Secondo la leggenda, Romolo avrebbe sconfitto numerosi avversari nei suoi duelli, ma il più cruento fu quello contro Acrone, re di Cenina, un antico insediamento nell’Italia centrale. Il combattimento tra i due valorosi guerrieri fu lungo e feroce, e ci fu un momento in cui sembrava che Romolo stesse per soccombere. Tuttavia, con un’abile mossa, riuscì a infliggere una ferita mortale ad Acrone. Dopo una battaglia così intensa, Romolo spogliò il nemico delle sue armi, tagliò un ramo di quercia e vi appese le armi, creando un trofeo. Con il capo incoronato di alloro e tenendo alto il trofeo, Romolo si diresse verso Roma. I suoi soldati lo seguirono, intonando canti di vittoria. Si ritiene che questa cerimonia improvvisata abbia dato origine, nell’epoca romana, alla tradizione di celebrare solenni cerimonie in onore del protagonista di una grande impresa, un evento carico di significato militare e religioso che prese il nome di triumphus.
Come si svolgeva un trionfo romano? Per comprenderlo, bisogna tornare all’epoca repubblicana, circa 250 anni dopo la fondazione di Roma. Il trionfo era il più alto onore che poteva essere concesso a un condottiero romano per una vittoria eccezionale. Per ottenere questo prestigioso riconoscimento, il comandante doveva soddisfare una serie di requisiti specifici:
- Essere stato acclamato imperator dai suoi soldati, un titolo che riconosceva i suoi meriti straordinari;
- Aver ucciso almeno 5000 nemici in una sola battaglia;
- Avere guidato personalmente le truppe in combattimento;
- Aver evitato perdite significative tra i suoi uomini;
- Aver contribuito all’espansione dei confini dello Stato grazie alla sua vittoria.
Un condottiero convinto di possedere questi requisiti poteva presentare una richiesta formale al Senato, dettagliando i suoi successi militari. Se il Senato confermava la veridicità delle sue dichiarazioni, e verificava i risultati ottenuti, gli concedeva il trionfo e ne fissava la data. Fino al giorno stabilito, al condottiero non era permesso entrare a Roma; poteva però attendere nel Campo Marzio, insieme al suo esercito, appena fuori dalle mura cittadine. Se invece non soddisfaceva tutti i requisiti per il trionfo, il Senato gli concedeva l’ovatio, una celebrazione minore in cui il condottiero avanzava a piedi per le strade principali della città, indossando una corona di mirto. La folla, applaudendo, gli rendeva omaggio lungo il percorso.
Nella prima età repubblicana, il carro del trionfatore era trainato da due cavalli, ma nel tempo il numero crebbe: divennero quattro e, in epoca augustea, arrivarono anche a sei. Un caso particolare si verificò nell’80 a.C., quando Pompeo, celebrando il trionfo per le sue vittorie in Africa, fece trainare il suo cocchio da quattro elefanti, animali simbolici del territorio appena conquistato. Non tutti i trionfi, però, si svolgevano a Roma; in alcuni casi, la celebrazione avveniva nella regione in cui il comandante aveva riportato le sue vittorie. Un esempio significativo è quello di Cornelio Scipione (che sarebbe poi diventato noto come Scipione l’Africano), che celebrò il suo trionfo in Spagna, dopo aver sconfitto i Cartaginesi sul suolo iberico.
Durante l’epoca imperiale, il Princeps era considerato il comandante supremo dell’esercito, e per questo motivo, anche quando un generale conseguiva una grande vittoria, il diritto al trionfo era quasi esclusivamente riservato all’Imperatore. Fonti storiche risalenti al V secolo d.C. ci informano che, da Romolo (VIII secolo a.C.) fino all’epoca dell’imperatore Vespasiano (I secolo d.C.), furono celebrati a Roma 320 trionfi.
Qual era l’ordine del corteo durante un trionfo romano? Il corteo si apriva con un gruppo di Senatori, seguito da suonatori di corni e trombe che eseguivano marce militari. Subito dopo, sfilavano i carri carichi del bottino di guerra, con oggetti preziosi portati da legionari su portantine speciali. A questi seguivano gli animali sacri destinati al sacrificio a Giove sul Campidoglio. Dietro di loro, avanzavano i prigionieri di guerra, con le mani legate da pesanti catene. I littori, con le fronti e i fasci decorati da ghirlande, precedevano immediatamente il trionfatore, che stava in piedi su un cocchio dorato, vestito con una tunica di porpora ricamata con foglie di palma in oro. Sul capo portava una corona di alloro, e teneva in mano un ramoscello, anch’esso di alloro. Al cocchio del trionfatore erano legati i comandanti e i principi nemici, destinati al carcere Tulliano (Mamertino), dove spesso trovavano la morte. Negli ultimi anni della Repubblica, i prigionieri nobili venivano incatenati al cocchio con catene d’oro. La sfilata delle legioni vittoriose chiudeva il corteo trionfale. Quando il corteo raggiungeva il Campidoglio, la celebrazione assumeva un carattere religioso. Il trionfatore offriva a Giove il ramoscello di alloro e le ghirlande che avevano adornato i fasci dei littori. Circondato dai sacerdoti del tempio, veniva sacrificato un toro bianco in onore di Giove. La cerimonia si concludeva con un banchetto, al quale partecipavano magistrati e Senatori. Infine, tutti i legionari venivano congedati dopo aver ricevuto una parte del bottino di guerra.