Una delle strategie militari adottate dall’esercito romano che rivestì un ruolo cruciale nel contesto bellico dell’epoca fu l’assedio. Durante la tarda Repubblica e i primi anni dell’Impero, le tecniche d’assedio acquisirono sempre maggiore rilevanza. Un esempio significativo è la conquista della Gallia da parte di Gaio Giulio Cesare, dove l’efficace combinazione di scontri in campo aperto e prolungati assedi, come quello di Alesia nel 52 a.C., evidenziò l’importanza di queste tattiche.
L’obiettivo principale di queste tattiche devastanti era conquistare il centro nevralgico delle forze nemiche, considerato il modo più efficace per porre fine a un conflitto. Durante le campagne in Dacia, l’imperatore Traiano assediò Sarmizegetusa, impiegando una vasta gamma di strutture come palizzate, fossati, rampe, e trappole, oltre a una serie di macchine d’assedio. I soldati stessi venivano temporaneamente riconvertiti in fabbri e falegnami per costruire queste opere.
Le armi d’assedio romane, essenziali per l’esercito, si dividevano in due categorie principali:
- Armi scardinanti: Queste erano progettate per superare le mura delle città nemiche e includevano strumenti ereditati dalla Magna Grecia, come l’ariete, la falce murale, il muscolo, l’osservatorio, il pluteo, la rampa d’assedio, la sambuca, la scala d’assedio, la testuggine, il tolleno, la torre d’assedio (o elepoli) e la vinea.
- Armi da lancio: Utilizzate anche in battaglie campali dal III secolo a.C., queste armi comprendevano la ballista, la carroballista, la catapulta, la cheiroballistra, l’onagro e lo scorpione.
ARIETE: L’ariete era un’arma d’assedio progettata per sfondare le porte delle fortezze. Consisteva principalmente in una robusta trave, solitamente ricavata dal tronco di un albero, rinforzata con un rivestimento metallico. Spesso, l’estremità della trave era sagomata a forma di testa di ariete. Inizialmente, i soldati la manovravano a mano, spingendo il tronco contro le porte per generare l’impatto necessario. Con il tempo, e con l’aumento delle fortificazioni urbane, l’ariete subì un’evoluzione: venne montato all’interno di una struttura fortificata con ruote, che consentiva un avvicinamento sicuro e una maggiore forza d’impatto grazie all’utilizzo di funi. Questo strumento di assedio fu quasi certamente inventato dagli Assiri nel IX-VIII secolo a.C.
FALCE MURALE: La falce murale era un’arma costituita da una lunga asta con un uncino metallico all’estremità. Il rapido movimento rotatorio dell’uncino permetteva di rimuovere la calce tra i mattoni o le pietre delle mura delle città assediate. Inoltre, veniva utilizzata per demolire minuziosamente le strutture difensive lungo il parapetto e per danneggiare le travi di legno delle palizzate nemiche.
MUSCOLO: Il muscolo era un’arma mobile, montata su ruote o rulli, che permetteva agli assedianti di avvicinarsi alle mura nemiche per iniziare la demolizione, protetti da una struttura particolarmente resistente. La parte superiore del muscolo era dotata di un portellone che, una volta sollevato, consentiva di scaricare materiale per riempire i fossati nemici o per spianare il terreno per il passaggio delle torri mobili. La copertura era rinforzata con uno strato di mattoni fissati con malta e rivestita con pelli di cuoio per attutire i colpi di massi e altre armi da lancio nemiche.
OSSERVATORIO: Durante un assedio, si rese necessario l’uso di un punto di osservazione sopraelevato, costruito in segmenti modulari che potevano essere uniti per estenderne l’altezza. Questo strumento permetteva di monitorare i movimenti del nemico, studiare la città assediata, valutare la robustezza delle mura e stimare il numero di soldati nemici. Apollodoro di Damasco descrive i dettagli costruttivi di questo dispositivo nella sua opera “Poliorcetica.”
PLUTEO: Il pluteo era un piccolo scudo mobile, solitamente di forma rettangolare o curva, progettato per proteggere fino a tre soldati in piedi. Costruito in legno e rivestito di pelli per ridurre il rischio di incendi, il pluteo era montato su ruote per facilitarne lo spostamento. Questa struttura offriva grande manovrabilità e protezione durante gli spostamenti rapidi nelle vicinanze delle mura nemiche, particolarmente utile durante l’avvicinamento delle macchine d’assedio più grandi, garantendo così la massima sicurezza ai legionari.
RAMPA D’ASSEDIO: Fin dall’epoca tardo-repubblicana, l’esercito romano utilizzò rampe d’assedio per attaccare città situate in posizioni elevate. Queste rampe erano costruite con tronchi di legno, pietre e terra, permettendo di raggiungere l’altezza delle mura nemiche. Su di esse potevano essere trascinate torri d’assedio per attaccare direttamente le fortificazioni. Tra gli esempi più celebri di utilizzo delle rampe d’assedio nella storia romana, si ricordano quella costruita da Gaio Giulio Cesare ad Avarico nel 52 a.C., durante l’assedio dell’oppidum gallico, e quella di Masada, dove fu eretta una rampa imponente, alta 110 metri e larga 50 metri, sormontata da una massiccia torre d’assedio, per conquistare la città arroccata su un’altura.
SAMBUCA: Alcune fonti storiche indicano che la sambuca fu utilizzata per la prima volta tra il 214 e il 212 a.C., durante l’assedio di Siracusa sotto il comando del console Claudio Marcello. Questo strumento, ereditato dai Greci, era una sorta di ponte levatoio mobile, manovrato tramite corde, che assomigliava a un ponte volante utilizzato per superare le mura nemiche. L’invenzione della sambuca è attribuita a Eraclide di Taranto nel III secolo a.C., e i Romani ne adottarono l’uso durante le guerre pirriche tra il 280 e il 275 a.C.
TESTUGGINE: Per consentire all’esercito romano di avvicinarsi alle mura nemiche e distruggerle, veniva impiegata la testuggine, una macchina d’assedio solitamente montata su ruote. Questa struttura era costruita con robuste travi di legno inclinate, ulteriormente protette da uno strato di argilla o pelli di animali umide, che servivano a prevenire danni alla struttura. Il tetto inclinato della testuggine era progettato per assorbire e deflettere gli impatti, facendo scivolare via i proiettili nemici. L’estremità inferiore della struttura era dotata di punte per ancorarla saldamente al terreno. Esisteva anche una variante più resistente, chiamata testudo a rostro o embolon, particolarmente utile durante l’assedio di città o fortezze situate su terreni ripidi.
TOLLENO: Il tolleno era una macchina d’assedio costituita da due travi collegate: una verticale e l’altra orizzontale, unite tramite un montante girevole. Secondo Publio Vegezio, a questo meccanismo era fissato un ampio cesto, nel quale venivano posizionati alcuni soldati. Per sollevare il cesto, altri soldati a terra tiravano delle funi, abbassando così la parte posteriore della macchina e permettendo al cesto di essere sollevato e ruotato in altezza e direzione, facilitando l’avvicinamento alle mura.
VINAE: Le vinea erano tra le macchine più comuni utilizzate per l’approccio alle mura, spesso preferite alle gallerie sotterranee. Queste casematte mobili variavano da strutture più leggere, fatte di vimini o semplici tettoie in legno, a costruzioni più robuste con travi di legno. Le vinea permettevano alle truppe di avvicinarsi alle mura nemiche, proteggendole mentre riempivano i fossati con materiale di risulta.
ELEPOLI: L’elepoli, o torre d’assedio, era una grande struttura composta da tralicci di legno, ricoperta con pelli e materiali resistenti per proteggerla dal fuoco. Spinta o trainata da buoi, la torre era suddivisa in più livelli e veniva accostata alle mura della città sotto assedio. Dalla sua sommità, i soldati lanciavano frecce, dardi incendiari e pietre contro i difensori, cercando di allontanarli dalle mura. L’interno della torre ospitava macchine da lancio, arieti, e i soldati che preparavano l’invasione, i quali raggiungevano la sommità tramite una passerella mobile simile a un ponte levatoio. Vitruvio ci racconta che l’altezza dell’elepoli poteva variare dai 28 ai 50 metri.
BALLISTA (o Balista): La ballista era una macchina da assedio a torsione, principalmente utilizzata per lanciare dardi di varie dimensioni, che potevano variare da 20-22 cm fino a quasi due metri, simili a veri e propri giavellotti. La sua gittata poteva raggiungere circa 350 metri. Oltre ai dardi, alcune varianti della ballista erano progettate per lanciare pietre, distinguendosi solo per il sistema di propulsione, che utilizzava due bracci invece di uno. La ballista fu l’arma da lancio a lungo raggio più popolare grazie alla sua avanzata progettazione durante il periodo classico e l’alto Medioevo, ma il suo utilizzo declinò nel tardo Medioevo a causa degli elevati costi di produzione.
CARROBALISTA: Introdotta nel I secolo a.C., la carrobalista rappresentava un’evoluzione della ballista, progettata per essere montata su un carro e facilmente spostata con l’ausilio di cavalli. Questa innovazione rispondeva all’esigenza di avere un tipo di artiglieria mobile, utilizzabile non solo negli assedi ma anche in battaglia. La carrobalista sfruttava molle di bronzo composte da più strati per lanciare lunghe frecce o “ghiande” di piombo. Manovrata da due uomini, era composta da quattro parti principali: il calcio contenente il meccanismo di scatto, il telaio che ospitava corde e bracci di metallo, un supporto e il carro. Una vite di puntamento permetteva di regolare l’altezza e l’angolazione dei dardi.
CATAPULTA: Le catapulte erano progettate principalmente per tiri di precisione piuttosto che per la forza. I proiettili utilizzati erano quindi frecce e dardi relativamente leggeri, poiché i telai delle catapulte erano più sottili e leggeri rispetto a quelli delle baliste. Con il passare del tempo, le catapulte vennero gradualmente sostituite dagli scorpioni, che erano più maneggevoli, mentre le baliste furono rimpiazzate dagli onagri, macchine di grandi dimensioni progettate per il lancio di pietre. Gli onagri lanciavano i proiettili con una traiettoria parabolica, utile per superare le mura dietro cui si riparavano i nemici durante un assedio.
CHEIROBALLISTRA: La cheiroballistra era essenzialmente una versione ridotta dello scorpione, con la particolarità di essere costruita quasi interamente in metallo, comprese le matasse, che erano alloggiate in cilindri di bronzo sui lati. L’uso del metallo permetteva di ridurre le dimensioni e il peso dell’arma senza comprometterne le prestazioni, anzi migliorandone la precisione.
ONAGRO: Vegezio affermava che l’onagro fosse l’arma più potente del suo tempo. Il suo nome deriva dall’asino selvatico, a causa del violento rinculo del braccio che faceva sobbalzare la macchina, ricordando il comportamento dell’animale. L’onagro era costituito da un robusto telaio in legno, talvolta montato su ruote, con un sistema di propulsione centrale composto da corde di canapa, capelli umani o tendini animali. Al centro del telaio si trovava un robusto palo con una fionda all’estremità superiore per lanciare proiettili. Era capace di abbattere non solo cavalli e soldati, ma anche altre macchine d’assedio nemiche. Ogni legione romana aveva in dotazione fino a dieci onagri.
SCORPIONE: Introdotto nel periodo tardo-repubblicano, lo scorpione era simile alla ballista, ma di dimensioni più ridotte. Era leggero, facilmente trasportabile e manovrabile, e poteva essere montato su carri o torrette di navi. I suoi dardi potevano raggiungere bersagli a una distanza di fino a 400 metri. Ogni legione romana poteva avere fino a 55 scorpioni, ciascuno gestito da due soldati, che ne garantivano un’eccezionale precisione. Durante le campagne repubblicane e imperiali, gli scorpioni venivano spesso posizionati su alture per decimare le truppe nemiche e indebolirle. Questa arma si rivelò fondamentale per Giulio Cesare durante la campagna in Gallia, in particolare nell’assedio di Avarico.
I soldati specializzati nell’uso delle macchine da lancio erano chiamati ballistarii. Grazie alla loro alta specializzazione, appartenevano a un gruppo privilegiato di legionari, detti immunes. Erano coordinati da un Magister ballistarius, assistito da un optio ballistariorum e dai doctores ballistariorum (sottufficiali).