante ruolo di snodo commerciale nel Mar Mediterraneo. Ruolo che rimase inalterato nei secoli successivi, anche durante l’età medievale. In questa nuova situazione, i grandi latifondisti cominciarono ad avere maggiore cura della gestione dei loro territori, aumentando il numero dei coloni tra i loro contadini.
L’attuale Baglio di Carini, presso Villagrazia di Carini, compare nell’Itinerarium Antonini6 quale approdo sulla costa settentrionale dell’isola legato alla statio7 di Hykkara, un importante snodo commerciale della Via Valeria8. Questa via consolare partiva da Messana (Messina) e all’altezza della statio di Hykkara si divideva in due arterie: una strada nell’entroterra portava a Lilibeo (Marsala), l’altra seguiva la costa e giungeva a Drepanum (Trapani).
A Hykkara era legata una “parrocchia rurale”, che fu creata per la cura delle anime degli abitanti del territorio, chiamata “ecclesia carinensis”: così era citata in una lettera di papa Gregorio Magno del 595 d.C. È probabile che questa “parrocchia rurale” divenne diocesi quando la Sicilia venne conquistata dai bizantini nel VI secolo d.C. Del resto, la catacomba di Villagrazia di Carini venne usata dal IV al VIII secolo d.C., come ci indicano i reperti ritrovati e l’analisi stilistica del suo apparato pittorico.
Nell’insediamento di Hykkara, in contrada San Nicola, è possibile riconoscere il nucleo tardoromano, bizantino e medievale precedente alla fondazione della città normanna di Qarinis, col suo celebre castello, nell’attuale Carini.

Mappa della Sicilia con l’indicazione della Catacomba di Villagrazia di Carini (da Google Maps).
LA STRUTTURA E I RITROVAMENTI DELLA CATACOMBA DI VILLAGRAZIA DI CARINI
La catacomba di Villagrazia di Carini ricopre un’area di più di 5.000 mq di superficie scavata nella roccia, con un progetto avente un regolare sistema di gallerie sviluppatesi come le traverse di una strada principale orientata in asse Nord-Sud. Al momento sono state scavate 13 gallerie. A ogni incrocio fra queste gallerie si apre un lucernario sul soffitto, che doveva garantire l’areazione e un po’ d’illuminazione.
Ogni parete e tutto il pavimento della catacomba, in tutte le gallerie e in tutti i cubicoli, sono occupati da sepolture. In particolare ritroviamo 3 principali tipi di tomba:
- il loculo, tomba costituita da una cavità rettangolare scavata nella parete, con il lato lungo a vista chiuso da una lastra;
- l’arcosolio, tomba costituita da un sarcofago incassato nella parete o da un arca scavata nella roccia e protetta da una lastra (mensa) orizzontale sormontata da una nicchia arcuata e decorata. L’arcosolio scavato può essere costituito da una o più fosse: può avere una sola arca (monosomo) o più arche (polisomo);
- la forma, tomba costituita da una fossa pavimentale ricoperta da una lastra.
Ogni tomba era occupata da più di un defunto, secondo una pratica tipica del mondo romano, ed era coperta da una lastra di calcare o di terracotta. Questa lastra veniva incollata alla sepoltura con della malta per poi essere ricoperta da diversi strati d’intonaco. Ogni lastra riportava incise, in greco o in latino, le informazioni riguardo l’identità e la vita dei defunti lì sepolti.
In alcune nicchie furono scavate delle piccole mense utili a rituali funerari come quello del refrigerium9, che consisteva in un banchetto in onore del defunto per festeggiare il giorno in cui, morendo, era rinato in Cristo e aveva iniziato la vita eterna in Paradiso. Il rito cristiano del refrigerium, derivato da quello pagano della Parentatio, era un momento di condivisione nel quale i vivi si legavano ai loro amati defunti.
Il periodo di maggior utilizzo della catacomba fu tra il IV e il VI secolo d.C. Questo è dimostrato dal fatto che la pavimentazione di alcune gallerie sono state ulteriormente scavate, formando una sorta di nuovo piano di calpestio, alla ricerca di nuovo spazio per seppellire nuovi defunti: accade cosi che una sepoltura che si trova nella parte più alta di una parete sia più antica di una che si trova più in basso.
Infine, quando non fu più possibile scavare, nella pavimentazione delle gallerie vennero ricavate nuove sepolture mediante le formae, l’elemento che più di ogni altro testimonia la ricerca di spazio sepolcrale.
Spesso, lo spazio di un arcosolio venne ampliato o addirittura modificato per l’apertura di un cubicolo, ma sempre nel rispetto dell’impianto originario della catacomba. Fu così che alcuni arcosoli monosomi vennero modificati e ampliati, e divennero polisomi; altri furono eliminati per creare l’accesso a cubicoli privati, destinati a ospitare le sepolture dei membri appartenenti a una sola famiglia. Due cubicoli risultano ancor più interessanti perché presentano un lucernario autonomo ciascuno, sepolture monumentali (alle pareti e sul pavimento) e una magnifica decorazione pittorica: segnali della ricchezza, economica e culturale, della famiglia proprietaria.
All’interno della catacomba sono stati ritrovati numerosi reperti: oggetti di corredo sia funerario (aghi, vaghi di collane, ecc), sia rituale (ceramica da mensa), sia funzionale (lucerne) per le pratiche funerarie. In special modo, sono stati trovati numerosi elementi di ceramica da mensa in terra sigillata africana D e tante lucerne in terracotta soprattutto della forma VII, VIII e X10, anch’esse in terra sigillata africana.
La ceramica da mensa faceva parte del corredo funerario e serviva anche a rituali, come il sopracitato refrigerium. Le lucerne11 potevano avere uno uso rituale quando collocate dentro le sepolture, come simbolo della vita ultraterrena, oppure potevano servire all’illuminazione di un ambiente chiuso e buio, come quello sotterraneo di una catacomba, quando posate in piccole nicchie scavate nella roccia o sospese a dei sostegni mediante ganci.

Immagine satellitare con l’indicazione dell’ingresso della Catacomba di Villagrazia di Carini (da Google Maps, rielaborazione di A. Patti).
GLI AFFRESCHI DELLA CATACOMBA DI VILLAGRAZIA DI CARINI
Sulle pareti di molte sepolture si conservano ancora oggi le pitture parietali databili al IV secolo d.C. le cui caratteristiche possiamo catalogare in 3 categorie iconografiche:
- l’ambiente ultraterreno, derivato dalla tradizione ellenistico-romana;
- l’autorappresentazione dei defunti nell’iconografia del reale;
- gli episodi biblici, tratti sia dal Vecchio che dal Nuovo Testamento.
Spesso non sono rispettate le proporzioni dei corpi nella superficie pittorica, con figure quasi compresse nello spazio; ma in alcune raffigurazioni la composizione è più armonica e spaziata. Nei volti ritratti gli occhi sono ben grandi, nel rispetto dell’arte tardoantica. Gli abiti, le acconciature, gli accessori, come i gioielli nei ritratti femminili, sono tutti indizi temporali utili alla datazione di questi affreschi. Queste stesse caratteristiche e l’analisi delle composizioni iconografiche indicano lo status sociale elevato dei defunti lì sepolti, appartenenti a famiglie colte e abbienti.
Tra gli episodi veterotestamentari spiccano le raffigurazioni del sacrifico di Isacco e di Mosè che fa sgorgare l’acqua dalla rupe. Il più rappresentato episodio neotestamentario è l’Adorazione dei Magi, presente in ben due lunette di arcosoli per bambini. Le scene bibliche dipinte nella catacomba di Villagrazia di Carini, confrontate con simili raffigurazioni presenti in alcune catacombe romane, mostrano come la committenza siciliana sia stata pronta ad accogliere tematiche e iconografie conformi ai modelli della Chiesa.
Particolarmente decorate risultano le sepolture per i bambini, collocate negli spazi liberi tra le tombe per gli adulti. In particolare, in un cubicolo è presente un’imponente decorazione pittorica relativa a un arcosolio per infante. L’intradosso dell’arcosolio è affrescato con episodi biblici e un motivo floreale composto da roselline rosse su sfondo bianco, il quale continua nell’estradosso dell’arcosolio dove infine compaiono il ritratto del bimbo lì sepolto e di sua madre in una scena simbolica: lei ancora in vita accompagna il figlio scomparso nell’oltretomba.
Uno degli affreschi forse più commoventi riguarda quello di un bambino insieme al suo puledro, nella lunetta di un arcosolio per bambini. Il bambino ha un viso sferico, l’acconciatura a calotta e indossa una tunica clavata bianca e un mantello corto col cappuccio; nella mano sinistra tiene le briglie di un piccolo cavallo, raffigurato con la zampa anteriore destra sollevata. I due sono ritratti in un ambiente agreste, fatto di arbusti, rami fioriti e fiorellini. La scena “immortala” un momento di svago del bambino, e forse manifesta la condizione sociale della sua famiglia, abbastanza ricca da poter allevare dei cavalli.
I defunti sepolti nella catacomba, in sintonia con l’arte paleocristiana, sono stati ritratti nel rispetto della loro fisionomia. Sono spesso in atto di preghiera nella posa dell’orante, sempre immersi in un fondo bianco o azzurrognolo decorato da roselline rosse e ghirlande fiorite: il locus amoenus d’oltretomba della religione romana, dal quale sarebbe derivata l’iconografia del Paradiso cristiano.

Il Baglio Pilo col sottostante ingresso della catacomba di Villagrazia di Carini (foto di A. Patti).
LA STORIA DELLA CATACOMBA DI VILLAGRAZIA DI CARINI: L’UTILIZZO, L’ABBANDONO E LA RISCOPERTA
La catacomba venne utilizzata come area di sepoltura dei cristiani della diocesi di Carini dal IV al IV secolo d.C., con un maggior sviluppo nel V secolo d.C., periodo nel quale subì i numerosi interventi di ampliamento sopradescritti, allo scopo di trovare nuovi spazi di sepoltura.
La catacomba venne ancora usata, sempre a scopo funerario, fino al VIII secolo d.C., come testimoniano i ritrovamenti di alcune anfore, per cominciare a essere trascurata nel secolo successivo. Durante l’età islamica la catacomba subì atti di vandalismo con la distruzione delle lastre di copertura dei sepolcri.
Dopodiché la catacomba venne definitivamente abbandonata, tant’è che in età medievale, tra il XVI e il XVII secolo alcune gallerie furono usate per la lavorazione della canna da zucchero.
Dopo decenni di oblio, la catacomba venne scoperta nel 1899, a causa dei lavori per la creazione di un acquedotto voluto dal barone Starabba, occasione che concesse al noto archeologo Antonino Salinas di scavare una prima parte dell’area funeraria.
Qualche anno prima, nel 1873, Salinas aveva effettuato delle analisi archeologiche su un pavimento di un’aula absidata, decorato con un mosaico policromo dai motivi geometrici, ritrovato dal principe De Spuches sempre in contrada San Nicola. La decorazione del mosaico, la sua datazione al IV secolo d.C. e la vicinanza di questa aula alla catacomba permisero a Salinas di riconoscere in quell’ambiente una basilica paleocristiana (un’interpretazione sulla quale non tutti gli studiosi concordano13).
I primi scavi di Salinas riportarono alla luce un primo nucleo della catacomba di Villagrazia di Carini, che già all’epoca era stata divisa in due dal tracciato della SS. 11312 e troncata da una cava moderna che aveva in parte distrutto il cimitero sotterraneo. Tuttavia, entrambi i ritrovamenti furono presto dimenticati.
Nel corso del Novecento la struttura della catacomba subì diverse modifiche, poiché il suo ingresso ricadeva in un terreno di proprietà privata. Le prime gallerie vicino l’ingresso furono trasformate per ospitare una stalla e delle cantine, ambienti che vennero poi convertiti in rifugio antiaereo durante la Seconda Guerra Mondiale, dopodiché in fungaia. Infine, la depressione causata dalla cava venne trasformata in una discarica, la quale fece quasi perdere le tracce dell’ingresso alla catacomba.
Le gallerie più a Sud furono risparmiate dalle trasformazioni e rimasero perlopiù inalterate. Purtroppo però, la bonifica e la cementificazione del vicino Torrente delle Grazie ne hanno causato frequenti tracimazioni nel corso degli anni ’70 del Novecento: i detriti alluvionali riempirono completamente gli ambienti ipogei della catacomba con i suoi immaginabili effetti devastanti.
Soltanto nel nuovo millennio la Soprintendenza dei Beni Culturali di Palermo riuscì a recuperare il terreno a Sud della SS. 113, dove sorge il Baglio Pilo e cade l’ingresso alla catacomba. In questo modo, a partire dal 2000 fu possibile effettuare numerose e fruttuose campagne di scavo stratigrafico; grazie alla collaborazione tra la sopracitata Soprintendenza, il Comune di Carini, la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra (PCAS) e il Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Palermo. La ricerca archeologica continua ancora oggi, grazie alla collaborazione tra la PCAS, la cattedra di “Archeologia Cristiana” dell’Università degli Studi di Palermo e la Cooperativa ArcheOfficina.
Oggi chiunque può visitare la catacomba, grazie alle visite guidate lungo un percorso musealizzato. Le visite sono organizzate dagli archeologi della sopracitata Cooperativa ArcheOfficina, che ha ottenuto la concessione per la gestione del sito, ma anche da manifestazioni culturali come quella de Le Vie dei Tesori.
La tutela imposta dalla PCAS impedisce di fotografare gli ambienti della catacomba. Perciò vi consiglio di visitare più volte questo eccezionale monumento archeologico, perché ciò che vedrete e ascolterete rimarrà impresso nella vostra memoria e nel vostro cuore.
di Antonietta Patti
NOTE
- La guerra del Peloponneso IV, 62.
- La spedizione ateniese in Sicilia avvenne tra il 415 e il 413 a.C. determinata dall’alleanza tra Atene e Selinunte. Nel momento in cui scoppiò il conflitto tra Selinunte e Segesta si riaccese quello tra Atene e Siracusa, alleata di Segesta. La guerra si concluse con la vittoria di Siracusa e la fine delle mire espansionistiche di Atene nel Mar Mediterraneo.
- Con la vittoria sui Cartaginesi nella battaglia delle Egadi, il 10 Marzo 241 a.C., Roma vinse la Prima Guerra Punica e conquistò l’isola della Sicilia, fino ad allora occupata dalle città fondate dai coloni greci e dalle città-emporio puniche.
- L’Africa proconsolare corrispondeva agli attuali territori della costa orientale dell’Algeria e di quella occidentale della Libia.
- La Tripolitania corrispondeva all’attuale Libia occidentale.
- L’Itinerarium Antonini era un registro delle strade, delle stationes, delle principali città dell’Impero Romano e delle distanze tra loro, datato al III secolo d.C. Probabilmente redatto durante il regno dell’imperatore Caracalla, appartenente alla dinastia degli Antonini dalla quale prende il nome l’itinerarium, ci è giunto tramite una redazione successiva prodotta tra il III e il IV secolo d.C.
- La statio era un luogo di sosta lungo le vie dell’Impero Romano, poste a circa una giornata di cammino l’una dall’altra.
- Il nome di questa via consolare si deve a Marco Valerio Levino, il quale fu governatore della Sicilia nel III secolo a.C.
- Il termine “refrigerium” deriva dal verbo “refrigerare” e indica il sollievo fisico e spirituale dato dal banchetto funebre. Banchetto che si teneva il giorno del seppellimento del defunto e poi dopo tre, sette, nove, trenta giorni, e infine a ogni anniversario della morte.
- Secondo la classificazione Bonifay contenuta nell’Atlante delle forme ceramiche.
- La lucerna è un recipiente a forma di coppa per contenere l’olio, dotato di anse per essere tenuto in mano o agganciato a un sostegno e di beccuccio per lo stoppino col quale diffondere luce.
- La Strada Statale 113 Settentrionale Sicula, attraversa la parte settentrionale dell’isola e da Messina conduce a Trapani.
- La stessa sala venne interpretata quale ambiente monumentale di una ricca domus.
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Foto anteprima di: https://archeofficina.com/la-catacomba-paleocristiana-di-villagrazia-di-carini/