1 gennaio – Capodanno di Roma

Il primo mese dell’anno romano, secondo quanto riportato nei calendari epigrafici che ci sono pervenuti, era Gennaio, dedicato interamente a Giano, dio degli inizi e delle porte, definito superiore a tutti gli dei.
Secondo la tradizione, il calendario romuleo contava solo 10 mesi, da Marzo a Dicembre. Il numero venne aumentato a 12 con l’aggiunta di Gennaio e Febbraio, per volere di Numa Pompilio o di un re della dinastia dei Tarquini. Alcuni studiosi hanno invece ipotizzato che i mesi aggiunti nel calendario fossero Settembre e Novembre, perché privi di festività antiche.
Gennaio era il mese dell’inizio, ma privo di rituali di rinnovamento e di rinascita, che invece erano presenti nel mese di Marzo. Forse perché Gennaio era il mese iniziale di un periodo di transizione, e Giano veniva considerato come il nume che poteva garantire il passaggio sicuro dal caos all’ordine.
Secondo questa concezione, Febbraio concludeva un periodo di passaggio e allontanava le forze del caos oltre un termine sorvegliato da Marte e da Terminus, all’interno del quale poteva aver luogo l’azione ordinatrice del cosmo operata da Giove.
Giano, il dio degli inizi e delle porte era colui che chiudeva e apriva le Porte del cielo e del calendario, permettendo l’inizio dell’anno nuovo. Per questo motivo e affinché propiziasse l’anno nuovo, veniva offerto a Giano lo ianual, una pietanza composta da farro, cacio grattugiato, farina, uova, olio e miele.
Il primo giorno di Gennaio i Romani si scambiavano le strenne: foglie di alloro chiamate strenae, termine che poi venne usato per indicare una moltitudine di doni. Questi regali potevano essere monete (spesso con l’effige di Giano bifronte), datteri, miele, fichi e dolci, in una sorta di mensa augurale.
Strenae doveva essere il nome di un’antica divinità, di origine sabina il cui culto a Roma venne istituito da Tito Tazio. Il sacello di Strena si trovava alle pendici della Velia, all’inizio della Via Sacra, dal quale, il primo giorno dell’anno partiva una processione ben augurante che giungeva all’Arce Capitolina.
Chi vi partecipava reggeva in mano alcuni rami di arbor felix, ossia l’alloro, considerato capace di allontanare gli spiriti maligni e i fulmini. Con questi rami si decoravano anche le porte degli edifici istituzionali più importanti, come il tempio di Vesta, la Reggia, le Curie, eccetera.
Capodanno di Roma: dal 153 a.C., i Consoli romani entravano in carica, dopo essere stati eletti dai comizi centuriati. Una parte della notte precedente la cerimonia, il magistrato la passava in attesa, per essere pronto a uscire all’alba.
Scelto un templum augurale, sull’Arce Capitolina o nei pressi della sua casa, lì il futuro console pregava gli Dei e prendeva gli auspici, aiutato da un augure o da una persona fidata scelta appositamente.
Dopodiché, con indosso una veste bianca, simbolo di purezza, il magistrato riceveva la salutatio: la visita di parenti, amici e clientes.
Dopo questo rito cominciava la processione verso il Campidoglio: il futuro console seguiva i littori e gli equites, accompagnato dai senatori e da una piccola folla di propri sostenitori, tutti rigorosamente vestiti di bianco e coronati con una ghirlanda d’alloro. Probabilmente al Foro s’incontravano i due consoli, ognuno col proprio seguito, da dove procedevano insieme lungo il clivus Capitolinus.
Arrivati di fronte al tempio di Giove, i futuri consoli si sedevano sulle sedie curuli, ricevevano l’acclamazione popolare e poi sacrificavano dei tori bianchi o un cavallo, a Giove. Dopo questo sacrificio, entrambi potevano indossare la toga praetexta.
Il sacrificio serviva a controfirmare i voti pronunciati dai precedenti consoli, di curare la salute dello Stato, aggiungendo nuove promesse. Il console major, quello più anziano o quello eletto per primo, presiedeva una riunione del Senato per proclamare la data delle Feriae Latinae e assegnare le province ai senatori.
A quel punto tutto il corteo ritornava nel Foro, dove i nuovi consoli tenevano con un’orazione al popolo: un discorso politico nel quale i due magistrati ripercorrevano i propri successi e quelli dei propri antenati, indicando i loro propositi.
Entro i successivi cinque giorni i due avrebbero giurato nel tempio di Saturno davanti ai questori di rispettare le leggi della città. Dopo quest’ultima cerimonia, con la quale ricevevano ufficialmente la potestas e l’imperium (il potere civile e militare), veniva ufficializzata una delibera dei comizi curiati che li riconosceva. Questo atto perse sempre più importanza, col passare dei secoli, fino a diventare una pura formalità che espletavano 30 littori in rappresentanza delle curiae.
Busto di Giano bifronte di età romana, Musei Vaticani, Città del Vaticano
Antonietta Patti
Archeologa
BIBLIOGRAFIA
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