La celebrazione del Trionfo romano

Trionfo romano

Narra la leggenda che Romolo abbia ucciso parecchi nemici durante i suoi duelli. Il più crudo dei suoi scontri fu quello sostenuto contro Acrone, re di Cenina (un antico insediamento in Italia centrale). Il duello tra i due validi guerrieri fu lungo e accanito e per un momento parve che Romolo dovesse soccombere, ma poi, con una mossa repentina, egli riuscì a ferire a morte Acrone. Al termine di una sfida cosi avvincente, Romolo lo spogliò delle armi, tagliò un ramo di quercia, ve le appese per formarne un trofeo. Quindi, incoronatosi il capo di alloro e tenendo alto il trofeo, mosse verso Roma. I suoi soldati iniziarono a seguirlo, intonando un inno di vittoria. Molto probabilmente fu questa improvvisata cerimonia a dare inizio, in epoca romana, alla consuetudine di celebrare cerimonie solenni in onore dell’uomo protagonista dell’impresa, un momento dal forte carattere militare e religioso, a cui venne dato il nome di triumphus.

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In quale modo veniva celebrato un trionfo romano? Per rispondere a questa domanda, bisogna partire dall’epoca repubblicana (quasi 250 anni dopo la fondazione di Roma). Il trionfo era considerato il più alto onore da tributare a un condottiero che avesse riportato una vittoria strepitosa. Per aver diritto al trionfo, un condottiero romano doveva possedere una serie di requisiti:

1) essere stato acclamato imperator dai suoi soldati (titolo conferito al loro capo per alti meriti);
2) aver ucciso in una sola battaglia almeno 5000 nemici;
3) aver guidato personalmente i soldati in battaglia;
4) non aver fatto subire gravi perdite al proprio esercito;
5) aver contribuito ad ampliare i confini dello Stato con la sua vittoria.

Quel condottiero, certo di avere i requisiti necessari per ottenere il trionfo, aveva la possibilità di fare regolare richiesta scritta al Senato. Nel documento egli doveva dichiarare tutti i successi militari conseguiti.

Se il Senato trovava veritiere le dichiarazioni del condottiero, in possesso dei relativi riscontri, gli concedeva il trionfo e ne fissava il giorno. Prima di tale data, al condottiero non era permesso entrare in Roma: egli poteva però sostare con tutto il suo esercito nel Campo Marzio, fuori delle mura della città. Se non si trovava nelle condizioni richieste per la massima celebrazione, il Senato gli accordava l’ovatio, con il condottiero avanzava a piedi per le vie principali della città, con in capo una corona di mirto. Ai lati delle strade, la folla, applaudendo, gli tributava l’ovazione. Nel giorno della grande cerimonia, una grandissima folla si accalcava lungo le vie per le quali doveva passare il corteo trionfale. Esso, formatosi nel Campo Marzio, percorreva il Velabrum (località di Roma tra il Campidoglio e il Palatino), il Circo Massimo, la via Sacra, il Foro e infine saliva il colle Capitolino per fermarsi davanti al tempio di Giove.

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Nella prima età repubblicana il carro del trionfatore era tirato da due cavalli, che in seguito diventarono quattro e in età augustea arrivarono anche a sei. Quando, nell’80 a.C., Pompeo celebrò il trionfo per le sue imprese militari in Africa, volle che il suo cocchio fosse tirato da quattro elefanti, animali caratteristici del territorio appena conquistato. Roma non ospitava tutti i trionfi: a volte si svolgevano nella regione ove il condottiero aveva conseguito i successi militari. Un esempio è rappresentato da Cornelio Scipione (il futuro Africano), che celebrò in Spagna il trionfo, dopo aver vinto i Cartaginesi in questo territorio. Durante l’epoca imperiale il Princeps era considerato il capo supremo dell’esercito: perciò anche a seguito di una grande vittoria conseguita da un generale, il diritto al trionfo era quasi una esclusiva dell’Imperatore. Da alcune fonti storiche risalenti al V secolo d.C. sappiamo che da Romolo (VIII secolo a.C.) all’epoca dell’imperatore Vespasiano (I secolo d.C.) furono celebrati in Roma 320 trionfi.

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In quale ordine procedevano le persone che componevano un corteo trionfale? All’apertura del corteo, un gruppo di Senatori, seguiti da suonatori di corni e di trombe, i quali eseguivano alcune marce militari. Subito dopo, i carri carichi del ricco bottino di guerra: gli oggetti di valore erano portati da alcuni legionari su speciali portantine. Seguivano quindi gli animali sacri che dovevano essere sacrificati a Giove sul colle Capitolino. Dietro questi, procedevano i prigionieri di guerra con le mani legate da pesanti catene. I littori, con la fronte e i fasci ornati di ghirlande, precedevano immediatamente il trionfatore. Egli stava ritto su di un cocchio dorato, indossava una veste di porpora con foglie di palma ricamate in oro, aveva intorno al capo una corona di alloro e recava in mano un ramoscello anch’esso di alloro. Al cocchio del trionfatore erano legati i condottieri e i principi nemici, destinati al terribile carcere Tulliano (Mamertino), dove, spesso, venivano uccisi. Negli ultimi anni della Repubblica, i prigionieri nobili vennero legati al cocchio con catene d’oro. Il corteo trionfale era chiuso dalla sfilata delle legioni vittoriose. Non appena il corteo giungeva sul Campidoglio, la cerimonia si convertiva nel suo significato religioso. Il trionfatore offriva a Giove il ramoscello di alloro che teneva in mano e le ghirlande che avevano ornato i fasci dei littori. Attorniato dai sacerdoti del tempio, si procedeva ad un sacrificio di un bianco toro in onore di Giove. La cerimonia si concludeva con un banchetto, aperto a magistrati e Senatori. Tutti i legionari venivano quindi congedati dopo la distribuzione di una parte del bottino di guerra.

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