La Basilica di San Pietro in Vincoli: arte, religione e storia

La Basilica di San Pietro in Vincoli

La Basilica di San Pietro in Vincoli è un vero tesoro di Roma, un gioiello che va capito e assaporato, in quanto è un ricettacolo di capolavori artistici (come il Mosè di Michelangelo), bellissimi affreschi rinascimentali, storie di reliquie e santi. Ovviamente, però, la Basilica di San Pietro in Vincoli è molto altro, a partire dalle sue origini che la rendono uno dei luoghi di culto cristiani più antichi di tutta la città. Le conoscenze archeologiche che oggi abbiamo, e che ci permettono di determinare l’evoluzione storica ed archeologica del sito in cui la basilica sorge, derivano in particolare dagli scavi avvenuti tra il 1956 ed il 1960, quando addirittura il pavimento della navata centrale fu sventrato per permettere agli archeologi di andare indietro nel tempo. Ed ecco, dunque, cosa gli studiosi hanno trovato e cosa si cela al di sotto della Basilica di San Pietro in Vincoli:

IV – III secolo a.C.: a questo periodo appartengono alcuni resti di abitazione della media età imperiale di Roma le quali, come prassi dell’epoca e non solo, furono riutilizzate come fondamenta degli edifici posteriori
II secolo a.C.: a questo secolo, poi, appartengono i resti di due abitazioni private che, per nostra fortuna, ci hanno lasciato anche frammenti di splendidi mosaici policromi. Una piccola testimonianza di come, dopotutto, a distanza di millenni è ancora possibile avere testimonianze dirette del gusto artistico e culturale di un’epoca tanto lontana dalla nostra.
I secolo d.C.: a questo periodo, invece, fanno riferimento alcuni elementi architettonici, in particolare corridoi, assimilabili ad un criptoportico. Quest’ultimo consisteva in una serie di gallerie sotterranee, sviluppatesi al di sotto di grandi ed estese (oltre che opulente) domus, usate in particolare dagli schiavi i quali, in questo modo, potevano raggiungere le diverse sale della domus nella più totale discrezione. I resti del criptoportico, inoltre, ci fanno comprendere come essi chiudevano un cortile avente una grande vasca centrale e circondato da giardini. La posizione (la Basilica di San Pietro in Vincoli, infatti, si trova a pochissimi passi dal lato nord del Colosseo, all’altezza del Colle Oppio), e la datazione ci fanno ipotizzare che i resti di questa enorme domus non sono nient’altro che ciò che rimane della splendida e sfarzosa dimora di Nerone: la Domus Aurea. Secondo alcuni, invece, gli elementi ritrovati apparterrebbero alla Domus Transitoria, la proprietà privata di Nerone prima del grandioso progetto che lo vide protagonista.
III secolo d.C.: a questo periodo, poi, appartengono ulteriori resti architettonici che, probabilmente, attestano l’esistenza di una vera e proprio domus ecclesia. Sono stati rinvenuti, difatti, tracce di un’aula absidata che, probabilmente, era utilizzata per forme cultuali. Dopotutto è proprio nel III secolo che esplose il fenomeno delle domus ecclesiae, e cioè di quegli edifici privati prestati (in toto o in parte) dai proprietari alla chiesa ed al nuovo culto cristiano. Forse questa particolare domus è figlia di quella che, nelle fonti, viene definita “Basilica Apostolorum” (Chiesa degli Apostoli), il primo esempio basilicale del sito.
V secolo d.C: in questo caso abbiamo un anno specifico da ricordare, il 442 d.C. Questo è il momento in cui Elia Eudocia, la moglie dell’Imperatore d’Oriente Teodosio II, decide di donare a sua figlia Eudossia (moglie dell’Imperatore Romano d’Occidente Valentiniano III) delle sante reliquie: le Catene di San Pietro, coloro che avrebbero imprigionato il Principe degli Apostoli a Gerusalemme. Parlerò dopo, e meglio, di queste reliquie. Ciò che ora è interessante sapere è come Eudossia, qui a Roma, donò le Catene di San Pietro direttamente a Papa Leone I. Costui già custodiva, tra gli innumerevoli tesori pontifici, altre catene, quelle che avrebbero avvinto San Pietro qui a Roma. A seguito di un miracolo, Leone I decise di realizzare una nuova basilica, una casa degna di queste fantastiche reliquie. Tale luogo di culto, chiamata anche Basilica Eudossiana in memorie dell’imperatrice che donò le catene al Papa, si chiama difatti San Pietro in Vincoli in quanto vincula, in latino, significa proprio catene.
Cinquecento: soprattutto questo fu il secolo in cui la Basilica di San Pietro in Vincoli fu parzialmente restaurata, ad opera e per volere, in particolare, di due famosi pontefici dell’epoca: Sisto IV e Giulio II. Nei secoli successivi ci furono altri interventi.

Si capisce bene, dunque, quanto la Basilica di San Pietro in Vincoli di Roma sia ben più di una chiesa. Dopotutto, a parte le sue origini che affondano le radici nella trasformazione dell’Urbe da città pagana a città santa, ciò che rende speciale questa basilica è il motivo stesso per cui fu costruita: casa degna per delle importanti reliquie. Passo, dunque, a descrivere un poco meglio la storia inerente le Catene di San Pietro. Come scritto prima, infatti, Elia Eudocia donò alla figlia Eudossia le catene che imprigionarono San Pietro a Gerusalemme. A regalargliele fu nientemeno che il Patriarca di Gerusalemme. Ebbene, quando poi Eudossia diede a Papa Leone I, qui a Roma, le suddette catene, il pontefice fece una cosa molto semplice: controllò tra le altre, ed innumerevoli, reliquie in possesso della Chiesa Cattolica per prendere altre catene: quelle che, secondo la tradizione, furono usate per legare San Pietro a Roma, nel famoso Carcere Mamertino. E quando Papa Leone I avvicinò le due catene, quelle romane e quelle di Gerusalemme, esse si fusero insieme, per miracolo. E questa stessa fusione può essere vista ancora oggi, poiché le Catene di San Pietro sono ancora ben visibili in una apposita teca posta al di sotto dell’altare maggiore. Si capisce bene, dunque, il motivo per cui Leone I fece costruire un impianto basilicale, nel V secolo d.C., ben più importante di quello precedente. Esso era un modo per rinsaldare ancor di più la fede nella comunità cristiana, trovando forse anche un modo per rinfrancare gli animi dopo il saccheggio subito dall’Urbe qualche anno prima. Politicamente e socialmente parlando, poi, è chiaro che il mostrare a tutti un miracolo che aveva a che fare addirittura con San Pietro avrebbe sancito, ancor di più, una forza maggiore alla Chiesa Cattolica.

Non finisce qui, però, poiché c’è anche un altro episodio, inerente le Catene di San Pietro, che è visibile. In questo caso si deve entrare all’interno della basilica e guardare in alto. Vedrete un bell’affresco di Giovanni Battista Parodi terminato nel 1706 e che fa riferimento ad un fatto accaduto, secondo le cronache, nel 969. Vi era all’epoca un conte al seguito dell’Imperatore Ottone I di Sassonia, uno dei molti imperatori del Sacro Romano Impero che tentò, in un modo o nell’altro, di entrare nelle grazie del Papa e di avere una certa influenza a Roma. Secondo la tradizione questo povero conte era posseduto anima e corpo. Il Demonio albergava in lui. Ma quando il nobiluomo entrò in contatto con le Catene di San Pietro accadde il miracolo: i poteri taumaturgici e benefici delle reliquie liberarono dagli spiriti maligni il povero conte. Guardando meglio è anche possibile scorgere i demoni: essi sono quelle figurine scure, specie di ombre, visibili a contrasto con il cielo azzurro, vicino al portico in cui c’è il conte. Ecco, dunque, un altro episodio relativo alle Catene di San Pietro e, soprattutto, un altro motivo per cui la Basilica di San Pietro in Vincoli è qui.

Ed ora passiamo ad una descrizione fisica dell’ambiente in cui vi trovate, partendo dall’esterno per arrivare sino all’altare maggiore. In questo modo potrete comprendere ancora meglio il motivo per cui la Basilica di San Pietro in Vincoli di Roma non sia solo legata, in tutti i sensi, alle reliquie qui poste. C’è molto, molto di più.

Facciata: la facciata della chiesa è preceduta da un portico basato su pilastri ottagonali. I capitelli delle colonne hanno, a rilievo, il classico stemma della famiglia Della Rovere che, di conseguenza, ci conferma come la facciata sia frutto dei restauri di fine Quattrocento ed inizio Cinquecento. Nonostante questo, però, la conformazione dell’ingresso e l’impostazione architettonica rispecchiano quelli che erano i canoni del V secolo d.C., quando la Basilica di San Pietro in Vincoli fu realizzata a seguito della fusione delle catene di San Pietro. All’epoca, spesso, tutte le facciate delle chiese erano precedute da portici (un altro esempio lo vediamo nella Basilica di San Vitale lungo Via Nazionale, sempre del V secolo d.C.). Da aggiungere che anche il portale è del Quattrocento
Interno: l’interno è suddiviso in un classico impianto basilicale a tre navate, divise da 20 colonne doriche. Da dire, innanzitutto, che esse sono quelle originali usate per erigere la basilica del V secolo e che, pertanto, hanno più 1500 anni e non sono mai stati smosse dalla loro posizione! Se alzate gli occhi noterete l’affresco di cui vi dicevo prima, quello settecentesco del Parodi. Ma è indubbio, comunque sia, che già entrando di pochi metri all’interno di questa basilica si possa respirare un’atmosfera quasi magica, poiché si viene immediatamente proiettati nel passato. Sacralità, religiosità, opere d’arte di molte epoche sono lì a testimoniare il profondo passato del luogo di culto. E se le colonne doriche ci confermano la datazione della prima basilica, provate a svoltare subito a sinistra, appena passato il portale. Avrete una piccola nicchia affrescata: vedrete il volto di Cristo, inconfondibile. Ciò che però ci interessa è come la pittura sia probabilmente del V secolo d.C. Non solo, dunque, avremmo di fronte un’altra testimonianza del primo luogo di culto ma, a maggior ragione, ci troveremo dinanzi ad una delle primissime raffigurazioni pittoriche di Gesù. Nei pressi di questa pittura, poi, avrete di fronte a voi un monumento funebre in marmo, avente in particolare due ritratti di uomini. Questo è il monumento dedicato ai fratelli Pollaiolo, Antonio e Pietro. Realizzato nel ‘400 l’opera marmorea ci ricorda la presenza e l’esistenza di artisti molto attivi nella Roma di quel secolo, un periodo che fu di rilancio e di uscita dell’Urbe dal Medioevo, per affacciarsi così al Rinascimento.

Adesso che abbiamo una panoramica della Basilica di San Pietro in Vincoli, è giusto soffermarsi su un paio di elementi, meraviglie e monumenti che rendono il luogo di culto ancor più speciale di quello che già è. Per dovere di cronaca, prima di entrare più nel dettaglio, è giusto dire che nella navata di sinistra sono presenti due chicche: la prima è la tomba del cardinale Nicola Cusano, reggente della chiesa dal 1448 al 1464. Il monumento funebre, probabilmente su progetto di Andrea Bregno, presenta un bassorilievo in cui vediamo San Pietro, al centro, tra un angelo ed il ritratto del cardinale. Ciò che incuriosisce è lo stemma policromo posto al di sotto del bassorilievo: si nota benissimo la presenza di una…aragosta! Perché? Perché il prelato, Nicola Cusano, aveva in realtà origini tedesche, essendo nato a Kues. Il suo vero nome era, difatti, Nikolaus Krebbs. Ma seguendo un poco la moda dell’epoca esso fu italianizzato, diventando appunto Nicola Cusano. Il problema, se così si può dire, è che “krebs” in tedesco significa proprio aragosta! Un modo come un altro, dunque, per omaggiare in modo simpatico le origini di quest’uomo. Inoltre, proseguendo sempre sulla navata sinistra, ad un certo punto noterete un magnifico mosaico: un uomo anziano, dalla barba bianca, l’aureola e le vesti bluastre fluenti sembra guardare in un punto indefinito alle vostre spalle. Ecco, immaginate che il mosaico è di fattura bizantina, realizzato nel VII secolo d.C., e che ciò che avete di fronte è una delle rarissime rappresentazioni di San Sebastiano barbuto. Per concludere questa carrellata è giusto citare le opere pittoriche presenti sulla navata destra, firmate, tra gli altri, da artisti del calibro di Domenichino e Guercino. Arrivando poi nei pressi dell’altare, proprio di fronte al ciborio, si possono osservare un poco meglio gli affreschi che ricoprono e delimitano, anche con finte architetture, l’intero abside. Tali pitture, ad opera di Jacopo Coppi nella seconda metà del ‘500, raffigurano episodi della vita di San Pietro. Vi consiglio, infine, di soffermarvi ancora davanti alle Catene di San Pietro, quei vincula che danno il nome all’intera basilica. Immaginate che il reliquario, quella sorta di scrigno prezioso a protezione delle catene, è esso stesso un’opera d’arte, considerando che fu realizzata nel ‘400. Ma ora è arrivato il momento di sostare per qualche minuto davanti a capolavoro di tutta la Basilica di San Pietro in Vincoli che, sebbene sia solo una parte di un grandioso progetto, rappresenta oggi un’ulteriore prova tangibile della grandezza e maestria di Michelangelo. Parlo, ovviamente, del suo Mosè, posto nel braccio desto del transetto della chiesa (avendo le Catene di San Pietro davanti a voi, guardate a destra).

MOSE’ DI MICHELANGELO
Siamo fortunati, non c’è che dire, poiché oggi possiamo ammirare questo capolavoro alla luce, è il caso di dirlo, dei rinnovamenti e puliture che si sono succeduti nel corso di questi ultimissimi anni. Soprattutto l’illuminazione è stata modificata e potenziata, seguendo quelli che dovevano essere i progetti e intenzioni iniziali di Michelangelo. Questa luce, oggi, con i suoi giochi d’ombra ci permette di apprezzare al meglio ogni singolo dettaglio di quello che è, a tutti gli effetti, una piccola parte di un grande monumento. Il Mosè, infatti, non è che un elemento di un più maestoso progetto commissionato a Michelangelo da Papa Giulio II. Siamo nel 1505 ed il pontefice, nel suo percorso di rinvigorimento e potenziamento della Chiesa Cattolica e della sua persona, sotto tutti i punti di vista, ordinò a Michelangelo la realizzazione di un grande mausoleo, sulla falsariga di quei maestosi progetti propri degli imperatori romani. Per capire meglio le idee di grandezza, rappresentante attraverso opere urbanistiche ed architettoniche che avrebbero dovuto dare maggior risalto alla Chiesa Cattolica in quanto Stato e Chiesa, da dire solamente che nel 1506 sarà proprio Giulio II a dare ufficialmente il via alla costruzione della Basilica di San Pietro, così come la conosciamo oggi. Comunque sia torniamo a Michelangelo ed al 1505. Il maestro, scrupoloso come suo solito, passò mesi interi nella cava di Carrara per cercare il marmo migliore per la sua opera. Il progetto michelangiolesco prevedeva un grande mausoleo a pianta quadrata che si innalzava nel cielo con una forma vagamente piramidale. Immaginate che, in tutto, dovevano essere 40 le statue che avrebbero dovuto adornare questo magnifico monumento funebre, realizzato completamente in un marmo levigato e perfetto. Ebbene, ciò che noi oggi vediamo nel transetto destro della Basilica di San Pietro in Vincoli non è altro che una facciata del mausoleo. Perché tutto ciò? Cosa è successo? Purtroppo c’è da dire, infatti, che probabilmente questo grandioso progetto fu un cruccio per Michelangelo, forse il suo più grande rimpianto. Innanzitutto cominciò ad avere problemi con il pontefice per alcuni pagamenti, cominciarono anche ad accavallarsi ritardi su ritardi. Nel 1508, poi, sempre Giulio II commissionerà a Michelangelo la decorazione pittorica della volta della Cappella Sistina, un lavoro che (durato solo 4 anni), porterà inevitabilmente ulteriori ritardi nella consegna dell’opera. Fatto sta che Michelangelo, che poi in parte delegherà ad altri artisti suoi aiutanti, non riuscirà a completare praticamente nulla di ciò che, inizialmente, aveva intenzione di fare. Quando poi, nel 1513, Giulio II morì, con esso perì anche, definitamente, il suo grande mausoleo. Michelangelo ebbe ulteriori problemi con i suoi eredi, lasciò anche Roma per qualche tempo, poi si tuffò in altri progetti. Il tutto, alla fine, porterà al risultato che vediamo oggi: una piccola porzione del mausoleo di un pontefice energico e fiero che voleva essere trattato alla stregua di un imperatore romano.

Ma, nonostante tutto, quel poco che fu completato dell’originale mausoleo ha del divino e dell’incredibile. Guardiamo il Mosè, con il suo cipiglio fiero, deciso e, probabilmente, anche un poco arrabbiato. Questo Mosè come vibrante e muscoloso, così tonico e sicuro di sé, che si tocca quella barba così fluente ed intrecciata che non sembra fatta di marmo. Il profeta tiene le Tavole della Legge, quelle date direttamente da Dio a sancire la Sua alleanza con gli uomini. È un Mosè non a grandezza naturale, più grande del normale. Ma non è un errore, poiché originariamente la scultura doveva essere posizionata più in alto rispetto a dove è oggi. Per rispettare una certa prospettiva, in base al punto d’osservazione di un osservatore qualunque che doveva trovarsi più in basso rispetto alla statua, ecco che il Mosè incute, forse, ancora più timore, per la sua mole ed il suo aspetto e atteggiamento. Ovviamente la straordinaria perfezione e potenza che la scultura del Mosè ci suggerisce, unito al carattere di Michelangelo che, è risaputo, non era a volte incline al dialogo ed alla compagnia, hanno fatto sorgere alcune curiose storie si questa scultura. Innanzitutto parliamo della barba, di questa foltissima e riccioluta barba che rende il profeta dell’Antica Testamento ancor più saggio Secondo una tradizione all’intero della barba Michelangelo avrebbe nascosto una piccola figurina a tutto tondo, una sorta di statuetta che, a seconda delle versioni, avrebbe le fattezze di Papa Giulio II o di una donna. A parte questo c’è sicuramente una famosissima curiosità inerente il Mosè di Michelangelo. Su una delle sue ginocchia si vede un piccolo segno, forse dovuto ad una imperfezione del marmo o, semplicemente, al tempo passato o all’incuria di qualcuno in passato. Ebbene, secondo una curiosa storia, quel segno sarebbe stato lasciato dallo stesso Michelangelo il quale, in un impeto d’ira, scagliò contro il ginocchio della sua opera d’arte un martello, o comunque uno strumento da scultore. E nel fare questo il maestro urlò:”Perché non parli?”. Dopotutto anche Michelangelo aveva riconosciuto l’assoluta perfezione con cui aveva scolpito e, probabilmente, si aspettava che il Mosè si alzasse dal suo posto per parlare direttamente con lui. Il Mosè, però, è solo uno dei personaggi oggi visibili nella parte di mausoleo realizzato. Abbiamo, ad esempio, anche due figure femminili che, ufficialmente, rappresentano due personaggi biblici: Lia e Rachele. Le due, però, hanno un valore e significato più profondi di ciò che sembra. Lia, infatti, è paragonabile alla Vita Attiva, mentre Rachele alla Vita Contemplativa. Cosa significa? Fondamentalmente una profonda dicotomia che fa parte delle esistenze di tutti noi. Azione e pensiero, ragione e dinamismo. Lia e Rachele raffigurano due virtù che farebbero parte dell’animo e del carattere di Giulio II, un modo per onorarlo. Da uomo di chiesa ma, anche, da pontefice con un enorme potere temporale, Giulio II è in grado di avere uno sviluppato senso morale, etico e pio: studioso e riflessivo, può pregare con grande intensità, avendo un lato spirituale senza eguali (Vita Contemplativa). Dall’altra parte, però, così come c’è pensiero e spirito c’è anche azione. Non si deve rimanere solo fermi al ragionamento ed alla contemplazione, ma si deve anche fare qualcosa di concreto per far sì che il disegno di Dio, il papato ed il mondo intero vadano nel modo giusto. In una parola, appunto, ci vuole azione (Vita Attiva). Non manca, nella sezione di questo mausoleo incompleto, la figura distesa del pontefice stesso, Giulio II. Per molto tempo si è pensato che il ritratto non fosse opera di Michelangelo, il quale lo aveva delegato ad un suo aiutante. Recentemente, però, sempre più esperti ipotizzano che anche questa statua sia opera del genio del Rinascimento. Non lo sappiamo con certezza, ma è ovvio che la figura del pontefice disteso, in quel sonno eterno che sa di attesa prima della Fine dei Giorni, sia la perfetta conclusione di quello che doveva essere l’obiettivo principale di questo monumento: celebrazione ed esaltazione di sé.

Detto questo, comunque sia, credo che ora sia facile capire perché la Basilica di San Pietro in Vincoli rappresenta una chiesa di Roma che deve essere visitata. Ricordo che per arrivarci basta percorrere Via Cavour fino a giungere ai piedi di una serie di scale, conosciuta anche come Scalinata dei Borgia. Percorrendola, dopo esser passati per una piccola sezione voltata che, tra le altre cose, in primavera e con i fiori colorati è bellissima a vedersi, si giungerà davanti a questa basilica. L’invidiabile posizione (San Pietro in Vincoli è a due passi dal Colosseo e dal Foro Romano), rende davvero inevitabile una capatina al suo interno. Michelangelo, reliquie, affreschi rinascimentale e settecenteschi, mosaici bizantini, pitture ed elementi architettonici del V secolo d.C. Credo che sia tutti buoni motivi per visitare la Basilica di San Pietro in Vincoli, laddove storia dell’arte, sacro e profano si mescolano in maniera indissolubile.

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