Il culto del Sol Invictus

Il culto del Sol Invictus

Il solstizio d’Inverno in astronomia definisce il momento nel quale il Sole raggiunge, nel suo moto apparente lungo l’eclittica, il punto della minima declinazione (angolo che I raggi del sole formano con il piano equatoriale). Il termine «solstizio» descrive una illusione visiva che il moto del sole assume in questo momento dell’anno. Il «Sole stazionario» sembra non alzarsi né abbassarsi rispetto all’equatore celeste fino al 25 dicembre. Solo dopo questa data l’astro ricomincia, a muoversi sorgendo gradualmente sempre più a nord sull’orizzonte Nel giorno in cui cade il solstizio d’inverno, nell’emisfero nord, da un punto di vista astronomico, il sole compie nel cielo l’arco più basso dell’anno e le ore di buio raggiungono il loro massimo. La minore quantità e qualità di luce che il Sole ci fornisce sono quindi causa delle basse temperature tipiche dell’inverno. Da questo momento in poi la parabola compiuta dal sole ricomincia a salire e le ore di luce cominciano a risalire a scapito di quelle di buio sancendo così l’eterna ciclica vittoria del sole sull’oscurità.

E’ stato, nei secoli, occasione di culti e festività di vario genere: il Sol Invictus nei culti pagani (in particolare mitraici), I Saturnalia nell’antica Roma (17 – 23 dicembre), coincidenza con il Natale per il Cristianesimo. Il culto del Sol Invictus origina in oriente. Come narra l’apologeta Cristiano Epifanio di Salamina in Egitto ed in Siria le celebrazioni della nascita del Sole erano eventi solenni e prevedevano che gli adepti si ritirassero in appositi santuari uscendone a mezzanotte, annunciando il parto del Sole (raffigurato come un infante) ad opera di una vergine. L’iconografia cristiana delle origini utilizzò simboli solari per alludere a Cristo come la corona radiata del Sol Invictus o, in alcuni casi, il carro solare. Un mosaico ritenuto raffigurante Cristo come Apollo-Helios è stato scoperto nella necropoli sotto la Basilica di san Pietro e datato circa al 250, periodo delle persecuzioni di Valeriano. Questo momento dell’anno segnava, simbolicamente, l’eterna rinascita del sole fanciullo, che con la sua luce, dopo la prevalenza delle ore di buio invernali, tornava a dominare su tutti i cicli della natura.

Il Sol Invictus tra i romani

Durante il periodo imperiale il cesarismo assunse sempre più le caratteristiche di una monarchia assoluta che mano a mano cominciò ad appoggiarsi al clero orientale e questo, che aveva già sperimentato il confronto con regimi assolutisti come quelli degli Achemenidi e dei Faraoni, predicava dottrine orientate verso una figura di sovrano al di sopra dell’umanità. Il principio della sovranità popolare e l’originaria forma di cesarismo lasciarono così il posto a una figura di sovrano che traeva i suoi privilegi da una ragionata fede nelle influenze sopranaturali. L’imperatore divenne allora l’immagine del Sole sulla Terra e come lui risulta invincibile ed eterno. Il Sole, che già agli occhi dei Babilonesi risultava la massima espressione delle divinità astrali, anche a Roma continuò a garantire ai suoi prescelti il diritto alla sovranità investendoli di tale virtù sin dalla loro venuta sulla Terra. Diveniva il loro compagno consimile in costante comunione con essi in una sorta di consustanzialità. L’imperatore era il rappresentante del Sole sulla Terra.

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Questi culti di matrice orientale raggiunsero il culmine della loro popolarità e diffusione con l’avvento dei Severi, che si avvalsero di una corte per metà siriaca e che nel 218 d.C. misero in atto un’audace proclamazione a imperatore di un ragazzo appena quattordicenne, sacerdote di Elagabalus, Sesto Valerio Avito Bassiano, passato alla storia col soprannome di Eliogabalo. Il loro tentativo di istituire una sorta di monoteismo solare ponendo in cima al Pantheon romano il Sol Invictus Elagabal abortì proprio per la sua audacia e intempestività provocando l’assassinio del suo artefice. Ma i tempi dei cambiamenti maturarono mezzo secolo più tardi quando nel 274 Aureliano, ispirato dalla stessa fede, instaurò il culto del Sol Invictus, a cui dedicò uno splendido tempio servito da sacerdoti di Roma; gli dedicò magnifici giochi ogni quattro anni e lo elevò alla massima importanza della gerarchia divina eleggendolo protettore ufficiale dei sovrani dell’Impero. Nel 305 poi, una nuova dinastia solare ascese al trono, quella di Costanzo Cloro, che dichiarò la propria discendenza dal Sol Invictus, dichiarato e considerate protettore particolare. Costantino ne fu fervente sostenitore e se anche, con l’avvento definitivo della dottrina cristiana, prese ufficialmente le distanze dal culto degli astri, abbiamo conferme indirette che fino a poco prima della sua morte i buoni auspice astrologici facessero parte dei panegirici a lui indirizzati da figure pubbliche di indubbia fama e pertanto, verosimilmente, non sgraditi.

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Nel 274 d.C. l’imperatore Aureliano fissò il Natale del Sol Invictus al 25 dicembre, innalzando in Campo Marzio un grandioso tempio dedicato all’astro lucente e sottoponendo l’Impero di Roma alla sua tutela. E’ opportuno sottolineare che proprio a opera di Costantino, nel 321, viene fissato il giorno del riposo settimanale cristiano – fino a quel momento era stato il sabato – nel die solis (dal 383 Dies Dominicus cioè domenica); e poi, nel 330, vengono ufficialmente fatti coincidere, nella data del 25 dicembre di ogni anno, a partire da allora, la ricorrenza della nascita di Gesù con quella del Sol Invictus.

Bruno Carboniero, coautore del libro In Hoc Vinces

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